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La Marcia su Roma
di Giuseppe Chiaia  ( peppinochiaia@libero.it )

30 gennaio 2005





A quell'epoca fu considerata Una sfilata circense...


Succede, a volte, che la storia sia il risultato di eventi marginali, di per sé incapaci di produrre svolte decisive per i destini di un popolo; e l’ascesa del Fascismo al potere fu determinata da un fatto naturale sì, ma dalle conseguenze imprevedibili: la morte del Pontefice Benedetto XV, avvenuta nel Gennaio del 1922 e l’elezione del nuovo pontefice, cardinale Achille RATTI, che prese il nome di PIO XI.

A quell’epoca il governo era guidato da Ivanoe BONOMI, socialista moderato, espulso nel 1912 dal Partito socialista per aver appoggiato, assieme a Bissolati, l’impresa libica, fondatore di un partito socialista riformista, che ritenne opportuno partecipare ai funerali del Papa defunto ed ai festeggiamenti del nuovo Papa; inoltre, si mostrò estremamente conciliante col movimento fascista, per cui, alla fine di febbraio del 1922, i deputati liberali gli rifiutarono la fiducia, determinando una crisi politica grazie alla quale i socialisti speravano di riportare di nuovo, in auge, il vecchio Giolitti.

A questo progetto si opposero i "popolari" di don Sturzo, per cui la scelta a guidare il nuovo governo cadde su un personaggio di facciata, fedele a Giolitti: Luigi FACTA, persona incapace di grandi visioni politiche e di altrettante scelte programmatiche; come dire, senza fare paragoni, che, oggi, ad un’eventuale caduta del dicastero Berlusconi, si scegliesse, come suo successore, l’on.le BONDI.

A Facta mancarono quelle energiche decisioni capaci di reprimere una situazione di completa anarchia determinata dalle bande fasciste, quotidianamente impegnate in scontri violenti con gli avversari politici della sinistra e con uno stillicidio di morti , di manganellate e di purghe con olio di ricino che rendevano tragica ed intollerabile una situazione sociale che si degradava giorno per giorno. Certamente, anche Mussolini comprendeva che quella situazione di sovvertimento sociale avrebbe compromesso l’affermarsi della sua ideologia, oltre che alienarsi le simpatie della destra agraria e latifondista.

Fu così che Facta fu costretto alle dimissioni ed il Re, Vittorio Emanuele III, dopo aver inutilmente convocato gli on.li Orlando e Bonomi, richiamò Giolitti, al quale promise appoggio politico il grande Turati; Mussolini ebbe netta la sensazione che un simile governo gli avrebbe precluso, definitivamente, la conquista del potere; ma, come sopra si è accennato, avvenne l’evento più impensabile: Giolitti non accettò l’incarico, né si è mai saputo il perché di quel rifiuto.

Fu allora che i fatti precipitarono: il re richiamo l’imbelle Facta a guida di un nuovo governo, mentre gli scontri di piazza si moltiplicarono e culminarono in una vera e propria battaglia con morti e feriti, avvenuta in Ravenna tra fascisti e socialcomunisti, al termine della quale la città restò in mano alla sinistra, mentre le squadre fasciste, guidate da Ettore Muti, dovettero battere in ritirata: Ma a dare man forte al camerata sconfitto ci pensò Italo Balbo, l’altro famoso quadrumviro, "ras" di Ferrara, il quale marciò letteralmente con le sue orde fasciste sulla martoriata Ravenna, la mise letteralmente a ferro e fuoco, distruggendo e bruciando tutte le sedi sindacali e di partito delle forze di sinistra.

Questo episodio suscitò un’ondata di sdegno su tutta la nazione, per cui fu proclamato dai sindacati socialisti e comunisti uno sciopero generale in tutte le città; si era al 1° agosto del 1922, e quella mobilitazione di lavoratori dovette suscitare profondi timori nel ceto alto-borghese ed in quello latifondista; Mussolini non si lasciò scappare questa seconda occasione: mobilitò tutto il suo apparato che richiamò i fascisti nelle rispettive sedi ai quali fu dato l’incarico di far fallire lo sciopero a tutti i costi; e così avvenne che ferrovieri, postini, tramvieri netturbini, vigili urbani, e quanti aderirono allo sciopero, furono tutti sostituiti in modo da garantire tutti i servizi pubblici minacciati dall’ondata di scioperi: la cosa riuscì ed il fascismo riconquistò il favore delle masse.

La riuscita di questa prova di forza convinse Mussolini, definitivamente, ad organizzare la "Marcia su Roma" mascherandola come manifestazione pacifica; in effetti, organizzata la Milizia, sovvenzionata dagli agrari e dagli industriali, affidatone il comando ad un quadrumvirato formato da Balbo, Bianchi, De Vecchi e De Bono, riunì questo variopinto e multiforme esercito a Napoli; lo arringò con due infuocati discorsi, uno tenuto al teatro San Carlo, destinato alla "Napoli bene", l’altro, nella piazza attigua, brulicante di camicie nere, e se ne andò a dormire, la sera all’hotel Savoia, dopo aver dato tutte le istruzioni ai suoi quadrumviri: si era tra il 26 e 27 ottobre: all’alba del 28 ottobre, da tutte le città d’Italia doveva muoversi quest’armata Brancaleone ( come sarcasticamente la definì il grande Montanelli ), mentre né il Re, né tantomeno Facta presero sul serio le concitate comunicazioni dei vari prefetti.

Fu solo nella notte tra il 27 ed il 28 ottobre che Facta fu svegliato dalle notizie concitate provenienti da tutte le questure e che annunciavano quella atipica invasione della capitale da parte di masse fasciste messesi in viaggio con treni, o con sgangherati autocarri , con ogni mezzo di trasporto che consentisse loro di fare più che una marcia, una vera gita a Roma, un po’ come avviene al giorno d’oggi, in occasione di concentramenti sindacali nazionali. Facta, di fretta e furia riunì, all’alba del 28 ottobre il consiglio dei ministri, quindi si recò dal Re per fargli firmare il decreto che ordinava lo stato d’assedio...

ma il Re, pavido ed imbelle, il Re che avrebbe salutato con sussiego ed alterigia la massa vociante dei fascisti villeggianti, il Re che avrebbe stretta la mano a Mussolini, nuovo incaricato della formazione governativa, il Re che avrebbe confermato la censura alla stampa, il Re che avrebbe decretato lo scioglimento del parlamento, la cessazione della dialettica politica, il Re che autorizzò le conquiste della Libia, dell’Albania, il Re che non esitò a sostenere il "generalissimo Franco, detto il Caudillo" in quella che fu l’anteprima della seconda guerra mondiale nella sanguinosa guerra civile spagnola, il Re che avallò, anzi, decretò le tristi e luttuose leggi razziali del 1938, proprio quel Re fu il noumeno malefico delle disgrazie d’Italia: ordinò all’esterrefatto Facta di lasciare libero passo alle orde fasciste, accreditando l’insulsa scusa che l’ordine di mobilitazione generale avrebbe comportato lo scatenarsi di una guerra civile, mentre sarebbe bastata una divisione dell’esercito e qualche sventagliata di mitraglia sparata in aria, per disperdere quell’accozzaglia di "desperados".

Alle ore 9 del giorno 29 ottobre 1922 iniziava l’era fascista che si sarebbe conclusa sotto le bombe dei B29 americani, col massacro delle Fosse Ardeatine, con la strage di Marzabotto, con le migliaia di partigiani fucilati o impiccati col filo di ferro ai pali dei telefoni, con l’olocausto dei campi di concentramento nazisti, il cui orrore turberà la coscienza dei giusti "finché il sole brillerà sulle sciagure umane".

Giuseppe Chiaia ( preside )

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