"Il
messaggio augurale di fine d’anno che ormai dal 2006 rivolgo a tutti
gli italiani, presenterà questa volta qualche tratto speciale
e un po’ diverso rispetto al passato. Innanzitutto perché le
mie riflessioni avranno per destinatario anche chi presto mi
succederà nelle funzioni di Presidente della Repubblica".
Così il Capo dello Stato nel tradizionale messaggio di fine
anno agli italiani. "Funzioni che sto per lasciare, - ha
continuato il Presidente Napolitano - rassegnando le dimissioni:
ipotesi che la Costituzione prevede espressamente". "E
desidero dirvi subito che a ciò mi spinge l’avere negli ultimi
tempi toccato con mano come l’età da me raggiunta porti con sé
crescenti limitazioni e difficoltà nell’esercizio dei compiti
istituzionali, complessi e altamente impegnativi, nonché del
ruolo di rappresentanza internazionale, affidati dai Padri
Costituenti al Capo dello Stato.
A
quanti auspicano - anche per fiducia e affetto nei miei confronti -
che continui nel mio impegno, come largamente richiestomi nell’aprile
2013, dico semplicemente che ho il dovere di non sottovalutare i
segni dell’affaticamento e le incognite che essi racchiudono, e
dunque di non esitare a trarne le conseguenze. Ritengo di non poter
oltre ricoprire la carica cui fui chiamato, per la prima volta nel
maggio del 2006, dal Parlamento in seduta comune. Secondo l’opinione
largamente prevalente tra gli studiosi, si tratta di una valutazione
e di una decisione per loro natura personali, costituzionalmente
rimesse al solo Presidente, e tali da non condizionare in alcun modo
governo e Parlamento nelle scelte che hanno dinanzi né
subendone alcun condizionamento.
Penso
che questi semplici chiarimenti possano costituire una buona premessa
perché Parlamento e forze politiche si preparino serenamente
alla prova dell’elezione del nuovo Capo dello Stato. Sarà
quella una prova di maturità e responsabilità
nell’interesse del paese, anche in quanto è destinata a
chiudere la parentesi di un’eccezionalità costituzionale.
Personalmente
resto convinto che la disponibilità richiestami e offerta
nell’aprile 2013, in un momento di grave sbandamento e difficoltà
post-elettorale, sia risultata un passaggio determinante per dare un
governo all’Italia, rendere possibile l’avvio della nuova legislatura
e favorire un confronto più costruttivo tra opposti
schieramenti politici. Ma è positivo che ora si torni, per un
aspetto così rilevante, alla normalità costituzionale,
ovvero alla regolarità dei tempi di vita delle istituzioni,
compresa la Presidenza della Repubblica. L’aver tenuto in piedi la
legislatura apertasi con le elezioni di quasi due anni fa, è
stato di per sé un risultato importante : si sono superati
momenti di acuta tensione, imprevisti, alti e bassi nelle vicende di
maggioranza e di governo ; si è in sostanza evitato di
confermare quell’immagine di un’Italia instabile che tanto ci
penalizza, e si è messo in moto, nonostante la rottura del
febbraio scorso, l’annunciato, indispensabile processo di
cambiamento.
Un
anno fa, nel messaggio del 31 dicembre, avevo detto : "Spero di
poter vedere nel 2014 almeno iniziata un’incisiva riforma delle
istituzioni repubblicane". Ebbene, è innegabile che
quell’auspicio si sia realizzato. E il percorso va, senza battute
d’arresto, portato a piena conclusione. Non occorre che io ripeta -
l’ho fatto ancora di recente in altra pubblica occasione - le ragioni
dell’importanza della riforma del Parlamento, e innanzitutto del
superamento del bicameralismo paritario, nonché della
revisione del rapporto tra Stato e Regioni. Ma sul necessario più
vasto programma di riforme - istituzionali e socio-economiche - messo
in cantiere dal governo, sulle difficoltà politiche che ne
insidiano l’attuazione, sulle possibilità di dialogo e
chiarimento con forze esterne alla maggioranza di governo - anche,
s’intende, e in via prioritaria, per il varo di una nuova legge
elettorale - non torno ora avendovi già dedicato largamente il
mio intervento, due settimane fa, all’incontro di fine anno con i
rappresentanti delle istituzioni, delle forze politiche e della
società civile. Vorrei piuttosto ragionare con voi su come
stiamo vivendo questo momento in quanto generalità dei
cittadini, uniti dall’essere italiani.
Credo
sia diffuso e dominante l’assillo per le condizioni della nostra
economia, per l’arretramento dell’attività produttiva e dei
consumi, per il calo del reddito nazionale e del reddito delle
famiglie, per l’emergere di gravi fenomeni di degrado ambientale, e
soprattutto - questione chiave - per il dilagare della disoccupazione
giovanile e per la perdita di posti di lavoro. Dalla crisi mondiale
in cui siamo precipitati almeno dal 2009, nemmeno nell’anno che oggi
si chiude siamo riusciti a risollevarci. Parlo dell’Europa e in
particolare dell’Italia. Gli Stati Uniti, da cui partì -
anche per errate scelte politiche - la crisi finanziaria, conoscono
un’impennata della ripresa già avviata e guardano all’Europa
per uno sforzo corrispondente, benché in condizioni assai
diverse. In effetti, l’Italia ha colto l’opportunità del
semestre di presidenza del Consiglio per sollecitare un cambiamento
nelle politiche dell’Unione che accordi la priorità a un
rilancio solidale delle nostre economie. Tra breve il Presidente del
Consiglio Renzi tirerà le somme dell’azione critica e
propositiva svolta a Bruxelles. Nulla di più velleitario e
pericoloso può invece esservi di certi appelli al ritorno alle
monete nazionali attraverso la disintegrazione dell’Euro e di ogni
comune politica anti-crisi.
Tutti
gli interventi pubblici messi in atto in Italia negli ultimi anni
stentano a produrre effetti decisivi, che allevino il peso delle
ristrettezze e delle nuove povertà per un così gran
numero di famiglie e si traducano in prospettive di occupazione per
masse di giovani tenuti fuori o ai margini del mercato del
lavoro. Guardando ai tratti più negativi di questo quadro,
e vedendo come esso si leghi a debolezze e distorsioni antiche della
nostra struttura economico-sociale e del nostro Stato, si può
essere presi da un senso di sgomento al pensiero dei cambiamenti che
sarebbero necessari per aprirci un futuro migliore, e si può
cedere al tempo stesso alla sfiducia nella politica, bollandola in
modo indiscriminato come inadeguata, inetta, degenerata in
particolarismi di potere e di privilegio.
Non
può, non deve essere questo l’atteggiamento diffuso nella
nostra comunità nazionale. Occorre ritrovare le fonti della
coesione, della forza, della volontà collettiva che ci hanno
permesso di superare le prove più dure in vista della
formazione del nostro Stato nazionale unitario e poi del superamento
delle sue crisi più acute e drammatiche. Il
Centocinquantenario dell’Unità si è perciò
potuto celebrare - non dimentichiamolo - con orgoglio e fiducia, pur
nella coscienza critica dei tanti problemi rimasti irrisolti e delle
nuove sfide con cui fare i conti.
Un
recupero di ragionata fiducia in noi stessi, una lucida percezione
del valore dell’unità nazionale, sono le condizioni essenziali
per far rinascere la politica nella sua accezione più alta,
per rendere vincente quell’impegno molteplice e di lunga lena che i
cambiamenti necessari all’Italia chiaramente richiedono. Ho fatto
del mio meglio in questi lunghi e travagliati anni della mia
Presidenza per rappresentare e rafforzare l’unità nazionale,
per sanare le ferite che aveva subito, per ridarle l’evidenza che
aveva perduto : se vi sia in qualche modo riuscito, toccherà
dirlo a quanti vorranno con obbiettività e insieme con spirito
critico analizzare il mio operato.
Di
strada comunque ne abbiamo percorsa, nella direzione che indicai in
Parlamento dopo aver giurato da Presidente il 15 maggio 2006 : "il
reciproco riconoscimento, rispetto e ascolto tra gli opposti
schieramenti, il confrontarsi con dignità nelle assemblee
elettive, l’individuare i temi di necessaria convergenza
nell’interesse generale" non contrastano con la democrazia
dell’alternanza, ma ne definiscono il più maturo e costruttivo
modo di essere in sintonia con l’imperativo dell’unità
nazionale. Si, in questa direzione, anche se tra alti e bassi, si sta
andando avanti. Ed è il solo modo di garantire all’Italia
stabilità politica e continuità istituzionale, e di
affrontare su larghe basi unitarie le più gravi patologie di
cui il nostro paese soffre. A cominciare da quella della
criminalità organizzata e dell’economia criminale ; e da
quella di una corruzione capace di insinuarsi in ogni piega della
realtà sociale e istituzionale, trovando sodali e complici in
alto : gli inquirenti romani stanno appunto svelando una rete di
rapporti tra "mondo di sotto" e "mondo di sopra".
Sì, dobbiamo bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della
nostra società. E bisogna farlo insieme, società
civile, Stato, forze politiche senza eccezione alcuna. Solo
riacquisendo intangibili valori morali la politica potrà
riguadagnare e vedere riconosciuta la sua funzione decisiva.
Valori
morali, valori di cultura e di solidarietà. Non lasciamo
occupare lo spazio dell’attenzione pubblica solo a italiani indegni.
Rendiamo omaggio a italiani esemplari. Come la brillante scienziata,
Fabiola Gianotti, eletta all’unanimità direttore generale del
Centro europeo per la Ricerca Nucleare a Ginevra. O come l’astronauta
Samantha Cristoforetti che ci parla semplicemente, con modestia e
professionalità, della ricerca scientifica in corso nello
spazio.
Siamo
orgogliosi di questi italiani campioni di cultura e di solidarietà.
Come Fabrizio, il medico di Emergency accorso in Sierra Leone per
curare i colpiti dal virus Ebola anche a costo di esserne contagiato
e rischiare la vita. O come Serena Petriucciolo , ufficiale medico
della Marina che sulla nave Etna ha aiutato - nella notte di Natale -
una profuga nigeriana a dare alla luce la sua bimba. E che dire della
perizia e generosità di cui gli italiani lanciatisi a
soccorrere i passeggeri del traghetto in fiamme sulla rotta tra la
Grecia e l’Italia hanno dato prova? Ho voluto fare almeno questi
pochi richiami al valore delle risorse umane di cui ci mostriamo
dotati e di cui ci si dà atto internazionalmente ; potendo
citare molti altri esempi individuali, che peraltro rinviano
all’eccellenza dei nostri centri in cui i singoli si sono formati.
Così come rinviano al magnifico impegno sia delle forze dello
Stato sia del volontariato sui fronti di tutte le emergenze. Dalla
constatazione delle qualità del nostro capitale umano può
venire e diffondersi un’accresciuta consapevolezza della nostra
identità e della nostra missione nazionale.
Una
missione da esprimere anche in un atteggiamento più assertivo
e in una funzione più attiva in seno alla comunità
internazionale. Il canale principale per assolvere questa funzione è
naturalmente dato dal concerto europeo, nel quale all’Italia è
toccata la guida della politica estera e di sicurezza comune europea
e la responsabilità operativa del Servizio esterno di azione
europea. E il contesto internazionale in cui muoverci è
critico e problematico come mai negli ultimi due decenni. Ne vengono
per l’Italia e per l’Unione europea impegni di riflessione ed
analisi, e soprattutto di proposta e di azione, non solo diplomatica,
rispetto ai quali non ci si può tirare indietro. Il rischio di
cadere in quell’indifferenza globale che Papa Francesco denuncia con
tanto vigore è dietro l’angolo, anche da noi.
A
quel rischio deve opporsi una sensibilità sempre più
diffusa per le conquiste e i valori di pace e di civiltà oggi
in così grave pericolo. La crescita economica, l’avanzamento
sociale e civile, il benessere popolare che hanno caratterizzato e
accompagnato l’integrazione europea, hanno avuto come premessa e base
fondamentale lo stabilirsi di uno spirito di pace e di unità
tra i nostri popoli. Ebbene, questo storico progresso è sotto
attacco per l’emergere di inauditi fenomeni e disegni di
destabilizzazione, di fanatismo e di imbarbarimento, fino alla
selvaggia persecuzione dei cristiani. Dal disegno di uno o più
Stati islamici integralisti da imporre con la forza sulle rovine
dell’Iraq, della Siria, della Libia ; al moltiplicarsi o acuirsi di
conflitti in Africa, in Medio Oriente, nella regione che dovrebbe
essere ponte tra la Russia e l’Europa : di questo quadro allarmante
l’Italia, gli italiani devono mostrarsi fattore cosciente e attivo di
contrasto. Ci dà forza la parola, il magistero del Pontefice
che per la Giornata Mondiale della Pace si fa portatore di un
messaggio supremo di fraternità, e ci richiama alla durissima
realtà dei "molteplici volti della schiavitù"
nel mondo d’oggi.
Farci,
ciascuno di noi, partecipi di un sentimento di solidarietà e
di un impegno globale - sconfiggendo l’insidia dell’indifferenza -
per fermare queste regressioni e degenerazioni, è un
comandamento morale ineludibile. E forse, facendoci lucidamente
carico di quanto sta sconvolgendo il mondo, potremo collocare nella
loro dimensione effettiva i nostri problemi e conflitti interni, di
carattere politico e sociale ; potremo superare l’orizzonte limitato,
ristretto in cui rischiamo di chiuderci.
Ho
così concluso l’appello che questa sera ho voluto indirizzare,
più che ai miei naturali interlocutori istituzionali, a
ciascuno di voi come persone, come cittadini, attivi nella società
e nelle sue molteplici formazioni civili. Perché da ciascuno
di voi può venire un impulso importante per il rilancio e un
nuovo futuro dell’Italia. Lo dimostrano quei giovani che non restano
inerti - dopo aver completato il loro ciclo di studi - nella
condizione ingrata di senza lavoro, ma prendono iniziative, si
associano in piccoli gruppi professionali per fare innovazione,
creare, aprirsi una strada.
Dal
modo in cui tutti reagiamo alla crisi e alle difficoltà con
cui l’Italia è alle prese, nasceranno le nuove prospettive di
sviluppo su cui puntiamo, su cui dobbiamo puntare "dall’alto e
dal basso". Il cammino del nostro paese in Europa, lo stesso
cammino della politica in Italia lo determineremo tutti noi, e quindi
ciascuno di noi, con i suoi comportamenti, le sue prese di coscienza,
le sue scelte. Più si diffonderanno senso di responsabilità
e senso del dovere, senso della legge e senso della Costituzione, in
sostanza senso della Nazione, più si potrà creare quel
clima di consapevolezza e mobilitazione collettiva che animò
la ricostruzione post-bellica e che rese possibile, senza soluzione
di continuità, la grande trasformazione del paese per più
di un decennio.
Mettiamocela
dunque tutta, con passione, combattività e spirito di
sacrificio. Ciascuno faccia la sua parte al meglio. Io stesso ci
proverò, nei limiti delle mie forze e dei miei nuovi doveri,
una volta concluso il mio servizio alla Presidenza della Repubblica,
dopo essermi impegnato per contribuire al massimo di continuità
e operosità costituzionale durante il semestre di presidenza
italiana del Consiglio dell’Unione Europea. Resterò vicino al
cimento e agli sforzi dell’Italia e degli italiani, con infinita
gratitudine per quel che ho ricevuto in questi quasi nove anni non
soltanto di riconoscimenti legati al mio ruolo, non soltanto di
straordinarie occasioni di allargamento delle mie esperienze, anche
internazionali, ma per quel che ho ricevuto soprattutto di
espressioni di generosa fiducia e costante sostegno, di personale
affetto, direi, da parte di tantissimi italiani che ho incontrato o
comunque sentito vicini. Non lo dimenticherò. Grazie ancora. E
che il 2015 sia un anno fecondo di risultati positivi per il nostro
paese, le nostre famiglie, i nostri ragazzi".
Roma,
31 dicembre 2014
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