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L’intelligenza umana
di Stanislao Guglielmelli  

6 settembre 2003

Vi presentiamo un interessante lavoro scientifico che ci aiuta a ad approfondirci sull'intelligenza umana.


 

Nel tentativo di definire il termine "intelligenza" si adotta il concetto di intelligenza "naturale" intesa come somma delle capacità mentali e comportamentali che possono essere osservate negli uomini ed anche in altri animali .

Comunemente si ritiene che l’intelligenza consista in capacità quali risolvere problemi, fare delle somme, imparare, affrontare nuove situazioni ecc.

Spesso viene fatta una distinzione tra intelligenza e specifiche capacità intellettive, intendendo per intelligenza la capacità di acquisire particolari nozioni o abilità piuttosto che possederle, così ad esempio è ritenuto più intelligente chi impiega pochi minuti per risolvere semplici equazioni a dispetto di chi invece impiega un tempo maggiore, anche se quest’ultimo dimostra di possedere notevoli capacità intellettive.

L’intelligenza intesa come miscela di capacità (giudizio, comprensione, ragionamento, formazione di concetti, reazioni appropriate, adattamento) dimostra la natura e molte altre facce dell’intelligenza in cui elementi come l’intuizione, il giudizio e la saggezza sembrano prescindere da un vero e proprio processo di apprendimento.

Inoltre è opinione comune ritenere la capacità di attività creativa come una forma di intelligenza.

Un atto creativo è caratterizzato da un comportamento inaspettato infatti, spesso, rappresenta una rottura con i metodi tradizionali e convenzionali.

Esso può rappresentare una nuova soluzione ad un problema, una nuova intuizione, un nuovo progetto.

Individui creativi possono essere scienziati, artisti, manager, clown, politici, ecc. La presenza dell’intelligenza influisce sempre sul comportamento inteso come processo di risposte e specifiche situazioni problematiche e poiché un comportamento intelligente è riscontrabile in tutti i sistemi biologici, molti psicologi hanno interpretato l’intelligenza come un meccanismo di adattamento sviluppato per garantire la sopravvivenza delle specie biologiche e quindi come un fenomeno legato esclusivamente alle capacitò interne dell’individuo che seguono leggi proprie.

L’individuo è visto come fonte delle proprie azioni ed i successi e gli in successi che da esse derivano come dirette conseguenze delle sue disposizioni interne.

Una tesi opposta vede il comportamento come risultante esclusivamente della interazione con l’ambiente esterno in cui l’individuo opera; questa problematica ha determinato una divisione tra Ambientalisti, Genetisti o Innatisti.

Natura dell’intelligenza

Per gli Ambientalisti l’intelligenza deve essere intesa come una capacità che si può apprendere tramite una educazione o un addestramento adeguato e quindi può essere fornito, all’organismo, dall’esterno.

Per gli Innatisti l’intelligenza, invece, è una potenzialità genetica posseduta dall’organismo e funzione esclusiva di fattori ereditari e pertanto, non suscettibile a cambiamenti dovuti all’interazione con l’ambiente esterno.

A tale proposito sono stati condotti vari esperimenti volti a stabilire quanto, sull’intelligenza, incida il fattore genetico ed il fattore ambientale.

Secondo Jean Piaget tratti principali dell’intelligenza umana traggono origine da opportuni modelli di azione e poiché la conoscenza ha origine nell’azione, lo sviluppo infantile, per Jean Piaget, consiste in una graduale consapevolezza di uno spazio distante ed esteso.

L’intelligenza del bambino infatti si sviluppa parallelamente alle stimolazioni ed alle percezioni a cui, il bambino, è gradualmente sottoposto.

Per Piaget l’intelligenza intesa come capacità di interazione verbale o riflessa si fonda su una intelligenza pratica, o senso - motoria, la quale si basa su abitudini e associazioni acquisite utilizzabili, al momento opportuno, per costruirne di nuove.

La connessione tra queste due forme di intelligenza sono dovute ad un complesso sistema di rilessi legati alla struttura anatomica e morfologica dell’organismo stesso.

E’ pertanto, utile chiedersi se c’è continuità tra l’intelligenza e i processi puramente biologici di morfogenesi e di adattamento all’ambiente.

E’ possibile che fattori ereditari influenzino lo sviluppo intellettuale ?

Tra i fattori ereditari è opportuno distinguere tra quelli di ordine strutturale, cioè legati agli organi di senso ed al sistema nervoso, che ci permette la ricostruzione di nozioni fondamentali quali l’idea di spazio, e quelli di ordine puramente deduttivo che ci permettono di concepire grandezze e spazi che non si evinco dall’esperienza fisica.

I caratteri del primo tipo, pur fornendo strutture utili all’intelligenza, sono comunque essenzialmente limitativi, mentre l’attività deduttiva ed organizzativa della ragione è praticamente illimitata e può condurre a concezioni di spazio e di tempo che oltrepassano ogni intuizione.

Pur essendo questa attività ereditaria è comunque da considerarsi come un’eredità del funzionamento e no della trasmissione ereditaria intesa come trasferimento genetico di dati che avviene da individua ad individuo.

La problematica dell’eredità dell’intelligenza è stata affrontata da H. Poncairè il quale distingue l’intelligenza in relazione alla sua struttura; definisce "eredità speciale" quella struttura di intelligenza che differenzia la specie umana dalle altre e soprattutto da quella dei primati; ed "eredità generale" quella che consente l’organizzazione vitale consentendo, all’organismo, di adattarsi alle variazioni ambientali salvaguardando, così, la conservazione della specie.

Ma come potrebbe, l’organismo, adattarsi a tali variazioni se non fosse già organizzato ?

Questa capacità dell’uomo, "ipse intellectus" che non proviene dall’esperienza, è evidentemente legata alla "eredità generale" e consente l’elaborazione di funzioni di coerenza, di riferimento e di ogni organizzazione intellettuale.

Senza dubbio questo secondo tipo di realtà psicologica ereditaria è di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’intelligenza.

Questa capacità può essere ricollegata all’a priori definito dai filosofi e erroneamente inteso, come un complesso di strutture possedute fin dall’inizio dello sviluppo.

Ma se ammettiamo che la caratteristica funzionale del pensiero agisce fin dagli stadi primitivi e che interagisce gradualmente sulla coscienza, grazie ad un complesso processo adattativo che è funzione della coscienza stessa, allora, l’a priori, deve essere inteso come una intricata rete di strutture riscontrabili al termine dell’evoluzione delle nozioni e non al loro inizio.

Pur essendo, quindi, ereditario l’a priori si trova agli antipodi di ciò che un tempo era conosciuto col termine di "idee innate".

Le strutture del primo tipo meglio ricordano il concetto classico di idee innate, infatti è possibile parlare di innatismo a proposito dello spazio e delle percezioni e considerare queste potenzialità come un insieme di dati interni che saranno continuamente superati dall’esperienza esterna e dall’attività intellettuale.

Intelligenza intesa come adattamento

L’intelligenza, può, essere intesa come una forma di adattamento tra l’organismo ed il suo ambiente, ciò determina la creazione continua di forme di intelligenza sempre più complesse capaci di generare un equilibrio progressivo tra queste forme e l’ambiente stesso.

Considerare l’intelligenza solo dal punto di vista puramente biologico, significa che la sua funzione primaria è quella di ristrutturare opportunamente l’universo per potersi garantire una sempre crescente qualità della vita.

Pertanto per descrivere il meccanismo del pensiero basterebbe considerare tutti i caratteri invariati comuni a tutte le specie biologiche.

Col termine di adattamento è, invece, indispensabile concepire tutti quei processi della conoscenza che mettono in relazione pensiero e cose.

Mentre l’organismo si adatta, all’ambiente, costruendo materialmente forme nuove, l’intelligenza crea strutture mentali, sempre più complesse, adattabili all’ambiente stesso.

Inizialmente lo sviluppo mentale può essere strettamente collegato allo sviluppo biologico ma successivamente, quello mentale lo supera pervenendo al concepimento di strutture che ribaltano il concetto di adattamento, inteso come adattamento dell’individuo al suo ambiente, e determina un fenomeno opposto in cui l’ambiente si adatta alle necessità dell’organismo.

Il processo di evoluzione dell’intelligenza nell’uomo fu realizzato da Piaget il quale si interessò delle varie fasi di sviluppo a partire dall’età infantile fin all’età adulta.

La problematica affrontata era rivolta a chiarire quali fattori ambientali o genetici fossero preponderanti nella evoluzione della intelligenza nei bambini.

Sotto questo aspetto, Piaget deve essere considerato lo studioso che a prodotto i tentativi più esaurienti per spiegare le origini e l’evoluzione dell’intelligenza umana.

La sua teoria trae spunto dal lavoro dello psicologo dell’ottocento James Mark Baldwin il quale studiò per primo il processo di adattamento iniziale del neonato all’ambiente.

Percezione ed intelligenza

Secondo le teorie di Piaget è necessario fare una distinzione tra percezione ed intelligenza.

La definizione fatta da Baldwin nel 1905 secondo la quale "l’intelligenza o intelletto è il contrasto tra le sensazioni in quanto materiale, da un lato e l’elaborazione di tale materiale operata dalla mente, dall’altro", spinse Piaget a riconsiderare l’assunto tradizionale relativo all’intelligenza.

Per tradizione si assumeva che la percezione fosse priva di struttura e che consistesse di semplici sensazioni, alle quali la mente doveva dare interpretazioni e coerenza.

Nel neonato, però, la percezione è inadeguata a dare al bambino informazioni su un mondo tridimensionale; pertanto secondo Piaget, nel bambino, la percezione visiva nei primi mesi di vita è costituita da sole scene bidimensionali e quindi soltanto la coordinazione tra tatto e vista fa acquisire solidità agli oggetti visivi e lo spazio risulta separato da vari piani di profondità solo quando il bambino comincia a camminare a carponi.

Il controllo del senso della vista e dell’udito spetta al sistema motorio ed al senso del tatto.

Dato che la conoscenza nell’uomo ha origine nell’azione, è indiscutibile che l’interazione con l’ambiente sia determinante per un corretto sviluppo intellettivo.

Lo sviluppo dell’intelligenza, nei bambini, non è però solo funzione di una interazione fisica con il mondo esterno.

Infatti vari concetti (come quello della "permanenza" cioè la capacità di avere presente oggetti rimossi dalla percezione) sono presenti in uno stadio molto precoce che non risente quindi della esperienza vissuta ed inoltre, bambini nati con handicaps motori possono avere uno sviluppo simile a quello raggiunto da bambini in grado di interagire normalmente con l’ambiente esterno.

Piaget asserisce che lo sviluppo intellettuale pur emergendo da radici biologiche, i cui meccanismi ereditari più rilevanti sono i riflessi innati, si sviluppa mediante i fenomeni di percezione legati agli organi di senso: vista, udito, tatto ecc.

Tali riflessi di volta in volta utilizzati modificano il comportamento poiché inglobano le esperienze precedenti determinando uno sviluppo moto - sensoriale di tipo circolare cioè ripetitive, autonome, in cui l’azione stessa, esplicandosi con i sensi, rappresenta lo stimolo alla propria ripetizione.

La coordinazione tra reazioni circolari a vari livelli di organizzazione e sviluppo da origine alla conoscenza e struttura l’intelletto.

La capacità di interazione e di coordinazione delle varie reazioni circolari completa la capacità biologica innata dell’intelletto-

I programmi basati su meccanismi di percezioni visive, uditive e di tatto generano la conoscenza intesa come graduale consapevolezza delle proprie capacità.

La teoria secondo la quale il bambino matura la conoscenza tramite l’azione viene messa in discussione da Decarie il quale dimostro che in bambini affetti da focomelia (bambini nati senza braccia o senza gambe), lo sviluppo intellettivo seguiva la sequenza piagetiana.

Infatti la maggior parte dei bambini sviluppò intelligenza, pensiero e linguaggio normali, nonostante gli handicaps motori li privassero di quelle esperienze sensoriali, ritenute fondamentali per lo sviluppo intellettuale.

A considerare la teoria di Decarie subentrò James Gibson il quale basandosi sui meccanismi di percezione spaziale del neonato attribuì all’intelligenza meccanismi di percezione e di attenzione presenti fin dalla nascita.

Secondo James Gibson, la percezione spaziale nel neonato non inizia con una visione visiva a mosaico piatto alla quale si aggiunge, in seguito la profondità tramite la percezione, ma è adeguata a stabilire le reazioni tra il bambino e l’ambiente.

Secondo le teorie sull’origine dell’intelligenza, due sono i punti essenziali da esaminare: primo la percezione permette di rilevare le proprietà fisse e variabili dell’ambiente e secondo che nello sviluppo dell’intelligenza si tende a rilevare quelle proprietà dell’ambiente che sono significative nel processo di adattamento.

Pertanto da queste considerazioni è logico chiedersi se l’intelligenza non abbia radici nei meccanismi di percezione e di attenzione, di cui sono dotati fin dalla nascita.

Ad avvalorare questa tesi esistono studi mirati a stabilire se vista e udito sono collegati tra di loro o sono indipendenti.

In proposito Elizabeth Spelte ha dimostrato che neonati sottoposti a guardare due schermi video identici, posti uno accanto all’altro, preferiscono guardare quello sincronizzato con il suono emanato da un altoparlante posto tra i due schermi.

Scoperte altrettanto valide sono state effettuate per stabilire la coordinazione tra vista e tatto.

Per esempio Meltroff e Borton hanno dimostrato che, nei bambini, il contatto orale trasmette informazioni al sistema visivo è cioè che le sensazioni che un oggetto produce in bocca al neonato forniscono informazioni sul suo aspetto.

L’esperimento condotto su neonati ai quali per 28 giorni è stato fatto succhiare un oggetto bitorzoluto di forma insolita ha dimostrato che se in seguito ai bambini, venivano mostrati altri modelli, più grandi e levigati, questi preferivano osservare la forma dell’oggetto bitorzoluto.

Molti altri esperimenti hanno portato a concludere che i sistemi percettivi nei bambini si sono evoluti in modo da raccogliere informazioni che convalidano la realtà e che, pertanto, il mondo percettivo nei bambini non è dato da un insieme di sensazioni solide.

L’esistenza di queste relazioni tra i sensi contrasta la teoria Piagetiana secondo la quale tali relazioni erano poco sviluppate.

Innatisti e Ambientalisti

La teoria Piagetiana trova corrispondenza con quella ambientalista. Infatti per gli ambientalisti l’intelligenza viene, intesa come capacità potenziale propria di ogni organismo, può essere insegnata ed esercitata mediante metodi appropriati e quindi no è da considerare patrimonio genetico ma dipende e si sviluppa nell’ambiente in cui si vive.

Tra i numerosi esperimenti relativi all’addestramento dell’intelligenza si ricordano il programma di R. Klaus e S. Gray noto come "Early Training Project" cioè "Programma di addestramento precoce".

Tramite questo programma, condotto su bambini delle scuole elementari provenienti da ambienti poveri, i due psicologi dimostrarono che un ambiente povero contribuisce scarsamente sulla formazione intellettuale dell’individuo, e pertanto lo sviluppo dell’intelligenza non può avvenire senza opportuni stimoli.

Al contrario, per i genetisti, l’intelligenza è strettamente dipendente da fattori propriamente genetici, di carattere innato ed individuale e dipende in rapporto di 4 a 1 da contributi relativi all’eredità e contributi relativi all’ambiente.

In sostanza i fattori genetici incidono per l’80% nella formazione del Q.I. (quoziente d’intelligenza) che si riscontra in una data popolazione.

Pertanto i genetisti ritengono che un programma tipo "Early Training Project" sia inopportuno da effettuare in quanto non è possibile costringere bambini con differenze intellettive di base ad operare secondo un unico schema didattico che non tiene conto di tali differenze.

Un altro aspetto fondamentale che avvalora la tesi degli innatismi è sicuramente rappresentato dalla capacità di risolvere problematiche non attinenti al mondo sperimentale.

Se consideriamo, infatti, il processo con cui un matematico crea una dimostrazione ci accorgiamo che spesso non utilizza schemi a priori ma utilizza la capacità di sintetizzare tutti i percorsi logici che conosce avvalendosi prevalentemente di una attività intelligente fondamentale quale l’intuito.

In proposito Roger Penrose ha condotto degli studi con l’intento di dimostrare che: "nell’intelligenza matematica c’è un elemento non deduttivo che sfugge a qualsiasi descrizione computazionale".

La componente innata per gli innatismi deve essere intesa come un fattore ereditario e pertanto variabile da individuo ad individuo e da specie in specie.

Nella specie umana questo fattore determinerebbe lo sviluppo di un differente quoziente intellettivo.

Già nel 1969 Jansen pubblicò un articolo sulla "Harward Educational Review" dove asseriva che il 70 - 80% delle variazioni del Q.I. era data dal fattore ereditario (varianza genotipica).

Questa teoria non spiega, però, la differenza di Q.I. che si riscontra in gemelli omozigoti alleati in ambienti diversi; perché se fosse valida la teoria Jansen indipendentemente dall’ambiente in cui crescono, i gemelli dovrebbero possedere un Q.I. comparabile.

Mediante ricerche condotte su tale argomento F.N Freeman; K.J Holzinger e B. Mitchell hanno rilevato che il Q.I. non dipende né da soli fattori genetici né da soli fattori ambientali, bensì delle possibilità che questi hanno di svilupparsi automaticamente.

Se, quindi, l’intelligenza è in parte innata, allora tutti gli esseri viventi in quantità differente debbono possederla e allora è possibile indicare una dimensione per l’intelligenza?

Poiché le varie specie eseguono i compiti assegnati meglio o peggio di altre, sembra difficile stabilire una gerarchia tra gli esseri intelligenti ed altrettanto difficile definire le caratteristiche minime fondamentali per la costruzione di una mente intelligente.

Stabilire tali caratteri determina la possibilità di costruire un’intelligenza artificiale capace di simulare quanto avviene nei cervelli biologici.

Gestaltisti e Cognitivisti

Da sempre queste due correnti della psicologia hanno discusso in merito alla natura degli eventi psicologici.

Le posizioni di queste due correnti di pensiero possono apparire contrapposte e spesso antitetiche.

Infatti le arie di contrasto sembrano essere più numerose di quelle di convergenza.

Per la Gestalt nell’analisi di un fatto psicologico è estremamente importante considerare i seguenti punti:

  1. Natura degli eventi psicologici e relative conseguenze a carattere metodologico;
  2. Dottrina dell’isomorfismo;
  3. Ipotesi sulla natura dei processi fisologici e sulle forze che determinano la loro organizzazione.

Per i gestaltisti la risoluzione del problema della struttura e dell’organizzazione non può essere ottenuta con una analisi che parte "dal basso", poiché non si possono spiegare le proprietà di un evento complesso sommando le sue parti elementari.

La ricerca dei gestaltisti è basata sul metodo fenomenologico e sul richiamo all’esperienza diretta.

In base alla dottrina dell’isomorfismo, l’organizzazione degli eventi psicologici rispecchia ed è riconducibile alla proprietà degli eventi neurofisiologici.

Il modello gestaltista è quello dell’autodistribuzione dinamica dei processi che in "campo" cerebrare avviene secondo principi strutturali autoctoni.

La determinazione di tali principi rappresenta uno dei compiti principali dell’indagine psicologica e sono fondamentali per il concepimento di una struttura pensante comparabile alla mente umana.

In contrapposizione alla teoria della Gestalt vi è la teoria Cognitivista, che vede i suoi più insigni esponenti in Lucio Castelfranchi e Parisi ma anche in Flores D’arcais e Vicario, è basata sulla convinzione che l’uomo, o la sua "mente" sia un sistema in grado di elaborare informazioni.

Per i cognitivissti le strutture organizzate a cui si riferiscono i gestaltisti, e cioè agli oggetti percettivi di cui facciamo uso quali, i ricordi, i ragionamenti, le condotte sono da considerarsi il risultato, non di processi di autoregolazione di livello neurofisiologico ma di una complessa serie di operazione di processamento ed elaborazione di informazioni acquisite al momento o già possedute dall’organismo.

Per i cognitivisti le strutture organizzate o Gestalten sono semplicemente un punto di partenza dell’indagine e pertanto il metodo fenomologico deve essere sfruttato per individuare i problemi e non può essere utilizzato come strumento di analisi in grado di chiarire meccanismi di funzionamento della "mente".

Tali meccanismi sono il vero oggetto di studio della psicologia che ha come obbiettivo principale quello di costruire modelli che spiegano come l’informazione viene elaborata dall’organismo.

Tali modelli sostengono Parisi e Castelfranchi "non devono solo rappresentare (modellare) i prodotti della mente, o i principi strutturali che regolano l’attività della mente, ma devono rappresentare anche il modo di produrre questi prodotti e gli effettivi processi in cui i principi strutturali diventano operativi".

Per i cognitivisti, il modello gestaltista del campo celebrare, no solo è inaccettabile in base alla moderna neurofisiologia secondo la quale, il sistema nervoso non elabora e trasmette energia bensì soltanto informazioni, ma soprattutto, non consente di pervenire alla scoperta di leggi che regolano i processi psicologici.

Pertanto questi modelli di funzionamento cerebrare vanno riformulati avvalendosi di termini informatici e biocibernetici.

In contrapposizione al gestaltismo si pone il comportamentismo.

Il comportamentismo, nel tentativo di fondare una rigorosa scienza del comportamento escludendo l’importanza della coscienza e dell’introspezione restringeva il campo di indagine, che per i gestaltisti è invece indispensabile.

I gestaltisti invece allargano il campo di indagine introducendovi fenomeni di organizzazione e di dipendenza delle parti dal tutto.

Gli schemi del comportamentismo sono ispirati all’elementarismo, all’operazionismo e all’ambientalismo.

Il metodo è basato sullo stretto sperimentalismo che impiega strumenti di registrazione e misura che servono a quantificare le singole parti del fenomeno facendogli confluire nel tutto.

Lo gestaltismo è invece caratterizzato da un approccio solistico "dall’alto" che tende a ridimensionare le tesi ambientalistiche dando maggiore importanza all’esperienza diretta e alla osservazione fenomenologia.

Meccanismi dell’adattamento

L’intelligenza può essere considerata una forma di adattamento dell’individuo al suo ambiente?

La risposta a questa domanda non può prescindere dal considerare quali sono le reazioni fra organismo ed ambiente.

L’esperienza ci mostra come la vita evolve in forme sempre più complesse dovute ad una crescente necessità di adattamento ad un ambiente in continuo cambiamento.

Si può supporre, quindi, che in concomitanza alla evoluzione biologica ci sia anche una evoluzione della intelligenza che dapprima è parallela a quella biologica e poi si distacca da essa prolungandosi fino a ribaltare il processo da cui si origina.

A lungo andare l’intelligenza non può più essere considerata come una maggiore o minore capacità di adattamento dell’individuo al suo ambiente, bensì come la capacità, dell’individuo, di trasformare, "adattare" l’ambiente alle proprie necessità.

Nel processo di sviluppo mentale, e quindi dell’intelligenza, bisogna tener conto di quali sono da considerare elementi variabili e quali elementi invariati.

Come elementi invariati sono da considerare le grandi funzioni del pensiero, che posso essere paragonate alle grandi funzioni vitali che sono identiche in tutti gli esseri viventi, anche se vengono espletate da organi diversi.

Ad esempio consideriamo il processo di respirazione, comune a tutti gli animali ma differente, per meccanismo, quando si passa da un anfibio ad un mammifero.

Le grandi funzioni del pensiero costano, come abbiamo detto poco anzi, di elementi variabili ed elementi non variabili.

Come elementi variabili possiamo considerare la capacità di costruire strutture mentali.

Queste variano da specie in specie ed addirittura da individuo ad individuo.

Infatti anche tra fanciullo ed adulto, si assiste ad una costruzione continua di strutture diverse, sebbene le grandi funzioni del pensiero restino costanti.

Tra gli elementi invariati si individuano due funzioni biologiche molto importanti: l’organizzazione e l’adattamento.

Per molti biologi l’adattamento deve essere inteso come un rapporto di equilibrio che si instaura fra un’organismo e l’ambiente, mediante un processo di conservazione e sopravvivenza.

Occorre però distinguere tra adattamento - stato e adattamento - processo.

Riguardo allo stato di adattamento tutto è molto confuso; riguardo al processo di adattamento molti studiosi sono concordi nel definirlo come una trasformazione che l’organismo subisce quando si adatta al suo ambiente.

Ciò determina un accrescimento di scambi fra ambiente ed organismo favorevoli alla conservazione dell’organismo stesso.

Nel considerare in dettaglio il processo di adattamento, non possiamo prescindere dal fatto che l’organismo è un insieme di processi chimico - fisici e cinetici che sono in relazione costante con l’ambiente e si generano a vicenda.

Tali processi sono da considerarsi di tipo chimico quando propongono una reazione chimica.

Ad esempio durante la fase dell’alimentazione, l’organismo ingerisce una data sostanza che si trasforma, poi, in qualcosa di diverso e fa parte della sua struttura, di tipo fisico quando la trasformazione no altera la struttura della materia e di tipo senso - motorio quando tramite il movimento si provvede, ad esempio, ad ingerire sostanze che entrano nel ciclo di trasformazione.

Se consideriamo a, b e c processi organizzati, e x, y e z gli elementi corrispondenti all’ambiente, la loro interazione determina una relazion3e di assimilazione.

La relazione di assimilazione è strettamente dipendente dal funzionamento dell’organismo, il quale non distrugge ma conserva il ciclo organizzativo incorporandovi i dati che gli provengono dall’ambiente.

Quando nell’ambiente si genera una variazione succede che o l’organismo sin adatta, riorganizzando il proprio ciclo, oppure no si adatta determinando l’estinzione della specie.

Questo processo viene definito di accomodamento e rappresenta il risultato delle pressioni esercitate, sull’organismo, dall’ambiente.

L’adattamento è da considerarsi come un equilibrio fra l’assimilazione e l’accomodamento.

L’intelligenza può essere considerata come assimilazione poiché incorpora nei propri quadri tutti i dati forniti dall’esperienza.

Sia che si intenda l’intelligenza come pensiero, cioè capacità di formulare giudizi riconducendo il nuovo al noto, sia che si tratti di intelligenza senso - motoria che consente di riorganizzare le cose percepite secondo schemi propri, comunque l’adattamento comporta l’assimilazione ossia l’incorporazione della realtà esteriore in forme strettamente soggettive.

Pertanto sia l’intelligenza senso - motoria o pratica sia l’intelligenza riflessiva o gnostica comportano un processo di adattamento che assimila gli oggetti al soggetto.

La vita mentale può essere considerata come un accomodamento all’ambiente; l’adattamento intellettuale, quindi, viene inteso come una modifica incessante di dati, è da considerarsi come la formazione progressiva di un equilibrio fra un meccanismo assimilatore ed un processo d’accomodamento.

Accomodamento ed assimilazione non possono essere disgiunti, infatti l’assimilazione non può essere mai pura, poiché l’intelligenza, introducendo nuovi dati trasforma gli schemi posseduti adattandoli ai nuovi dati; per contro l’adattamento non può prescindere dall’accomodamento che è da considerarsi il processo inverso all’assimilazione in quanto i nuovi schemi che si formano sono una diretta conseguenza delle trasformazioni che avvengono nell’ambiente, infatti non c’è adattamento se la realtà non impone atteggiamenti motori e mentali contrari a quelli già posseduti.

Se non c’è adattamento non c’è assimilazione.

Da un punto di vista biologico importante è considerare la funzione di organizzazione.

Fattori che determinano lo sviluppo intellettivo

l’intelligenza intesa come un insieme complesso di molteplici capacità è, senza ombra di dubbio, funzione diretta della percezione e poiché in natura il grado di percezione è specifico delle specie, solo dopo avere acquisito una grossa conoscenza circa la diversità di tali processi diventa possibile la costruzione di una intelligenza artificiale.

Uno dei scopi primari dell’intelligenza artificiale è rappresentato dalla costruzione di sistemi "intelligent" volti alla risoluzione automatica dei problemi o problem solving.

Per intelligenza artificiale si può intendere lo studio di come ottenere da calcolatori risultati simili o superiori da quelli ottenibili dal cervello biologico.

La differenza sostanziale osservabile tra intelligenza biologica e intelligenza artificiale nasce dal fatto che il cervello biologico, a differenza del cervello elettronico, vive in società con i suoi simili e ciò comporta l’instaurarsi di una serie di rapporti che sono determinanti per lo sviluppo intellettivo.

Tra questi ricordiamo il rapporto con la madre (biologica o adottiva): caretaker ed il rapporto con il gruppo: out groups.

Tali rapporti insieme ad un numero critico di neuroni costituisco l’intelligenza biologica.

Per la formazione del processo intellettivo, che ha sede nel cervello è necessario:

  1. Un numero critico di unità neurali disposte con una struttura specifica;
  2. Varie memorie di dati, risultanti da esperienze vissute;
  3. Una unità centrale dove avvengono le connessioni tra i dati.

Da uno studio effettuato da Jaynes (1976) sulla nascita della conoscenza critica nell’Homo Sapiens è possibile risalire al processo evolutivo dell’intelligenza umana, intesa come una serie di interazioni tra istinto e coscienza, intesa come capacità di percepire consapevolmente un dato problema.

Tali interazioni sono possibili tramite un meccanismo di natura psicologica molto complesso; pertanto qualsiasi sistema nervoso biologico, anche di piccole dimensioni, può essere considerato superiore ad un sistema neurale artificiale di dimensioni massime.

Fenomeno dell’apprendimento

Una delle caratteristiche fondamentali, dell’intelligenza biologica è la capacità di formulare concetti e supposizioni che prescindono dall’esperienza, di avere cioè intuizioni (insight).

In sintesi, l’intelligenza, può essere considerata come la risultante tra il processo intuitivo, dovuto alla memoria genetica specie - specifica e i dati acquisiti con l’esperienza.

Tali dati determinano il fenomeno dell’apprendimento che è specifico per ogni essere vivente.

L’apprendimento, pertanto, è da considerarsi un cambiamento di comportamento dovuto all’esperienza.

Tali esperienze possono essere di tipo ambientale o culturale.

L’apprendimento inteso, quindi, come costante trasformazione intellettiva del soggetto è secondo Seay e Gottfried (1978) il risultato dell’interazione di tre fattori determinanti:

  1. Determinante filogenetico: dovuto all’ereditarietà genetica e caratteristico di ogni singola specie;
  2. Determinante auto - genetico: relativo al grado di maturazione raggiunto dall’individuo;
  3. Determinante dell’individuo: relativo al comportamento dell’individuo stesso che si origina per interazione diretta con l’ambiente.

Studi specifici in merito al concetto di apprendimento condotti da Bettacchi e Giovanelli (1988) hanno dimostrato che mentre il determinante genetico dell’apprendimento è specifico quello auto - genetico varia a secondo della specie.

Nella specie umana, nello sviluppo del determinante dell’individuo, è di fondamentale importanza l’uso del linguaggio che permette, all’uomo di progredire più velocemente rispetto ad altri animali nella crescita dell’apprendimento.

Senza ombra di dubbio questo rappresenta l’Handicap più rilevante degli esseri umani, i quali sono capaci di percezioni più complesse di quelle possedute dalle più sofisticate macchine attuali.

L’importanza dell’apprendimento è, senza dubbio, legata alla capacità di utilizzare le esperienze vissute allo scopo di modificare, in meglio, il proprio comportamento.

Infatti anche molti animali con molta meno intelligenza degli esseri umani sono capaci di percezioni più sofisticate di quelle possedute dalle più complesse macchine attuali.

I problemi di percezione, importantissimi nel processo di apprendimento, sono molto difficili da risolvere poiché necessitano di segnali analogici (non digitali) e spesso tali segnali devono essere percepiti contemporaneamente.

Stanislao Guglielmelli (ricercatore)

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