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DAL SAIO AL SARI.
di Marco Cappeddu  

19 marzo 2005





Intervista a Michele Paulicelli, uno dei più popolari e amati artisti cattolici, reduce dal successo del nuovo musical “Madre Teresa”


San Francesco torna in scena nei panni di...Madre Teresa

 

 

Duemila repliche ufficiali in vent’anni per oltre due milioni di spettatori in Italia e all’estero. Per non parlare degli allestimenti amatoriali, di cui è impossibile tenere il conto. Questi sono stati i numeri del fenomeno “Forza Venite Gente”, uno dei musical nostrani più fortunati di sempre, non solo in ambito cattolico. Forza Venite Gente debuttò in sordina nell’ormai lontano 1981, per imporsi poi al grande pubblico anche grazie al contributo di grandi personaggi, come l’attore Silvio Spaccesi e la direzione di autori e registi come lo scomparso padre del “Bagaglino” Mario Castellacci e il figlio Piero. Michele Paulicelli, cantautore cristiano che di Forza Venite Gente è stato ideatore, autore delle musiche e protagonista sul palco nel ruolo di Francesco d’Assisi, ha concluso il 28 novembre al Teatro Orione di Roma, tra gli applausi dei suoi vecchi e nuovi fans, la tournè 2004 del musical ispirato alla vita e alle opere della beata di Calcutta, che dall’esordio del 10 settembre 2002 al Massenzio di Roma ha già girato tutta l’Italia dopo la consacrazione della stagione precedente al Teatro Brancaccio diretto da Gigi Proietti, proprio in occasione della beatificazione della Madre. In esclusiva per i lettori di... ci racconta questa sua ultima fatica e i progetti per il futuro, lasciandosi andare anche a qualche piccolo aneddoto. L’appuntamento è in un affollato caffè del centro di Roma. Paulicelli arriva con qualche minuto di ritardo a bordo della sua Fiat Cinquecento, che già la dice lunga sulla semplicità e l’umiltà di un artista che non si è lasciato snaturare dal successo e, anzi, cerca di vivere ogni giorno quello che rappresenta sul palco. Accompagnato dal produttore e amico Olimpio Petrossi, si siede al tavolino e trasforma ben presto l’intervista in una piacevole conversazione.

 Michele, il tuo ultimo musical celebra la vita, le opere e il pensiero di Madre Teresa. Hai avuto modo di conoscerla di persona?

<<No, purtroppo. Avrei voluto incontrarla poco prima della sua morte, ma non fu possibile perché quando lei venne in Italia io ero impegnato in un concerto. Però è come se l’avessi conosciuta, attraverso i suoi scritti, la sua memoria, attraverso quello che ci ha lasciato. L’impatto emotivo e la spiritualità che suscita ed esprime Madre Teresa è profondamente simile a quello di San Francesco, cui notoriamente la Madre era devotissima, tant’è che la canzone finale del musical è la “Preghiera Semplice” del Poverello d’Assisi, la preferita di Madre Teresa>>.

Abbiamo visto nel ruolo di protagonista già tre Madre Teresa: la giovanissima Giada Nobile, la meteora Rosa Lembo, e la nuova Viviana Ullo. Tutte bravissime. Puoi raccontarci le loro differenze? Pensi che Viviana Ullo sia la scelta definitiva o si ripeterà l’avvicendarsi di attori come fu per il ruolo di Pietro di Bernardone in Fvg?

<<Alla riapertura della prossima tournè sarà sicuramente Viviana Ullo a vestire ancora i panni di Madre Teresa. Ogni singolo attore ha il suo percorso e le sue esigenze, non tutti gli attori possono sempre rimanere legati ad una compagnia. Questo è il nostro lavoro. Devo dire che però, a differenza di quello che succede in molte compagnie, tutti i professionisti che hanno lavorato con noi ci sono rimasti profondamente legati, per la particolare, calorosa e profonda atmosfera umana che hanno avuto modo di respirare. Per quanto riguarda il ruolo di Madre Teresa, non ho puntato sulla somiglianza fisica dell’attrice o cose di questo genere, ma sulla carica umana, sull’anima che era in grado di esprimere, e tutte e tre sono state, ovviamente in modi diversi, all’altezza, bravissime>>.

Sono passati 24 anni da quel pellegrinaggio ad Assisi che ti ispirò la trasposizione in musica dei “Fioretti” di San Francesco, 23 dalla leggendaria prima di Fvg al Teatro Unione di Viterbo, eppure sembra che il tempo non sia trascorso, l’entusiasmo è quello degli inizi. Ci si può mantenere semplici, umili, nonostante il successo? E per te é possibile vivere realmente quello che rappresenti sul palco?

<<Il tempo trascorre inevitabilmente. Nella forma nulla resta uguale, tutto si evolve. L’importante è che nell’essenza lo spirito rimanga lo stesso. In particolar modo ciò vale per un’artista cristiano, che come tutti deve conquistarsi la propria cristianità coltivandola e rinnovandola giorno per giorno. Bisogna tentare di vivere con coerenza i propri ideali, questo è un invito che rivolgo soprattutto ai giovani>>.

Le tue canzoni hanno sempre trasmesso gioia, luce e speranza a tante persone, soprattutto in momenti di crisi e sofferenza. I non-credenti, i lontani, hanno giocato un ruolo importante nella genesi dei tuoi lavori. Maria, la vicina di casa che ti incoraggiò all’inizio, Roberto Bartoletti compagno di quest’avventura e tanta gente attirata dai tuoi spettacoli. Chissà se qualcuno di loro grazie a Forza Venite Gente e a Madre Teresa ha incontrato Dio...

<<Non ho mai avuto l’intenzione né la capacità di convertire nessuno. Se questo è avvenuto, il merito è stato del messaggio di San Francesco, di Madre Teresa. I miei spettacoli sono solo uno strumento nelle mani di Dio. Ci pensa Lui a convertire le persone. Io mi limito ad esprimere, a testimoniare quello che sento. Certo, qualcosa di buono in giro i miei spettacoli l’hanno combinato. Sono stati comunque uno strumento di arricchimento per tutti, credenti e non credenti. Hanno sicuramente incuriosito, avvicinato e anche in alcuni casi colpito i “lontani”, con cui ho gran piacere di dialogare e hanno anche rafforzato la fede di molti “vicini”. Mi ricordo di tanti ragazzi in ricerca vocazionale, addirittura alcune giovani suore clarisse, che mi scrissero ringraziando per l’aiuto ricavato da Forza Venite Gente. Roberto Bartoletti continua a professarsi ateo ma in realtà, secondo me, si è molto addolcito riguardo alla fede rispetto a quando lo conobbi tanti anni fa, e, recentemente, in un momento di grande dolore per la perdita della mamma, ha dato testimonianza di una grande forza e di un grande amore che sono a tutti gli effetti cristiani>>.

 La tua esperienza di artista si intreccia anche con iniziative concrete sia a livello spirituale che di impegno in favore dei più bisognosi?

<<Certo, personalmente cerco di concretizzare in vari modi la mia fede. Però, la nostra compagnia non è simile, ad esempio, al Gen Rosso, anche perché è composta da tanti professionisti dello spettacolo che magari provengono da percorsi molto diversi. Come ti dicevo all’inizio, però, da noi si respira un’aria particolare, e questi professionisti rimangono sempre colpiti da questa forte carica umana che non è comune nel mondo dello spettacolo. Tant’è vero che quando c’è da fare qualche sostituzione ho la fortuna di poter sempre contare su amici che hanno già lavorato con noi e che hanno sempre piacere di tornare tra le nostre fila anche per una sola serata>>.

Alcune prese di posizione ecclesiali dello scorso anno, rimaste sconosciute ai più, con il legittimo intento di restaurare la musica sacra ed il canto liturgico, sono tornate però ad attaccare il cosiddetto ’rock da oratorio’. Non c’e’ il rischio di un nuovo atteggiamento pedante e anacronistico che allontani ancora di più i giovani dalla Chiesa colpendoli nel linguaggio che più amano e comprendono, cioè la musica?

<<Per me non è importante se in chiesa può esserci o meno la batteria. Molto dipende dall’abilità dei sacerdoti, dei parroci, di trovare la giusta via di mezzo, di saper mediare ed educare l’eccezionale curiosità e vitalità dei giovani. Inoltre, non baderei molto alle distinzioni tra i generi, alle etichette, che servono solo per semplificare, per riconoscere meglio, ma in realtà non hanno molto senso. La musica sacra può assumere mille forme, può esprimersi in mille modi diversi. L’importante è il come si suona. Per me esiste solo musica fatta bene, bella, e musica fatta male, brutta. Musica che ha valore, che esprime un valore e musica che non ha valore. Questa è l’unica differenza. La musica all’inizio era tutta sacra, perché si faceva solo in chiesa, non in altri luoghi. La musica moderna, giovane, diventa allo stesso modo sacra se esprime uno spirito di sacralità.

Altrimenti c’è il rischio, terribile, di far coincidere nell’immaginario collettivo la musica “pallosa” con il sinonimo di sacra e tutto il resto con quello di profana>>.

Cosa significa per te narrare la santità attraverso la musica e il teatro?

<<Cerco sempre di vedere la santità da un punto di vista laico, “esterno”, per riuscire ad aggiungere fantasia, spettacolarità alla storia e perché parlarne dal di dentro può essere riduttivo. Il teatro ha bisogno di spettacolarità, di esagerare alcuni concetti, alcuni aspetti, per farsi capire, per raggiungere tutti. Lo spettacolo ha una funzione diversa dalla messa>>.

C’è qualche santo nascosto nel cassetto che hai intenzione di far rivivere sul palco nel futuro? Magari un sempreverde Sant’Agostino? 

<<Il fatto di aver realizzato delle opere su San Francesco o su Madre Teresa non mi rende un agiografo. Non vorrei sfruttare un filone. Cerco di realizzare ciò che sento, ciò che mi piace, senza sentirmi legato a dei cliché. Se poi quello che faccio esprime un valore religioso, benvenga. Se dovesse venirmi un’ispirazione in quel senso, certo, metterei in musica anche Agostino>>.

A quando le prossime date di "Madre Teresa"?

<<Non lo so ancora, mi auguro al più presto>>.

Quali altri lavori stai portando avanti? C’è qualche iniziativa in corso?

<<Attualmente sto promovendo “Natale in musica”, una raccolta di canzoni con protagonisti i personaggi del presepe, che parte dal Natale di Forza Venite Gente, che è il Natale di San Francesco. C’è una cosa che stiamo preparando, ma è prematuro parlarne, per ora deve rimanere una sorpresa. Speriamo vada in porto>>. <<Ringrazio... non tanto perché parla delle mie opere, anche se per me è cosa gradita, una carezza al cuore, ma perché così contribuisce a diffondere il messaggio in cui credo, soprattutto ai giovani, agli uomini di domani, cui auguro di vivere sempre un’esperienza di forte impegno verso gli altri>>. Questo il saluto con cui Michele si congeda. C’era da dubitarne?

 

 

di Marco Cappeddu

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