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...E la musica riempì il silenzio.
di Anonimo  ( info@lastradaweb.it )

31 agosto 2009






"Le nuvole fanno un ricamo. Mi piove sulla testa un temporale".


Approfondimenti


Non voglio più vuoti scambi di parole che danno soltanto l’illusione di allontanare la solitudine per qualche istante, non voglio distratte carezze che soddisfano solo ingannevolmente il bisogno di ricevere amore. Ho bisogno di un contatto autentico, intenso e profondo... un contatto in cui sia possibile ritrovarsi e riconoscersi per quello che si è, in cui le emozioni possano nascere e fluire liberamente... Vorrei che fosse un fatto naturale incontrarsi, parlarsi e guardarsi negli occhi senza inibizioni, senza insicurezze. Ed invece in alcuni momenti mi sento come se il "ponte" che collega me al mondo esterno fosse interrotto e non permettesse alcun passaggio, in nessuna direzione...

Con un misto di speranza e di amarezza continuano a risuonare nelle mia mente le stesse parole: empatia, sintonia, intimità, complicità, condivisione...

Finché sopravvive anche solo un flebile alito di vita non ci si può arrendere all’impossibilità di comunicare. Io ho provato a cercare un modo diverso di farlo, un modo che non ha bisogno di parole per essere compreso, che mette in vibrazione ogni singola cellula del nostro corpo e della nostra mente mentre li avvolge teneramente, rendendo più sopportabile nei momenti di solitudine la mancanza di un contatto umano, arrivando fino all’essenza più profonda della nostra anima...

la musica.

"Era come se fosse trasportato in un territorio amichevole che era in grado di capire, e dove il dramma dell’esistenza si stemperava in una lieve melodia. Per quei brevi momenti parve che il piano l’avesse liberato dalla costrizione del corpo. La tastiera si trasformò nei suoi occhi e le note diventarono la sua voce." (C. Lewis, ... E la musica riempì il silenzio)

Queste sono le parole di una madre che racconta come la musica sia diventata un mezzo privilegiato di espressione per il proprio figlio affetto da autismo e da cecità. Penso che non sia possibile spiegarlo con le parole. Bisogna provare queste sensazioni sulla propria pelle per poterle comprendere. Credo che non esista nessun vocabolo della lingua italiana in grado di descrivere quale sia il potere comunicativo della musica. Non saprei come raccontare cosa accade quando quel tramestio interiore fatto di confusione, incertezza e paura, dolcemente si placa, e grazie alle note assume un ordine e si trasforma in armonia...quando le parole che non sappiamo pronunciare si traducono in suono... quando il vuoto del silenzio si riempie e diventa note...

Si compie una sorta di miracolo... perché improvvisamente ciò che è intrappolato dentro, ciò che non si riesce a spiegare, lentamente prende forma e diventa libero, e ritorna a noi sottoforma di vibrazioni che accarezzano delicatamente. Attraverso i suoni, i movimenti, e l’intensità emotiva che da essi trapela, la musica comunica, trasmette...e qualche volta ci rivela cose di cui non eravamo neppure consapevoli, aiutandoci a scavare negli angoli più reconditi della nostra mente, e facendo affiorare alla coscienza ciò che prima sembrava essere nascosto. Non c’è bisogno di comprendere, è necessario solo saper ascoltare... o forse dovrei dire sentire, perché non è solo l’udito ad essere coinvolto, ma anche la vista, il tatto, ed il corpo nella sua interezza...

é proprio questo ad avermi condotto verso la musica: il bisogno di comunicare, attraverso un linguaggio in grado di dipingere tutte le sfumature dell’animo umano. Una forma di comunicazione che "protegge" dall’esprimersi in maniera diretta, che non chiede di ingabbiare in rigide definizioni, ma che trasmette il senso, ed offre infinite possibilità per poterlo fare...

"Non si riusciva a vedere la fine...Per cortesia si potrebbe vedere la fine? Era tutto molto bello su quella scaletta... e non avevo dubbi che sarei sceso...non c’era problema...Non è quello che vidi che mi fermò Max, è quello che non vidi...in quella sterminata città c’era tutto tranne la fine...Tu pensa ad un pianoforte: i tasti iniziano, i tasti finiscono. Tu lo sai che sono ottantotto e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro, tu sei infinito...e dentro quegli ottantotto tasti la musica che puoi suonare è infinita. Questo a me piace...Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita..."(La leggenda del pianista sull’oceano, film diretto da G. Tornatore, tratto da "Novecento" di Alessandro Baricco)

La musica però ha le sue regole, la sua grammatica...e a qualcuno capita di rimanere avviluppato in una serie interminabile di severe costrizioni, che a volte diventano ossessioni, e che tolgono il piacere di suonare per la gioia di esprimersi e di condividere. Ironia della sorte...ciò che all’inizio sembrava liberare la mia anima dalle parole prigioniere dell’insicurezza, ciò che sembrava darmi il calore che non sempre ero capace di trovare negli affetti, è diventato un ulteriore impedimento alla mia libertà di espressione... ma la musica è proprio questo...un sottile gioco di equilibrio tra struttura e liberta, tecnica ed espressione. Un gioco al quale io non ho saputo giocare fino in fondo...ma che mi ha fatto capire perché nella mia vita ho bisogno di musica, perché ancora dopo tante "battaglie" continuo ancora a cercarla, seppure in altre forme. Semplicemente dare voce alle emozioni taciute, esprimere quell’innato bisogno di amore, anche quando mancano le parole...

"...le nuvole fanno un ricamo
mi piove sulla testa un temporale
il cielo nascosto sei tu ma poi svanisce in mezzo alle parole
per questo io non parlo e poi sto male

Quanto t’ho amato e quanto t’amo non lo sai
e non lo sai perchè non te l’ho detto mai
anche se resto in silenzio, tu lo capisci da te

Quanto t’ho amato e quanto t’amo non lo sai
non l’ho mai detto e non te lo dirò mai
nell’amor le parole non contano conta la musica..."(R. Benigni)

 

 

Francesca D’Andrea - Musicoterapista

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