Nel suo ultimo articolo, ha definito i conflitti come stati di tensione prodotti dalla difficoltà di prendere una decisione. Poiché la vita, quotidianamente, è rappresentata da continue scelte, più o meno importanti, come si fa a convivere bene con questi stati di tensione?
La risposta non è difficile. Basta riuscire a capire quali sono le priorità rispetto alle situazioni che possono essere messe da parte perché rispondenti a dettami sociali di scarsissima utilità. Fatto questo, si saprà quali scelte operare, riuscendo a far calare la tensione ed i conflitti.
Lei mi ha spiegato, tante volte, che sono quasi infiniti i tipi di conflitto, ma è possibile stabilire quali conseguenze, dalle meno gravi a quelle più gravi, essi, possono determinare sulla mente e sul corpo?
Il conflitto rappresenta un’accelerazione metabolica psicofisica che determina stress. Come ogni forma di stress si manifesta attraverso tre fasi consequenziali: attivazione, resistenza, esaurimento. Questo andamento, comporta un dispendio incredibile di risorse con innesco di diversi focolai infiammatori che possono portare fenomeni difficili da diagnosticare (ad esempio febbre acuta) e da curare. Nei casi più gravi, si può arrivare a quadri di immunodepressione severa che possono simulare quadri di AIDS.
Ma l’AIDS, non dipende da virus?
Esistono prove documentali abbastanza accreditate in grado di dimostrare che i quadri di AIDS possono dipendere da uso di droghe, da trasfusioni ematiche ripetute e, soprattutto, da psicosomatosi severe.
Io, spesso, animata dalla voglia di migliorare, ho tentato di forzarmi nei cambiamenti, con conseguente sofferenza e sensazione di sgretolamento, che, grazie al suo aiuto, sono riuscita sempre a risolvere. Come ci si deve comportare praticamente per risolvere i conflitti psicologici, rispettando, però, l’esigenza di difendere la propria coesione?
È compito dell’analista metterla nella condizione di liberarsi, gradualmente, dei conflitti, disinnescando, con cautela, le mine che, altrimenti potrebbero deflagrare, rigurgitando cattivi ricordi.
Una persona con molti conflitti, che decide di risolverli, deve fare i conti con le difficoltà legate al cambiamento, ma, la conflittualità che vive, magari trasferita sul corpo, può produrle danni?
Se il lavoro viene effettuato durante un percorso analitico, non si creano problemi, perché si seguono delle tappe "guidate" e "protette".
Quando il meccanismo di incapsulamento dei conflitti diventa un’abitudine, cosa succede nell’essere umano, a medio e a lungo termine, visto che così viene bloccata l’energia necessaria per il generale funzionamento dell’organismo umano?
A lungo andare, si pongono le basi per una sindrome depressiva.
I conflitti dovuti a sensi di colpa mi sembrano quelli che provocano più sofferenza. Tuttora, in casi del genere, mi succede di comportarmi volutamente in maniera logica e di sentirmi, poi, in difetto, e, quindi, di pensare che forse avrei fatto meglio a sottostare al ricatto affettivo......Come ci si deve comportare per cambiare senza rischi di pentimento?
Le ho risposto prima. Bisogna stabilire, logicamente, qual è la posizione corretta e poi seguire la direzione corretta: qualunque persona che si opponesse, rappresenterebbe un pericolo per la nostra "integrità" globale... e di conseguenza, andrebbe allontanata.
Per realizzare i cambiamenti delle proprie idee scorrette, è sempre necessario l’aiuto dell’analista?
Si, è necessario l’aiuto di un analista perché, altrimenti, si aggiungerebbe alla propria personalità, una sovrastruttura che darebbe un parvenza di cambiamento.
Ora le spiegherò qualcosa di più approfondito sul mondo dei conflitti e, inoltre, come si affrontano durante un trattamento analitico. Anzitutto c’è da dire che le possibili modalità di "gestione" dei conflitti, sono tre:
- Incapsulamento "protettivo" (crea "blocchi" di energia pronti ad esplodere anche a distanza di tempo)