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La competizione con gli altri.
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

26 aprile 2006





Nell'attesa di diventare migliori...


 

A spasso verso un futuro migliore - 17

 

Questa volta vorrei affrontare un tema controverso, che "attanaglia" tutti... chi per un verso chi per un altro: la competizione con gli altri.

Ottimo argomento. Chieda pure... avremo molto da dire.

Innanzitutto, sono molti i messaggi che comunemente riceviamo dal mondo esterno (genitori, scuola, etc.) che ci spingono a rivaleggiare con gli altri allo scopo di superarli. E’ come se la vita dovesse essere una lotta continua per ‘sconfiggere’ in qualche modo tutti quelli che ci capitano a tiro. Come può essere definita la competizione con gli altri e da dove deriva questo tipo di atteggiamento?

Anzitutto, cerchiamo di capire cosa riportano i dizionari, per definire il termine competizione...

Evento limitato nel tempo, sottoposto a regole (uguali per tutti),in cui si concorre per ottenere qualcosa"...

Bene, riconducendo il tutto a ciò che ci riguarda, possiamo dire che l’evento limitato nel tempo è la nostra vita che ha, come regole, le Leggi di Natura. L’obiettivo per cui si concorre, è quello di migliorarsi per dare un senso alla propria esistenza e lasciare una traccia utile a far crescere gli altri. Proprio perché la "cosa" deve avere regole uguali per tutti, non può riguardare la competizione che porta, nella quotidianità, a voler superare gli altri: ognuno, infatti, persegue i propri obiettivi condizionato dal proprio modo di essere, che è il risultato delle personali esperienze. Come si possono avere parametri oggettivamente in comune, nell’ambire a scalate sociali che ci facciano emergere sugli altri?

Non mi è chiaro.

Ciascuno avrà i suoi motivi per volere ottenere i propri successi, anche se gli obiettivi sembrano in comune. Di conseguenza, i risultati riguarderanno una programmazione ed un’organizzazione che tiene conto di un efficienza che fa i conti con se stessi, più in un’ottica di miglioramento personale, magari con un occhio agli altri giusto per avere dei parametri di riferimento e stabilire cosa si può raggiungere... domandandosi sempre se ne vale realmente la pena e valutando il rapporto fra costi e benefici.

E tutto?

Non proprio. La derivazione etimologica del termine competere, significa "convergere, andare insieme verso un medesimo punto".

E quindi?

In pratica, gli antichi, ci hanno trasmesso il seguente messaggio: per ottenere un risultato degno di nota, è necessario collaborazione e condivisione piuttosto che guerreggiamenti.

E’ anche questa una fase necessaria per la crescita dell’essere umano o potrebbe essere evitata?

Altre volte abbiamo parlato del fatto che ciascuno impara le cose più naturali e "spontanee", attraverso l’osservazione, per imitazione più o meno inconsapevole. Fintanto che si ha qualcuno da cui trarre spunto, esiste la possibilità di osservare comportamenti e obiettivi per capire, mediante l’esperienza, quale potrebbe essere il nostro percorso di vita o ciò che servirà a trascorrere il tempo mediante hobby e interessi vari. "La vita, senza una meta, è vagabondaggio" (Seneca).

Quali sono le problematiche che ci spingono a continuare a competere con gli altri?

La necessità di "sentire" di valere qualcosa e verificarlo attraverso la convinzione (errata) di essere meglio degli altri, riuscendo a superarli nella competizione della vita e ambire a traguardi socialmente rimarchevoli. Abbiamo visto, però, che non è così ci si può considerare validi o meno. "Il desiderio di gloria è l’ultima aspirazione di cui riescono a liberarsi anche gli uomini più saggi" (Tacito).

A proposito di ambizione, come possiamo valutare questa legittima aspirazione?

"Ho dei gusti semplicissimi, mi accontento sempre del meglio" (Oscar Wilde ). Ambire, come al solito, viene dal latino e indica "andare intorno per ottenere qualcosa". Nella Roma antica, si andava incontro alle persone del popolo, per ingraziarsele con moine e promesse al fine di ottenere il loro favore a gestire un potere." L’ambizione è l’ultimo rifugio del fallito" (Oscar Wilde).

E allora cosa si deve fare?

La cosa più corretta riguarda quella voglia intrinseca di migliorarsi, che si chiama a aspirazione. Finché ho un desiderio, ho una ragione per vivere; la soddisfazione è la morte (George Bernard Shaw).

Ah, ho capito!

Si, ma senza invidia, guardando con tristezza, dolore e rabbia i risultati positivi degli altri, ritenuti un’ingiustizia. "Nelle avversità dei nostri migliori amici noi scopriamo sempre qualcosa che non ci dispiace" (François de La Rochefoucauld).

Non è che la fortuna c’entri qualcosa?

"Certo che la fortuna esiste. Altrimenti come potremmo spiegare il successo degli altri?" (Jean Cocteau)

Ma com’è possibile abbandonare tale comportamento?

"Il significato di un uomo non va ricercato in ciò che egli raggiunge, ma in ciò che vorrebbe raggiungere per essere e sentirsi utile" (Kahlil Gibran).

Cosa vorrebbe dire?

Che una sorta di confronto con gli altri è comunque utile per valutarsi su una scala oggettiva e stabilire cosa migliorare in rapporto a quanto è stato raggiunto. Solo che questo non deve portare ad una frenesia da insoddisfazione ma ad un’ottimizzazione del proprio tempo e delle proprie risorse, seguendo la strada che più ci soddisfa senza farci distrarre da altro.

In cosa consiste esattamente la competizione con se stessi?

Ne abbiano parlato a proposito del concetto di autoaffermazione. Rappresenta la condizione di chi mira ad esprimere pienamente la propria personalità e il proprio ruolo (essere umano integrato nel tessuto sociale, come partner, genitore, figlio, fratello, soggetto economicamente produttivo, etc.).

Volendo fare una battuta, possiamo dire che il mondo si divide in "buoni" e" cattivi"?

Attenzione ai più buoni, però!

Cioè?

Le rispondo, come faccio spesso, ricorrendo all’aiuto di Giorgio Gaber. Le riporto il testo di un suo monologo intitolato, appunto, il potere dei più buoni.

"La mia vita di ogni giorno è preoccuparmi di ciò che ho intorno. Sono sensibile ed umano probabilmente sono il più buono, ho dentro il cuore un affetto vero per i bambini del mondo intero. Ogni tragedia nazionale è il mio terreno naturale perché dovunque c’è sofferenza sento la voce della mia coscienza. Penso ad un popolo multirazziale, ad uno stato molto solidale che stanzi fondi in abbondanza perché il mio motto è l’accoglienza... È il potere dei più buoni... Sono già iscritto a più di mille associazioni e organizzo dovunque manifestazioni. La mia vita di ogni giorno è preoccuparmi per ciò che ho intorno. Ho una passione travolgente per gli animali e per l’ambiente, penso al recupero dei criminali, penso ai giovani emarginati, penso alle nuove povertà che danno molta visibilità; penso che è bello sentirsi buoni usando i soldi degli italiani! È il potere dei più buoni costruito sulle tragedie e sulle frustrazioni, è il potere dei più buoni che un domani può venire buono per le elezioni".

 

G. M. - Medico Psicoterapeuta

 

Si ringrazia Erminia Acri per la formulazione delle domande

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