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Barack Obama...
di Francesco Chiaia  ( francescochiaia@libero.it ) e di Giuseppe Chiaia  ( peppinochiaia@libero.it )

9 novembre 2008






Un fenomeno dovuto al coraggio delle proprie idee o una scontata elezione?


 

Approfondimenti sociali

Premettiamo:

questo è un "pezzo" scritto a due mani da padre e figlio, non per ricalcare la sfida generazionale che ha visto protagonisti il neo Presidente USA ed il suo "competitore" John McCain, ma per la voglia di scrivere di uno stesso fenomeno partendo da due punti di vista diversi, non migliori né in competizione: diversi.

Punti di osservazione che si lascia al lettore scoprire di volta in volta a chi di noi due appartengano.

Passiamo al nostro tema.

Da oltre un mese, i mezzi di comunicazione di tutto il mondo facevano presagire la vittoria del giovane avvocato statunitense di colore; ma, nessuno azzardava un pronostico certo.

E chi poteva immaginare che il puritanesimo dei discendenti del May Flower, i fautori dell’apartheid, i settari del Ku-Klux-Klan, avrebbero, un giorno, sopportato un discendente di Kunta Kinte a guidare il mondo dalla mitica stanza ovale?

Eppure questo presagio era nell’aria; la dinastia dei petrolieri stava per aver termine, e, forse, anche Enrico Mattei, da lassù, avrà gioito.

Chi ha seguito la campagna elettorale del "Giovane" Barack, non può non ricavare dai suoi innumerevoli discorsi ( sempre tenuti a braccio e mai letti ) una diversa visione della politica, intesa, quest’ultima, nel significato più puro e più antico: quello aristotelico.

C’è, nelle parole ispirate del 44° Presidente degli U.S.A., un concetto ripetuto e dominante: quella ricerca della felicità che fu nei voti dei Padri della Costituzione americana; felicità che nasce dal lavoro, dalla libertà garantita dalla reciprocità, dal diritto riconosciuto a ciascuno di percorrere il cammino della elevazione culturale, dalla libera manifestazione delle idee.

Scontato, in questo clima nel cui osserviamo il dato, l’elogio del differente, del nuovo del giovane, del vincente.

Ma sarà così?

Al momento, una grave crisi economica serpeggia per tutto il pianeta; una pericolosa deriva economica minaccia lavoro ed impresa; e mentre tutti gli Stati si affannano nella ricerca di una panacea politica che valga a scongiurare i deleteri effetti di una recessione mondiale, ecco che proprio dagli U.S.A. ci viene una lezione di riscossa sociale che ha le proprie fondamenta nella pratica di un sistema democratico che affonda le proprie origini nella Grecia di Solone e di Pericle.

Oggi come allora, la democrazia si pratica nel consentire a chiunque di partecipare al governo della cosa pubblica; e se in Atene tutti i cittadini potevano gestire il "Sigillo legislativo della città", ciò era consentito una sola volta e per un sol giorno; tanta era la paura della tirannide.

Si dice che quando un re governa male, è il re a cambiare la Nazione: quando a governare male è un presidente, è il popolo che cambia il presidente.

Bush padre e Bush figlio hanno governato male; ed allora per il nuovo mandato il popolo americano ha chiamato un giovane, un uomo venuto da Harlem, un simbolo del risveglio e della lotta contro ogni deriva politica, sociale ed economica: un afroamericano. E’ il ritorno di quel "New Deal" che, da Monroe a F.D.Roosevelt, costituisce una meravigliosa sintesi di conservazione e progresso.

Ed è alla teoria politico-sociale del " New-Deal" che il democratico F.D.Roosevelt improntò la sua azione politica (non si dimentichi che il Presidente degli Stati Uniti detiene il potere esecutivo) intervenendo anche nel frenare l’eccesso della produzione se quest’ultima non fosse stata capace di garantire il potere d’acquisto delle masse popolari: ecco perchè sottopose a severi controlli i grandi cartelli industriali come le banche ed il relativo mercato azionario.

Eppure dall’ascolto dei Media si rileva che Obama ha intenzione di nominare nei ministeri chiave ( tipo quello della difesa) uomini repubblicani,

mossa vincente.

Ma in quale contesto si può parlare di mossa vincente?

Il contesto politico non può mai prescindere da quello sociale, ad esso debitore e da esso giudicato. Negli Stati Uniti ha sempre prevalso in ogni fenomeno sociale la contraddizione, nel senso della contrapposizione tra due aspetti di uno stesso contesto ognuno attraente con forza uguale e contraria rispetto all’altro; basta rileggere la loro recente storia per rendersene conto.

Ad esempio, si pensi al puritanesimo, di cui sopra si accennava, a cui, in netta contrapposizione, si pone l’estrema libertà morale di costumi del popolo statunitense, una ribellione intesa come una sorta di resistenza in nome della libertà soffocata.

Soffocata...ma da chi? O da cosa?

Un fenomeno sociale è frutto di un comportamento reiterato nel tempo dalla collettività e generalizzatosi in nome di una correttezza, tale, solo perché scaturente dal comportamento posto in essere da tutta quella stessa collettività; beh, se è così, vi sarebbe da giustificare tutti i fenomeni ideologici e comportamentali succedutisi nel tempo, così le dittature, così gli stati sociali. Si precisa che non si vuole giustificare genocidi o quant’altro, ma solo rappresentare le contraddizioni degli uomini che hanno contribuito a fare la storia dell’umanità.

Bertrand Russel ha affermato che in ogni epoca vi sono stati uomini e donne che hanno contrastato con le loro idee lo status quo, quegli uomini e quelle donne che andavano contro corrente erano bollati come pochi pazzi. A quei pochi pazzi, dice Russel, pare sia dovuto il progresso; più o meno questo il pensiero del grande filosofo, vissuto ben oltre i 90 anni.

Con queste premesse, chiameremmo Barack Obama "pazzo"?

 

C’è un’ultima considerazione da fare: il Partito democratico nostrano gioisce della vittoria di Barack Obama; il Partito della Libertà, di pari passo, inneggia a questa lezione di democrazia: Dante, narrando nel terzo canto del Purgatorio della triste sorte di Manfredi - figlio naturale di Federico II - così lo dipinge " Biondo era bello e di gentile aspetto..." ed allora a chi si deve credere, al Presidente Berlusconi che, riecheggiando Dante, ci tratteggia icasticamente il giovane Barack " giovane, bello ed abbronzato..." oppure al neo-metodista Walter che si sente offeso per gli aggettivi berlusconiani nei confronti del nuovo eletto, assumendone una difesa d’ufficio che non gli spetta, dal momento che questo giovane Presidente ha saputo dimostrare come non si insuperbisce per la vittoria, dando merito al suo avversario McCain per la signorilità di comportamento durante la campagna elettorale e ricevendo l’omaggio e la stima dello sconfitto, che tale, a ben guardare, non è.

Infatti, c’è da dire che una vittoria, nella maggior parte dei casi, è frutto di una competizione, e la figura del vincente è tanto più esaltata dalla figura dell’avversario, è questo un principio tanto scontato da essere dimenticato nella disamina della competizione, eppure se l’avversario non è valente, la tua vittoria...è scadente. La gioia della vittoria di Barack è merito della battaglia condotta dal "vecchio" John che, da uomo d’onore, lo ha ringraziato e riconosciuto come "...il mio presidente!!!" un lodevole gesto che, anche se frutto di quel puritanesimo, ridà della dignità alla politica.

La differenza non è solo tra la nostra Repubblica e lo Stato federale statunitense, dove al potere esecutivo quasi assoluto, corrisponde la limitazione temporale dello stesso: ma anche tra i governanti e gli aspiranti tali.

sotto uno strato vistoso di vernice democratica, in Italia nascono e si perpetuano vere e proprie dinastie politiche che si tramandano di padre in figlio e, spesso, si perpetuano nella nomina a senatori a vita; e non tutte frutto di scienza e conoscenze.

 

Giuseppe e Francesco Chiaia.

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