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L’apprendimento musicale.
di Francesca D’Andrea  ( fragym@libero.it )

29 maggio 2009






Musica e intelligenza


 

Approfondimenti tecnici

L’apprendimento musicale può essere definito come l’acquisizione di una pratica strumentale e di un codice simbolico, i quali vengono elaborati in modo differenziato dalle varie culture. Le abilità musicali, infatti, si acquisiscono nell’interazione con un ambiente musicale. Tali abilità consistono nella capacità di mettere in atto comportamenti culturalmente specifici relativi ai suoni musicali. Mentre nelle società primitive l’acquisizione strumentale e simbolico-rituale della musica veniva appresa in modo indiretta, nelle società culturalmente evolute l’apprendimento avviene soprattutto attraverso l’insegnamento. A questo proposito occorre fare un’importante distinzione: quella tra autoeducazione ed eteroeducazione. L’autoeducazione pone l’accento sull’esistenza di un processo di autoapprendimento, processo che in ambito musicale viene spesso ed erroneamente sottovalutato, se consideriamo che i primi apprendimenti (legati alla sopravvivenza), avvengono in modo spontaneo e naturale, motivati da aspetti biologici, fisiologici e culturali. Le capacità acquisibili in modo spontaneo possono essere raggiunte in tempi più brevi ed essere più stabili se vi è l’aiuto di una guida (eteroapprendimento). L’autoapprendimento può avvenire anche in modo inconsapevole: ad esempio, il sistema tonale viene generalmente appreso attraverso l’ascolto di musiche tonali senza che la persona che canta, suona o ascolta abbia l’intenzione o la consapevolezza o la volontà di imparare. Esistono una serie di situazioni ambientali che favoriscono lo sviluppo dell’intelligenza musicale. Le ninnananne della prima infanzia, i giochi sonori, i suoni della vita quotidiana, le musiche di qualunque tipo ascoltate in diversi ambienti (casa, scuola ecc...) la possibilità di ascoltare musica dal vivo, favoriscono una serie di operazioni mentali (come la memorizzazione, il riconoscimento, la classificazione, la riproduzione e la combinazione), che sono accompagnate da una partecipazione affettivo-emotiva e producono l’interiorizzazione e l’appropriazione di quel particolare modello melodico, ritmico, armonico, di un certo stile vocale, di accompagnamento strumentale ecc... favorendo così, sia la formazione di una serie di competenze musicali, sia la formazione di una propria identità musicale. Queste e altre situazioni ambientali permettono le esperienze più varie, ognuna con un suo valore affettivo, e determinata non solo dal tipo di musica, ma anche dal tipo di esperienza che si fa e dal contesto in cui essa avviene. Ognuno di noi possiede una personale storia musicale legata ad un contesto di affetto, tenerezza e contemporaneamente a musiche che possono evocare sentimenti spiacevoli come la paura. Il vissuto emotivo che di solito accompagna l’esperienza musicale favorisce l’apprendimento precoce di modelli, da quelli più arcaici propri di ogni cultura, a quelli più evoluti diffusi dai mass-media. Anche la partecipazione corporea alla musica attraverso il movimento è una forma di autoapprendimento: favorisce infatti lo sviluppo dell’intelligenza musicale in quanto comporta una serie di operazioni mentali (distinguere, classificare, memorizzare vari aspetti della struttura musicale quali: ritmo veloce/lento, melodia ripetitiva o ascendente/discendente, contrasti ritmici, melodici, armonici) e produce intense risonanze emotive. Durante la preadolescenza e l’adolescenza, l’ascolto della musica costituisce un’esperienza ben più radicata e complessa del puro e semplice ascolto musicale. Attraverso il medium musicale passano modelli d’interpretazione del mondo, schemi di valore, ideologie, conoscenze, credenze, cioè un intero sistema di cultura che per venire accettato si serve della musica (Baroni, Nanni 1989).

Per eteroeducazione s’intende l’insegnamento consapevole mirato a favorire determinati apprendimenti, come accade ad esempio a scuola quando impariamo a leggere e a scrivere. Per promuovere l’apprendimento musicale è auspicabile che gli insegnanti non si pongano in una posizione pregiudiziale, che escano da una concezione della musica "eurocentrica", valorizzando nell’allievo la ricerca, l’esplorazione, l’organizzazione libera ma consapevole dei suoni. Questo modo di procedere favorirà anche successivi apprendimenti di tecniche più complesse.

L’apprendimento musicale va sempre considerato alla luce dell’ambiente culturale nel quale le conoscenze vengono acquisite, perché lo sviluppo della percezione uditiva non avviene in modo neutro ma varia a seconda del contesto culturale, cioè, interagendo con le pratiche sociali di questa o di quella cultura, si modella sui materiali utilizzati. La musica è in realtà "un fatto sociale", che varia quindi con il variare delle persone, delle epoche, delle culture, proprio perché in esso intervengono una serie di variabili determinate dal suono, dallo strumento, dalla partitura, dalle funzioni e dal luogo in cui si esegue, ecc... Per esempio noi non nasciamo con il senso tonale, ma questo si sviluppa a contatto con l’ambiente, con i materiali tonali, quindi la capacità di percepire i rapporti tonali all’interno di un brano, di "aspettarsi" una determinata conclusione si sviluppa attraverso la fruizione e frequentazione di musiche tonali (musiche nelle quali è possibile individuare un preciso rapporto di gerarchia tra i suoni che la compongono rispetto alla tonica, cioè ad un suono prescelto attorno al quale gravitano tutti gli altri, e che differiscono da quelle atonali, caratterizzate da procedimenti compositivi che non si basano tu tali rapporti). Riguardo all’intonazione del canto è importante ricordare che ciò che per noi è intonato può essere stonato in altre culture e viceversa. L’opinione comune che ritmo e melodia siano i tratti fondamentali della musica viene smentita, per esempio, dalle musiche dei corni tibetani che non hanno appunto né ritmo né melodia.

Come si sviluppa l’intelligenza musicale?

Il problema dello sviluppo dell’intelligenza musicale nei bambini è stato affrontato, a partire dagli anni cinquanta, ed ha iniziato ad assumere una crescente importanza a partire dagli anni sessanta in poi. Oggi è diventato una delle aree di ricerca più importanti della psicologia della musica, ed ha notevoli conseguenze sia nell’educazione musicale che nella musicoterapia.

Uno degli ambiti d’indagine fondamentali per la psicologia della musica riguarda lo studio delle esperienze e dei comportamenti legati alla musica. Con il termine "esperienze" s’intendono quei processi e quei fenomeni percettivi, cognitivi ed emotivi che si attivano nell’ascolto e nell’esecuzione musicale, mentre il termine "comportamenti" si riferisce ad un vasta gamma di azioni, che comprendono vari comportamenti motori degli esecutori e degli ascoltatori di musica, ed altri intricati comportamenti sociali che si realizzano nell’ambito di situazioni musicali"(Gabrielsson, 1981). Un settore di questa disciplina che si è occupato nello specifico di studiare lo sviluppo delle abilità musicali, è quello della psicologia genetica della musica, il quale si basa sulle teorie della psicologia genetica di Jean Piaget. Nella sua concezione dello sviluppo mentale, bambino e adulto si collocano come fasi iniziali e finali di un processo di sviluppo. Le teorie di Piaget hanno svolto un ruolo fondamentale nell’ambito degli studi sullo sviluppo psicologico infantile, infatti, le ricerche di psicologia genetica musicale fanno prevalentemente riferimento proprio a tali teorie

Un altro importante contributo riguardo allo studio dello sviluppo dell’intelligenza musicale ci viene fornito dalla teoria di Howard Gardner sulla pluralità dell’intelligenza, teoria che non si limita a concepire l’intelligenza esclusivamente in base alle funzioni logiche, ma la considera in una prospettiva più ampia, prendendo in esame i fattori percettivi, cognitivi ed emotivi.

Nel volume "The Arts and Human Development" (1973) H. Gardner propone una sintesi di varie teorie tra cui quelle di Piaget, Werner ed Erikson, alle quali aggiunge molte idee personali.

Secondo l’autore il bambino di 7/8 anni è già partecipe del processo artistico, e non ha bisogno di ulteriori riorganizzazioni qualitative. Un bambino di sette anni sarebbe già in grado di capire le proprietà metriche ed armoniche del proprio sistema musicale: oggi però, alla luce degli studi sperimentali effettuati, sappiamo che a sette anni non si ha ancora coscienza della struttura armonica. Uno dei punti fondamentali della teoria di Gardner, è costituito dal fatto che il bambino dai sette anni in poi, può essere considerato un vero artista in virtù della crescente familiarità con la graduale padronanza dei mezzi simbolici.

Gardner suddivide lo sviluppo artistico in tre fasi:

  1. periodo presimbolico, che va dalla nascita del primo anno di vita;
  2. periodo di sviluppo del simbolo, che dura fino ai sette anni circa, nel quale vengono assunti e ampliati il linguaggio, la musica e altri mezzi simbolici;
  3. un ulteriore periodo di sviluppo artistico che parte dagli otto anni in poi che non comporta una riorganizzazione qualitativa a livelli più alti, ma un continuo perfezionamento di quelli che lui chiama "i tre sistemi", fare, sentire, percepire.

È possibile, a questo punto, tracciare un percorso delle principali tappe dello sviluppo dell’intelligenza da prendere in considerazione però con molta flessibilità, in quanto le età fornite dalle ricerche sono puramente orientative.

Premesso che l’udito funziona già durante la vita intrauterina, nelle prime settimane di vita il bambino manifesta attenzione e sensibilità verso il mondo dei suoni.

Tra i due e i quattro mesi inizia a svilupparsi la capacità di discriminazione fra suoni di diversa altezza, il coordinamento suono-vista, e la produzione di suoni vocali che sembrano imitare aspetti melodici e ritmci della voce materna e che precedono l’acquisizione del linguaggio. Da quattro a sei mesi migliora la capacità discriminativa delle altezze, si iniziano a percepire cambiamenti di durata e a produrre suoni cantati, e aumenta la capacità di ascoltare con attenzione e piacere.

L’attenzione al suono si esplicita fin dai primi mesi di vita in attività di tipo esplorativo: i bambini scuotono, grattano, battono ecc... e mettono in atto comportamenti motori nei quali è possibile scorgere dei movimenti intenzionali in risposta alla musica che si ascolta.

Queste esperienze sono vissute come gratificanti, e l’interesse per queste attività è accompagnato da quello che Piaget chiama gioco senso-motorio (gioco in cui muoversi, lasciar cadere, toccare, far rumore, esplorare con la bocca e con i sensi, sono azioni che strutturano il rapporto con l’esterno). Da sei mesi ad un anno abbiamo la comparsa di risposte motorie alla musica (anche se non ancora sincronizzate) e le prime "lallazioni musicali" (musical babbling) le quali consistono in produzioni vocali, che, se il bambino riceve dall’ambiente stimoli adeguati, (adulti e bambini che cantano) verso la fine del primo anno di età diventeranno veri e propri abbozzi di canzoni che aumenteranno gradualmente in lunghezza e varietà. Da un anno a due anni compare la capacità di esplorare le possibilità sonore degli oggetti e di combinare i suoni secondo le regole della ripetizione e dell’alternanza, l’introduzione di parole nei canti spontanei con l’uso di durate diverse, l’aumento di risposte motorie con accenni di danza. L’attività produttiva, che fin qui è di tipo esplorativo, comincerà ad assumere verso i tre anni delle forti valenze simboliche e ad avviarsi verso l’organizzazione temporale: come il bambino scopre una successione e poi concatenazione di eventi in una storia, così scopre una concatenazione tra i frammenti di un brano musicale, i quali vengono ad assumere il valore di una successione di accadimenti. A tre anni i bambini cominciano ad imitare, anche se in modo approssimativo, le canzoni degli adulti e riescono a riprodurre il ritmo delle parole; inoltre accennano tentativi di coordinazione musica-movimento. Da questa età in poi troviamo una ricca produzione di canti inventati dai bambini con caratteri e strutture particolari (Lucchetti 1987) e, insieme ai canti spontanei e a quelli imitativi, emergono tra i tre e i quattro anni i canti di tipo immaginativo, nei quali il pensiero simbolico trova un terreno particolarmente fertile.

Nei bambini di cinque-sei anni si ha l’impressione che parole, ritmo e melodia comincino ad essere entità con una propria dimensione e quindi trattabili indipendentemente l’una dall’altra (Moog 1988). Il percorso completo della capacità di imitare un canto riproducendo esattamente i rapporti intervallari, non è comunque ultimato neanche quando i bambini stanno per andare a scuola, ma richiede un paziente lavoro di affinamento dell’orecchio riguardo alla percezione precisa degli intervalli (cioè, della distanza tra suoni di diversa altezza) e di coordinamento orecchio-voce (Welch 1991).

Il senso tonale si sviluppa abbastanza presto: già ad otto anni i bambini sono capaci di percepire quando una melodia cambia improvvisamente tonalità, se una melodia è chiaramente tonale e infine, quando una melodia termina sulla tonica (termine che indica la prima nota di una scala maggiore o minore, la quale determina la tonalità del brano stesso). Intorno ai nove anni viene percepita la funzione sospensiva della dominante (che corrisponde alla V nota di una scala maggiore o minore, e che in genere precede la tonica al termine di un brano musicale), e tra gli undici e i tredici anni viene compreso pienamente l’insieme delle gerarchie tra i suoni che compongono una scala. Tra i sei e gli otto anni i bambini iniziano ad essere capaci di percepire il cambiamento di note in sequenze melodiche, e le modulazioni ai toni lontani (il passaggio da una determinata tonalità ad un’altra basata su una scala costituita da note il più possibile diverse da quelle della tonalità d’impianto). Verso i sette-otto anni comincia anche a comparire il senso della forma di una canzone. Anche se la capacità di riproduzione e di invenzione ritmica compare più precocemente rispetto a quella melodica, solo gradualmente i bambini prendono coscienza di ciò che è il ritmo e di alcune sue caratteristiche. A quattro-cinque anni comincia a realizzarsi una presa di coscienza del ritmo come capacità di individuare cambiamenti e di manifestare preferenze. In questa fascia d’età si riscontra una buona capacità di accompagnare una musica battendo le mani in coincidenza con gli accenti metrici, mentre il "camminare a tempo" sincronizzato con gli accenti metrici di una melodia (detti anche pulsazione), e il mantenere una pulsazione in assenza di musica, presentano delle difficoltà ancora a sei anni. Intorno ai quattro anni e mezzo i bambini manifestano preferenza per i suoni della stessa altezza organizzati ritmicamente in cellule isocrone che generano una forte pulsazione ritmica, a suoni non organizzati ritmicamente. Verso i cinque anni i bambini sono in grado di discriminare due brevi strutture ritmiche diverse, e a sei di individuare un cambiamento ritmico introdotto in una cellula ritmico-melodica. Nella fascia di età che va dagli otto ai dieci anni si acquisisce la capacità di riprodurre il ritmo presente in una melodia e di sincronizzarsi correttamente con la scansione metrica di un brano musicale.

La percezione armonica invece, richiede invece un percorso più lento: verso gli otto anni i bambini dimostrano di possedere un certo grado di percezione armonica (l’armonia è il risultato della combinazione simultanea di suoni diversi), e di riuscire ad individuare in una polifonia (insieme simultaneo di suoni o di successioni combinate di suoni aventi distinta individualità e dignità melodica), il tema (idea musicale assunta come elemento caratterizzante di un brano) purché si trovi nella voce superiore o nella seconda, ma solo verso gli undici anni sanno riconoscere se un’armonizzazione è corretta. A queste abilità se ne aggiungono delle altre, che riguardano il senso armonico: distinguere tra note singole e accordi, percepire la voce grave di strutture polifoniche, percepire armonizzazioni dissonanti. Dopo gli otto anni il progresso diventa più lento. Migliorano le capacità già acquisite e se ne aggiungono altre più complesse come appaiare suoni della stessa altezza ma prodotti da strumenti diversi (9 anni), differenziare le funzioni di tonica e dominante (10 anni), percepire le modulazioni ai toni vicini (il passaggio da una determinata tonalità ad un’altra basata su una scala costituita da note il meno possibile diverse da quelle della tonalità d’impianto ) (12 anni), ecc. ..

I livelli raggiungibili nell’ambito delle varie capacità musicali è determinato da diversi fattori: dall’età, e quindi dalla maturazione dei processi percettivo-cognitivi; dalla pratica, cioè dall’esperienza e dalle stimolazioni che il bambino riceve in modo informale e casuale quotidianamente e senza i quali non ci sarebbe possibilità di crescita; dall’esercizio inteso come pratica organizzata e indirizzata verso un obiettivo di apprendimento preciso. Sia lo sviluppo mentale che quello fisico costituiscono due fattori fondamentali, in quanto, così come non si può pretendere che un bambino cammini o parli a tre mesi, non ci si può aspettare che sia possibile riconoscere la conclusione tonale di una frase a quattro anni, cioè quando ancora non si è raggiunto un livello di sviluppo adeguato a determinati compiti. La pratica e l’esercizio nei tempi e nei modi più appropriati, possono comunque accelerare i tempi di sviluppo, seppure entro certi limiti. Dopo i dodici-quindici anni, l’esercizio rappresenta il fattore principale di miglioramento dei livelli di competenza, per cui assume ancora più importanza un’attività educativa mirata ed organizzata.

 

Bibliografia

A. Gabrielsson, Music Psicology. A survey of problems and current research activities, Royal Swedisch Accademy of music, Stockolm, 1981, in J. Tafuri, "Psicologia genetica della musica", Bulzoni Editore, Roma 1991.

H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano, 1981.

J. Tafuri, La mente musicale/educare l’intelligenza musicale, in "Musica e terapia", Boccassi Editore, Genova vol. 6/1998.

J. Tafuri, Psicologia genetica della musica, Bulzoni Editore, Roma 1991, pag. 36.

J. Sloboda, La mente musicale, Il Mulino, Bologna , 1988, pag. 301.

 

Francesca d’Andrea - Musicoterapista

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