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La tutela ambientale e le "maglie giudiziarie"
di Maria Cipparrone  (  mariellacipparrone@libero.it )

11 dicembre 2000

L'ambiente e la natura vanno rispettati. Chi non lo fa può incorrere in avventure poco piacevoli. Attraverso la vicenda giudiziaria, sono narrate le vicissitudini di un sindaco poco sensibile.


Il caso pratico proposto è quello relativo ad una discarica abusiva, gestita cioè in difformità di legge.

Vicenda di sicuro interesse per la collettività perchè relativa al reato, che vide come imputato il sindaco di un paese, per aver realizzato e gestito un impianto di discarica per i rifiuti solidi urbani senza l’obbligatoria autorizzazione regionale. Al caso, la stampa locale dette grande rilevanza, vista l’attenzione, sempre maggiore, mostrata negli ultimi anni, dai governi degli Stati più importanti, dalle Associazioni sorte a tutela dell’Ambiente e, infine dalle Associazioni dei consumatori, relativamente alla salubrità dell’ambiente, all’ecosistema e ai vari tipi di inquinamento esistenti che hanno da tempo, ormai, alterato l’equilibrio biologico naturale dei mari, dei fiumi, dei torrenti, dei boschi, delle foreste e della stessa atmosfera, con ricadute sulla qualità della vita. I reati di cui dovette rispondere il sindaco e, per i quali fu condannato, sono previsti dagli articoli 6 e 25, comma II° DPR 915/82, 349 e 734 codice penale. 

Gli Articoli 6 e 25, comma II° DPR n.915/82 riguardano la realizzazione e gestione di un impianto di discarica per rifiuti solidi urbani senza essere in possesso della prescritta autorizzazione regionale. Per tale reato è previsto l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda da L 100.000 a L 5.000.000.

L’articolo 349 I° comma c.p. prevede la violazione di sigilli, apposti per disposizione di legge o per ordine dell’Autorità, per assicurare la conservazione o l’identità di una cosa. Chiunque li violi è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni.

L’articolo 734 c.p. disciplina, invece, la distruzione o il deturpamento di bellezze naturali da parte di chi, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità, prevedendo come pena, l’ammenda da lire due milioni a dodici milioni.

Le indagini, relativamente al fatto in oggetto, erano state condotte dai brigadieri del Corpo Forestale dello Stato, che avevano provveduto, tramite relazione di servizio, a denunciare, all’Autorità Giudiziaria, l’esistenza della discarica nell’ambito territoriale del comune, dove risultava sindaco l’imputato.

Tale discarica, dalle documentazioni relative ai sopralluoghi degli uomini del Corpo Forestale ed in base ai rilievi fotografici, era in netto contrasto con le leggi vigenti.

Tra i rifiuti non c’era distinzione fra speciali ed urbani. Gli speciali erano quelli (e sono quelli) relativi ad elettrodomestici in disuso, macchine rottamate, prodotti di scarico di cliniche ed ospedali, ecc.

Tali rifiuti, inoltre, non risultavano né interrati, né compattati, ma, facevano bella mostra di sé, con accanto del bestiame al pascolo, intento a cibarsi tra quella massa di detriti e tossine. L’unico modo, poi, per eliminarli, era quello di dargli fuoco, con tutto ciò che ne era derivato a livello di inquinamento atmosferico, nubi tossiche, esalazioni ed infiltrazioni nel terreno con conseguente inquinamento del fiume limitrofo. Tale situazione, peraltro, si evinceva ed era suffragata dalla relazione del dirigente dell’Ufficio Gestionale Urbano e Territoriale di Zona.

Gli elementi di responsabilità a carico del Sindaco erano tangibili e, furono confermati dalle testimonianze dei brigadieri del Corpo Forestale dello Stato che, avevano condotto e coordinato le indagini.

Il caso era stato studiato in maniera molto approfondita. Ciò che era in discussione non era di poco conto.

Ma ciò che convinse il pubblico ministero a chiedere la condanna per l’imputato, furono non tanto le sue responsabilità per aver realizzato e gestito tale discarica senza le necessarie autorizzazioni ed in più, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, perché ciò era provato dai documenti relativi ai sopralluoghi degli agenti, dai rilievi fotografici e dalle testimonianze, ma la sua superficialità, la sua noncuranza e disattenzione verso una questione tanto delicata, dimostrata attraverso la violazione dei sigilli, nonostante il decreto di sequestro dell’Autorità, che prescriveva il divieto di conferimento di altri rifiuti, e la mancata esecuzione degli interventi di bonifica, che dovevano essere effettuati entro quattro mesi dalla data sequestro, e che invece non furono effettuati.

Pertanto, alla fine dell’istruttoria dibattimentale, nella requisitoria, la pubblica accusa mise in evidenza ciò che risultava dagli atti processuali e documentali e, dai quali emergeva la responsabilità del Sindaco, unitamente alle testimonianze dei brigadieri del Corpo Forestale dello Stato, che avevano per molti mesi, con dovizia di particolari, come già detto sopra, condotto le indagini, inoltre, allegò una sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (n. 6169/89), che metteva correttamente in risalto anche per il sindaco di un Comune, pur obbligato per legge allo smaltimento dei rifiuti, la necessità di essere in possesso dell’autorizzazione regionale per la realizzazione e la gestione di discariche.

Ma ciò su cui si pose l’accento, fu l’elemento psicologico, presente nella condotta dell’imputato, (che è, poi alla base di ogni condotta umana), per il fatto che, anche in presenza dei sigilli posti dall’Autorità Giudiziaria con il decreto di sequestro, in cui si faceva divieto di continuare a smaltire i rifiuti in quella discarica abusiva e si prescrivevano opere di bonifica entro i successivi quattro mesi, non si era attivato, pur avendone la possibilità ed i mezzi, per quanto riguarda le opere di risanamento, ma addirittura aveva consentito ancora l’uso di quella discarica per lo smaltimento dei rifiuti del Comune e dei territori circostanti ricadenti nella sua amministrazione. Anche in questo caso si riportarono alcune sentenze della Cassazione Penale che parlavano del noli tangere (non toccare) sull’intera cosa (in questo caso la discarica), in riferimento al divieto posto per disposizione di legge o per ordine dell’Autorità con l’apposizione dei sigilli.

Tutto ciò mostrava, (e ciò si sottolineò al Giudicante), da parte dell’imputato un atteggiamento di disinteresse e non rispetto verso la comunità di cittadini dallo stesso amministrata e, nel contempo il dovere civico di un Sindaco di salvaguardare l’ambiente, come patrimonio di tutti.

Dal punto di vista psicologico, il problema risiedeva nella personalità dell’imputato, come, d’altronde, sempre avviene quando una persona, attraverso una determinata condotta raggiunge un risultato che, previsto dalla legge come reato, è un deviare dalla norma, intesa non solo come quella di legge, ma prima di tutto come "normalità" e cioè da un comportamento, che partendo dall’essenza e dalla naturalità dell’uomo, sia teso all’appagamento di ciò che è necessario per una vita soddisfacente, nella conoscenza prima e, nel rispetto dopo, di se stessi e degli altri.

Il Pm, quindi, chiese la condanna dell’imputato, naturalmente incensurato, a quattro mesi di arresto e L 70.000 di ammenda per il reato previsto dagli art. 6 e 25 DPR 915/82, a quattro mesi di reclusione e L 1.000.000 di multa per il reato di cui all’art. 349 c.p. e L 700.000 per il reato di cui all’art. 734 c.p., previa concessione delle attenuanti generiche.

Il Giudice accolse le sue richieste ed anzi, per il reato relativo all’art. 734, cioè quello sul vincolo paesaggistico condannò il sindaco al pagamento di un’ammenda di L 6.000.000.

Dal caso trattato discendono delle informazioni di interesse generale sul TEMA AMBIENTE.

A questo proposito e su questo tema molto dibattuto, è interessante rilevare come anche le varie Associazioni per la tutela dei consumatori, soggetti emergenti del Mercato, abbiano rivolto la loro attenzione, ma anche le loro iniziative verso la salvaguardia dell’ambiente, che è un bene da tutelare nell’esclusivo interesse di chi, come gli esseri umani, hanno bisogno per una buona qualità di vita e di salute, che venga protetto l’habitat naturale in cui si è inseriti e di cui si fa parte.

Spesso, proprio per l’azione diretta e massiccia di alcune associazioni di consumatori, c’è stato l’intervento del legislatore sia a livello dei vari Stati, sia a livello di Comunità Europea.

Precedente a queste iniziative è, comunque, per esempio la Convenzione OPCR del 1990, che prevede che i paesi associati cooperino al fine di ridurre i danni dell’inquinamento con la pulizia delle cisterne e delle fonti terrestri.

Del 1997 è, invece, l’iniziativa italiana di alcuni comuni milanesi, dopo l’entrata in vigore del Decreto Ronchi del Ministero dell’Ambiente n.22 del 05/02/97, emanato con l’obbiettivo di ridurre fino all’eliminazione il conferimento dei rifiuti solidi in discarica a favore del riutilizzo dei rifiuti come materiale riciclabile e la trasformazione della tassa dei rifiuti in tariffa rifiuti, del progetto per incentivare la raccolta differenziata degli stessi, attraverso un accredito riconosciuto ad ogni cittadino, scalato dalla Tariffa Rifiuti Comunale.

Altra iniziativa degna di nota è quella di alcune associazioni di Consumatori che si sono interessate ed impegnate sia a livello giudiziario che sociale nella riduzione dell’esposizione ai campi elettromagnetici sia a bassa che ad alta frequenza, per i quali esistono studi scientifici internazionali ma anche italiani sulla probabile pericolosità per la salute umana specie nel cd. "campo vicino" e, che, inducono a ritenere indispensabile l’applicazione di un principio di minimizzazione dei rischi, cioè ridurli al minimo.

Ciò che appare importante è comunque l’informazione corretta relativamente ai problemi ambientali, che ha spinto ad una collaborazione le imprese e le organizzazioni dei consumatori.

Il problema non si esaurisce nella protezione del consumatore, ma riguarda anche l’educazione del produttore a soddisfare le nuove esigenze che il consumatore consapevole comincia a manifestare.

E’ qui, che si inserisce il ruolo delle organizzazioni dei consumatori nel farsi portavoce delle esigenze della domanda (consumatori), affinché le imprese apprendano come soddisfarla.

Nasce così l’esigenza delle imprese, nel lavoro relativo ai progetti di compatibilità ambientale di ottenere una "certificazione" preventiva per ciò che si è realizzato condividendo con i consumatori ciò che si è appreso in questo campo.

Da ricordare che uno dei diritti del consumatore è quello di essere informato.

Nell’ambito, perciò, del V Programma Politico e d’Azione per l’Ambiente, la Commissione Europea ha emanato i regolamenti sull’Ecolabel (Sistema Comunitario di assegnazione di un marchio di qualità ecologica) ed Emas (Adesione volontaria delle imprese del settore industriale ad un sistema comunitario di ecogestione ed ecoaudit) e, il Centro di Normazione Europea ha adottato le norme della serie ISO 14000, certificazione di compatibilità ambientale necessaria per le industrie europee e per quelle italiane, e non solo per quelle di grandi dimensioni.

Avv. Maria Cipparrone

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