"A
tutti gli italiani - e rivolgendo un particolare pensiero a quanti vivono con
ansia queste ore per le recenti scosse di terremoto - giunga il mio affettuoso
augurio. L’anno che sta per terminare è stato tra
i più pesanti e inquieti che l’Italia ha vissuto da
quando è diventata Repubblica. Tra i più pesanti sul piano
sociale, tra i più inquieti sul piano politico e istituzionale. L’anno
che sta per iniziare può e deve essere diverso e migliore, per il paese e
specialmente per quanti hanno sofferto duramente le conseguenze della crisi.
Una crisi dalla quale in Europa si comincia a uscire e più decisamente
si potrà uscire se si porterà fino in fondo un’azione comune per il rilancio
della crescita economica e dell’occupazione.
Questa sera non tornerò su
analisi e considerazioni generali che ho prospettato più volte. Non passerò
dunque in rassegna i tanti problemi da affrontare. Cercherò, invece, di mettere innanzitutto in evidenza le preoccupazioni e i
sentimenti che ho colto in alcune delle molte lettere indirizzatemi ancora di
recente da persone che parlando dei loro casi hanno gettato luce su realtà
diffuse oggi nella nostra società.
Vincenzo, che mi scrive da
un piccolo centro industriale delle Marche, ha ormai 61
anni e sa bene quanto sia difficile per lui recuperare una posizione
lavorativa. "Sono stato" - mi dice - "imprenditore fino al 2001
(un calzaturificio con 15 dipendenti) ed in seguito alla
sua chiusura sono stato impiegato presso altri calzaturifici. Attualmente sono disoccupato... Di sacrifici ne ho fatti
molti, e sono disposto a farne ancora. Questo non spaventa né me né i nostri figli.". Ma aggiunge : "Non può
essere che solo noi «semplici cittadini» siamo chiamati a fare sacrifici.
FACCIAMOLI INSIEME. Che comincino anche i politici.". Mi
sembra un proposito e un appello giusto, cui peraltro cercano di corrispondere
le misure recenti all’esame del Parlamento in materia di province e di
finanziamento pubblico dei partiti.
Daniela, dalla provincia di
Como, mi racconta il caso del suo fidanzato che a 44
anni - iscrittosi "allo sportello lavoro del paese" - attende invano
di essere chiamato, e resta, per riprendere le sue drammatiche parole,
"giovane per la pensione, già vecchio per lavorare".
Una forte denuncia della
condizione degli "esodati" mi è stata
indirizzata da Marco, della provincia di Torino, che mi chiede di citare la
gravità di tale questione, in quanto comune a tanti,
nel messaggio di questa sera, e lo faccio.
Mi hanno scritto in questo
periodo persone che alla denuncia delle loro difficoltà uniscono l’espressione
di un naturale senso della Nazione e delle istituzioni. Lo si
coglie chiaramente, ad esempio, nel travaglio di un padre di famiglia, titolare
di un modesto stipendio pubblico, che mi scrive : "Questo mese devo
decidere se pagare alcune tasse o comprare il minimo per la sopravvivenza dei
miei due figli...". E mi dice di vergognarsi per questo angoscioso dilemma,
pensando al patto sottoscritto con le istituzioni, al "giuramento di
pagare le tasse sempre e comunque".
Ricevo anche qualche lettera
più lunga, che narra una storia personale legandola alla storia
e alla condizione attuale del paese. Così Franco da Vigevano, agricoltore, che
rievoca lo "spirito di fratellanza" degli anni della ricostruzione
dopo la seconda guerra mondiale e fa appello perché quello spirito rinasca come
condizione per rendere la "Nazione stabile economicamente e socialmente".
E infine, avrei da citare
molte lettere di giovani, polemiche verso le incapacità della politica ma
tutt’altro che rassegnate e prive di speranza e volontà. Serena, da un piccolo
centro del catanese, mi scrive : "Noi giovani non
siamo solo il futuro, ma siamo soprattutto il presente", per il lavoro che
manca, per la condizione delle famiglie che scivolano nella povertà. "Voi adulti e politici parlate spesso dei giovani e troppo poco
con i giovani", che nonostante tutto sono pronti a rimboccarsi le maniche
e a fare ogni sforzo per poter dire, da adulti: "sono fiero del mio paese,
della mia Nazione".
Veronica, da Empoli,
ventottenne, laureatasi a prezzo di grandi sacrifici, da 3
anni alla ricerca, finora vana, di un lavoro, sente che la crisi attuale è
crisi di quella fiducia nei giovani, di quella capacità di suscitare entusiasmo
nei giovani, senza di cui "una Nazione perde il futuro". E conclude : "io credo ancora nell’Italia, ma l’Italia
crede ancora in me?". Ecco, vedete, aggiungo io, una domanda che ci deve
scuotere.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno scritto, anche esprimendo apprezzamento
e fiducia, e talvolta critiche schiette, per il mio impegno di Presidente. Non
potendo sempre rispondere personalmente, traggo da ogni racconto, denuncia o
appello che mi giunge, stimoli per prospettare - nei limiti dei miei poteri e
delle mie possibilità - i forti cambiamenti necessari nella politica, nelle
istituzioni, nei rapporti sociali. Ne traggo anche la convinzione che ci siano
grandi riserve di volontà costruttiva e di coraggio su cui contare.
Il coraggio degli italiani è in questo momento l’ingrediente decisivo per far scattare
nel 2014 quella ripresa di cui l’Italia ha così acuto bisogno. Coraggio di
rialzarsi, di risalire la china. Coraggio di praticare la solidarietà : come già si pratica in tante occasioni, attraverso una
fitta rete di associazioni e iniziative benefiche, o attraverso gesti, azioni
eloquenti ed efficaci - dinanzi alle emergenze - da parte di operatori
pubblici, di volontari, di comuni cittadini, basti citare l’esempio di
Lampedusa. Coraggio infine di intraprendere e innovare :
quello che mostrano creando imprese più donne, più giovani, più immigrati che
nel passato.
Alla crisi di questi anni ha
reagito col coraggio dell’innovazione una parte importante dell’industria
italiana, indebolitasi, già molto prima, in produzioni di base certamente
rilevanti, ma affermatasi in nuove specializzazioni. Quella parte
dell’industria ha così guadagnato competitività nelle esportazioni, ed esibito
eccellenze tecnologiche, come dimostrano i non pochi primati della nostra
manifattura nelle classifiche mondiali. In questo nucleo forte, vincente
dell’industria e dei servizi troviamo esempi e impulsi per un più generale
rinnovamento e sviluppo della nostra economia, e per un deciso ritorno di
fiducia nelle potenzialità del paese.
Guardiamo dunque al
presente, al malessere diffuso, alla "fatica sociale" - come si è
detto - cui dare risposte qui ed ora, nell’anno 2014,
ma lavoriamo in pari tempo a un disegno di sviluppo nazionale e di giustizia
sociale da proiettare in un orizzonte più lungo. E’ a questa prospettiva che
sono interessati innanzitutto i giovani, quelli che con grandi sforzi già hanno
trovato il modo di dare il meglio di sé - ad esempio, ne parlo
spesso, nella ricerca scientifica - e gli altri, i più, che ancora non riescono
a trovare sbocchi gratificanti di occupazione e di partecipazione a un futuro
comune da costruire per l’Italia.
Si richiedono però
lungimiranti e continuative scelte di governo, con le
quali debbono misurarsi le forze politiche e sociali e le assemblee
rappresentative, prima di tutto il Parlamento, oggi più che mai bisognoso di
nuove regole per riguadagnare il suo ruolo centrale.
Non tocca a me esprimere
giudizi di merito, ora, sulle scelte compiute dall’attuale governo, fino alle
più recenti per recuperare e bene impiegare, essenzialmente nel Mezzogiorno,
miliardi di euro attribuitici dall’Unione Europea attraverso fondi che
rischiamo di perdere. Rispetto a tali scelte e alla loro effettiva attuazione, e
ancor più a quelle che il governo annuncia - sotto forma di un patto di
programma, che impegni la maggioranza per il 2014 - il solo giudice è il
Parlamento. E grande, a questo proposito, è lo spazio anche per le forze di
opposizione che vogliano criticare in modo circostanziato e avanzare
controproposte sostenibili.
La sola preoccupazione che ho il dovere di esprimere è per il diffondersi di tendenze
distruttive nel confronto politico e nel dibattito pubblico - tendenze
all’esasperazione, anche con espressioni violente, di ogni polemica e
divergenza, fino a innescare un "tutti contro tutti" che lacera il
tessuto istituzionale e la coesione sociale.
Penso ai pericoli, nel corso
del 2013, di un vuoto di governo e di un vuoto al vertice dello Stato : pericoli che non erano immaginari e che potevano tradursi
in un fatale colpo per la credibilità dell’Italia e per la tenuta non solo
della sua finanza pubblica ma del suo sistema democratico. Quei pericoli sono
stati scongiurati nel 2013, sul piano finanziario con risultati
come il risparmio di oltre 5 miliardi sugli interessi da pagare sul nostro
debito pubblico. Sarebbe dissennato disperdere i benefici del difficile cammino
compiuto. I rischi già corsi si potrebbero riprodurre nel prossimo futuro, ed è
interesse comune scongiurarli ancora.
La nostra democrazia, che ha
rischiato e può rischiare una destabilizzazione, va
rinnovata e rafforzata attraverso riforme obbligate e urgenti. Entrambe le
Camere approvarono nel maggio scorso a grande maggioranza una mozione che
indicava temi e grandi linee di revisione
costituzionale. Compreso quel che è da riformare -
come proprio nei giorni scorsi è apparso chiaro in Parlamento - nella
formazione delle leggi, ponendo termine a un abnorme ricorso, in atto da non
pochi anni, alla decretazione d’urgenza e a votazioni di fiducia su
maxiemendamenti. Ma garantendo ciò con modifiche
costituzionali e regolamentari, confronti lineari e "tempi certi in
Parlamento per l’approvazione di leggi di attuazione del programma di
governo".
Anche se molto è cambiato
negli ultimi mesi nel campo politico e le procedure da seguire per le riforme
costituzionali sono rimaste quelle originarie, queste riforme restano una
priorità. Una priorità indicata al Parlamento già dai miei predecessori e
riconosciuta via via da un arco di forze politiche
rappresentate in Parlamento ben più ampio di quelle che sostengono l’attuale
governo. E mi riferisco a riforme che soprattutto sono i cittadini stessi a
sollecitare.
Alle forze parlamentari
tocca in pari tempo dare soluzione - sulla base di
un’intesa che anch’io auspico possa essere la più larga - al problema della
riforma elettorale, divenuta ancor più indispensabile e urgente dopo la
sentenza della Corte Costituzionale.
Dobbiamo tutti augurarci che
il 2014 ci veda raggiungere risultati apprezzabili in queste direzioni.
Non posso a questo punto
fare a meno di sottolineare come nel nuovo anno
l’Italia sia anche chiamata a fare la sua parte nella comunità internazionale :
dando in primo luogo il suo contributo all’affermazione della pace dove ancora
dominano conflitti e persecuzioni. E a questo riguardo voglio ricordare ancora
una volta l’impegno dei nostri militari nelle missioni internazionali, tra le
quali quella contro la nuova pirateria cui partecipavano i nostri marò
Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, ai quali perciò confermo la nostra
vicinanza. E rivolgo un commosso pensiero a tutti i nostri caduti.
A una comune responsabilità
per le sorti del mondo ci ha richiamato, nei suoi messaggi natalizi e per la giornata
mondiale della pace, Papa Francesco con la forza della sua ispirazione che fa
leva sul principio di fraternità e che sollecita anche scelte coerenti di
accoglienza e solidarietà verso quanti fuggono da guerre, oppressioni e
carestie cercando asilo in Italia e in Europa.
Queste supreme istanze di pace e di solidarietà mi spingono anche a un
appello perché non si dimentichi quello che l’Europa, l’integrazione europea,
ci ha dato da decenni : innanzitutto proprio la pace e la solidarietà. Anche in
funzione di tale impegno molte cose debbono oggi
certamente cambiare nell’Unione Europea. In tal senso dovrà operare l’Italia,
specie nel semestre di sua presidenza dell’Unione, senza che nessuno degli
Stati membri si tiri però indietro e si rinchiuda in un guscio destinato
peraltro ad essere travolto in un mondo radicalmente
cambiato e divenuto davvero globale.
Né si dimentichi - nel fuoco
di troppe polemiche sommarie - che l’Europa unita ha significato un sempre più
ampio riconoscimento di valori e di diritti che determinano la qualità civile
delle nostre società. Valori come quelli, nella pratica
spesso calpestati, della tutela dell’ambiente - basti citare il disastro
della Terra dei fuochi - del territorio, del paesaggio. Diritti umani, diritti
fondamentali : compresi quelli che purtroppo sono
negati oggi in Italia a migliaia di detenuti nelle carceri più sovraffollate e
degradate.
Care ascoltatrici, cari
ascoltatori, ho voluto esprimervi la mia vicinanza a
realtà sociali dolorose, che molti di voi vivono in prima persona, ed evocare
valori e principi, necessità e speranze di cambiamento da coltivare
tenacemente. L’ho fatto senza entrare nel merito di posizioni politiche e di
soluzioni concrete, su cui non tocca a me pronunciarmi. Come nei sette anni conclusisi nell’aprile scorso, così negli otto mesi
successivi alla mia rielezione, ho assolto il mio mandato raccogliendo
preoccupazioni e sentimenti diffusi tra gli italiani. E
sempre mirando a rappresentare e rafforzare l’unità nazionale, servendo la
causa del prestigio internazionale dell’Italia, richiamando alla
correttezza e all’equilibrio nei rapporti tra le istituzioni e tra i poteri
dello Stato, nei rapporti, anche, tra politica e giustizia tenendo ben ferma la
priorità della lotta al crimine organizzato.
Conosco i limiti dei miei
poteri e delle mie possibilità anche nello sviluppare un’azione - al pari di
tutti i miei predecessori - di persuasione morale. Nessuno può credere alla
ridicola storia delle mie pretese di strapotere personale. Sono attento a considerare
ogni critica o riserva, obbiettiva e rispettosa, circa
il mio operato. Ma in assoluta tranquillità di
coscienza dico che non mi lascerò condizionare da campagne calunniose, da
ingiurie e minacce.
Tutti sanno - anche se
qualcuno finge di non ricordare - che il 20 aprile scorso, di fronte alla
pressione esercitata su di me da diverse ed opposte
forze politiche perché dessi la mia disponibilità a una rielezione a
Presidente, sentii di non potermi sottrarre a un’ulteriore assunzione di
responsabilità verso la Nazione in un momento di allarmante paralisi
istituzionale.
Null’altro che questo mi
spinse a caricarmi di un simile peso, a superare le ragioni, istituzionali e
personali, da me ripetutamente espresse dando per naturale la vicina
conclusione della mia esperienza al Quirinale. E sono oggi ancora qui dinanzi a
voi ribadendo quel che dissi poi al Parlamento e ai
rappresentanti regionali che mi avevano eletto col 72 per cento dei voti. Resterò Presidente fino a quando "la situazione del
paese e delle istituzioni" me lo farà ritenere necessario e possibile,
"e fino a quando le forze me lo consentiranno". Fino ad allora e non un giorno di più ; e dunque di certo solo
per un tempo non lungo. Confido, così facendo, nella comprensione e nel
consenso di molti di voi.
Spero di poter vedere nel
2014 decisamente avviato un nuovo percorso di
crescita, di lavoro e di giustizia per l’Italia e almeno iniziata un’incisiva
riforma delle istituzioni repubblicane.
Ho concluso.
Buon anno alle vostre famiglie, dagli anziani ai bambini, buon anno a chi serve
la patria e la pace lontano dall’Italia, buon anno a tutti quanti risiedono
operosamente nel nostro paese.
Guardiamo
lasciate che ve lo dica - con serenità e con coraggio al nuovo anno".