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Le macchine... sanno pensare?
di Stanislao Guglielmelli  

6 settembre 2003





Un lavoro per considerare la "simulazione" come un mezzo per unificare la psicologia, la linguistica e l'intelligenza artificiale


 

la simulazione ha come obiettivo primario la riproduzione della attività mentale, considerata nel suo complesso intreccio di attività logiche, emotive e funzionali. Ma a questo punto è logico chiedersi non solo se ciò è realmente realizzabile ma addirittura se ciò è teoricamente possibile.

I problemi che insorgono sono essenzialmente di due tipi:

  1. E’ possibile costruire una teoria riguardo ai processi mentali dell’uomo riproducibile al computer?
  2. E’ possibile distinguere, tra i processi mentali, quali siano quelli preposti alla strutturazione del pensiero e quali quelli del linguaggio.

Il primo quesito, ampiamente discusso, ci riporta al teorema di Godel per cui: "in qualsiasi sistema logico sufficientemente potente possono essere formulati degli enunciati che non possono essere né provati né confutati all’interno del sistema, a meno che il sistema stesso non sia contraddittorio".

Questo teorema enunciato da Turing in sostanza ha come problema centrale la domanda "possono pensare le macchine?"

Turing come risposta a questa domanda adduce che mentre sono ampiamente dimostrabili i limiti di una macchina specifica, no è possibile dimostrare che tali limitazioni siano estensibili alla mente umana. L’impossibilità di dimostrare tali limitazioni è legata all’impossibilità di uscire dal sistema. L’uomo non può dimostrare i propri limiti poiché no è in grado di uscire dalla propria mente, quindi non è in grado di produrre un modello di risoluzione poiché non gli è possibile fuoriuscire dal sistema che ha generato il problema. Inoltre l’intelletto umano non è mai isolato dal mondo e pertanto ogni suo comportamento è da considerarsi la risultante di un processo interattivo con l’ambiente circostante, pertanto, un possibile modello di soluzione dovrebbe essere in grado di prevedere tutte le possibili relazioni con l’esterno.

Il comportamento umano inteso come capacità, può essere distinto tra un livello neurofisiologico (funzionamento del cervello e delle strutture collegate ad esso) ed un livello definito "livello dei processi mentali" che pur dipendendo dalle attività celebrali si esterna in maniera diversa. Un esempio di funzionamento del livello neurofisiologico potrebbe essere quello responsabile della necessità di muovere un arto, mentre quello dei processi mentali potrebbe essere rappresentato dalla necessità di essere felice. Sicuramente, pur essendo entrambe espressioni del comportamento umano, non sono tra loro assimilabili né confrontabili.

Una prima distinzione tra i due processi è senza dubbio quella temporale, infatti, mentre l’esigenza di alzare un braccio scaturisce da una situazione precisa, momentanea, l’esigenza di essere felice si sviluppa nel corso dell’intera esistenza a meno che non intervengono elementi esterni patologici che la modifica. Miller, Galanter e Pribram (1960) hanno cercato di superare la distinzione tra neurofisiologia e psicologia adducendo la presenza di "molecole di comportamento" che sono le responsabili di un aumento progressivo della complessità dei vari processi che caratterizzano il comportamento umano. Le varie difficoltà sono distribuite in piani e le relative soluzioni aumentano di complessità passando dal piano inferiore a quello immediatamente superiore.

La differenza tra i livelli sarebbe di tipo quantitativo e la difficoltà del superamento dei vari piani è legato all’impossibilità di produrre correlazioni tra un numero sufficiente di livelli poiché non esiste una immediata traducibilità di un livello in un altro.

Tutti questi tentativi non sono stati sufficienti a fornire una teoria generale che permette di ottenere modelli realizzabili su calcolatori. Infatti non è ancora possibile avvalorarsi di una teoria in grado di distinguere gli aspetti qualitativi dei vari livelli ma solo quelli quantitativi. Attualmente è possibile studiare solo come varia l’aspetto quantitativo di un livello e pertanto l’utilizzo del metodo comporta l’accettazione a priori che il crearsi di problemi sempre più complessi implichi elusivamente una variazione quantitativa e non qualitativa.

Tutto ciò accresce la distanza tra il modello e l’uomo, infatti la ricerca di un elemento unico, universalmente utilizzabile, che no tiene conto delle variazioni dovute alla complessità del funzionamento della mente umana, risulta no valida poiché un tale elemento, una volta trovato, sarebbe inutilizzabile.

L’altra problematica relativa al rapporto tra pensiero e linguaggio trova schierati, dalla stessa parte, psicologi, cognitivisti e studiosi di linguistica i quali sono concordi nell’affermare che si possa effettivamente distinguere fra i processi mentali che costituiscono il pensiero e quelli che costituiscono il linguaggio. Questa affermazione però non può non considerare che gli unici comportamenti rilevabili e quindi analizzabili sono quelli espressi linguisticamente tramite espressioni verbali e non verbali. Questo problema con la simulazione è apparentemente semplificato in quanto l’output è espresso con un linguaggio naturale mentre nel processo di costruzione del programma è necessario specificare le operazioni che porteranno poi all’output finale.

Il problema, anche se apparentemente risolto, nasconde però una insidia, infatti non esiste alcun metodo per stabilire e dimostrare che i due output sono stati prodotti allo stesso modo e cioè che nel programmo siano stati riprodotti quei processi che si sono sviluppati nella mente del soggetto umano.

In sintesi, considerato che la simulazione non può far almeno di una teoria generale per studiare il comportamento umano, non è possibile attuare una simulazione completa poiché ciò comporterebbe la capacità di tradurre in programmi tutti i comportamenti umani e cioè la garanzia totale di approdare a una teoria traducibile in programmi confrontabili con soggetti umani.

In questo senso la simulazione non può essere considerata la soluzione nello studio della capacità della mente, ma bensì deve essere considerata come un mezzo per unificare la psicologia, la linguistica e l’intelligenza artificiale

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