A
spasso verso un futuro migliore
Caro
dottore, attraverso questi nostri incontri, sono arrivata a capire
che noi esseri umani abbiamo la necessità di stare in mezzo
agli altri pur mantenendo il bisogno di uno "spazio" di
solitudine, sia per osservare e imparare, sia per sentirci sicuri,
nel momento in cui ci rendiamo conto che c’è chi la
pensa come noi. Ma perché accade che, tanti, cercano di calare
gli ideali (e i modi di intendere ciò che ci dovrebbe
caratterizzare negli elementi fondamentali), nella moltitudine del
"gregge"?
Perché,
questi “tanti” cui fa cenno, non hanno avuto ancora,
evidentemente, la possibilità di eliminare degli aspetti
immaturi della personalità (definiti “delle fasi
transitorie”) e, da ciò, nasce la ricerca di affinità.
Cioè?
Il
concetto di affinità, risale al significato intrinseco del
termine e ricorda la tendenza di alcune sostanze chimiche ad unirsi
ad altre e formare un composto definito, in grado di avere una vita
propria, dipendente dalla presenza di ciascuno degli elementi di
partenza. L’assenza di uno solo di questi, determinerebbe una
radicale trasformazione, col rischio di un reale dissolvimento
dell’insieme. Come dire: l’unione (sinciziale) fa la
forza (nel lavoro e nella vita di relazione)... di chi non è
sufficientemente autonomo!
Si
tratta di una fase transitoria che occorre attraversare
necessariamente oppure è un aspetto che riguarda solo persone
molto insicure?
"Certo,
una nave in porto è al sicuro ma, gli scafi, non sono nati per
questo!" (John A. Shedd). Tale
necessità dura fino a che non raggiungi un grado di
maturazione adeguato della tua identità, per potere affrontare
le "cose" della vita, come quando, ad esempio, sei vicino
ai "tumulti" interiori e cerchi di bruciare i tormenti,
senza nemmeno riuscire, a volte, "a
cercare nell’amore difficili poemi che stuzzicano il cuore".
Come
si può superare questa limitante ricerca di similitudine con
altri?
Un
uomo si giudicherebbe con ben maggiore sicurezza da quel che sogna
che da quel che pensa (Victor Hugo )
E
quindi?
Basterebbe
imparare a pensare che, al di al di là del punto in cui cade
l’orizzonte ottico della nostra interiorità, ci "deve"
essere un luogo in cui leggere come si fa volare sull’autostrada
dei perché, dei dubbi e dei rimorsi, andando oltre gli inganni
(nonostante il dolore del sentirsi, “soli”)... per
fermare l’attimo in cui si capisce che la musica rischia di
finire e la notte può spegnere le luci del palco su cui, tu,
ti esibisci...
...
...
e, nonostante tutto, trovare la determinazione per andare avanti,
senza restare chiusi nelle macchine in fila, col nodo in gola... ma
ricordando il senso profondo del proprio canto, in un mondo, a volte,
senza pietà. "Nessuno
può costruire la propria sicurezza sulla nobiltà
d’animo di un’altra persona" (Willa Cather).
Quanto
incidono i mezzi di comunicazione di massa nell’accentuare
questo bisogno di affinità massificante?
Molto,
nel bene o nel male. A tal proposito, ricordo di avere scritto, un
po’ di tempo fa, un articolo dal titolo "Le
sirene della comunicazione",
in cui analizzavo alcuni messaggi mediatici irradiati da un’emittente
radiofonica romana, piuttosto famosa. Ne ricordo due in
particolare: "Se
non sei cambiato ancora, non lo fare... a noi piaci così!"
"In questo mare di macchine, non uscire da solo... portaci con
te!"
Preferisco,
comunque, volgere l’attenzione sugli esempi positivi. Non so se
lei ricorda una bella canzone di Antonello Venditti intitolata "Eroi
minori" e composta
nel 1995.
Purtroppo
non ce l’ho presente.
Provi
a guardare in quella cartella gialla nel mobile di fronte a lei,
proprio sotto l’acquario, dovrebbe esserci una copia del testo.
Spesso studio i brani delle canzoni degli autori del passato. Mi
aiutano a trovare risposte interessanti. Che ne direbbe di leggerlo
ad alta voce? Ci proietteremo virtualmente indietro nel tempo, prima
che la polvere di quelle stelle che le illusioni ci facevano
immaginare vicine e che l’esperienza ci ha posizionato molto
più lontane, determinasse in noi, la riduzione della capacità
di guardare lontano.
"Giovane
amico che canti con me. Nessun nemico mi porterà via da te;
nessuna guerra, né bandiera, nessun inganno mai... mio giovane
amico rimangono i tuoi guai. E se la strada un giorno ti sembrerà
più dura è mano nella mano che si vince la paura; è
solo nel ricordo, è solo col coraggio di tanti grandi eroi
minori e s’alza il canto e noi non siamo soli. La voglia di
cantare, la voglia di cambiare, a volte può finire sai ma
tutti insieme non finiremo mai. Sole caldo e sangue rosso
sull’asfalto... è il cuore di Palermo che adesso vola in
alto, è il cuore dei ragazzi di tutti questi santi di cui ti
scordi il nome e s’alza il canto e nasce una canzone..."
Profonda...
Attuale
e vera.
E
che mi può dire della gregarietà?
Mi
fa venire in mente Ligabue con la sua canzone "Una
vita da mediano":
la ricorda?
"...una
vita da mediano, sempre lì nel mezzo...che il pallone devi
darlo a chi finalizza il gioco..."
Come
si interfaccia con quello di cui stiamo dicendo?
Come
parla difficile!
Volevo
farle colpo.
Non
ce n’è bisogno, altrimenti continua ad essere legata a
quello che, di lei, pensano gli altri.
Si
è vero. Succede di dare importanza al parere altrui. Ne
possiamo parlare?
In
un altro momento. L’argomento di oggi è già molto
complesso.
Va
bene, mi accontento.
Gregarietà,
viene dal latino "Grex" (gregge)
e connota il prendere parte a un’attività senza
intervenire con iniziative personali, ma seguendo passivamente ciò
che altri fanno o dicono di fare.
"Faccio dire ad altri quello che non so dire bene, talvolta per
debolezza del mio linguaggio, talaltra per debolezza dei miei sensi"
(Michel de Montaigne).
Quali
sono i vantaggi di questa fase transitoria?
In
un certo periodo della vita, ricercare la gregarietà,
sentendosi subordinati agli altri ha la sua importanza
Perché?
Da
soli, non si riesce ad andare lontano. Però, man mano che si
cresce, la gregarietà si trasforma, gradualmente, in bisogno
di aggregazione:
Infatti,
ognuno di noi, ha bisogno degli altri !
L’importante
è non dipendere dagli altri ma condividere costruire insieme.
Cosa
comporta rimanere gregari per lungo tempo?
"Benvenuto
il luogo dove tutto è ironia, il luogo delle confusioni dove i
conti non tornano mai. Benvenuto il luogo dove non si prende niente
sul serio, dove forse c’è il superfluo e non il
necessario... Benvenuto il luogo dove se un tuo pensiero trova
compagnia probabilmente è già il momento di cambiare
idea; un luogo pieno di dialetti strani di sentimenti quasi
sconosciuti dove i poeti sono nati tutti a Recanati. Benvenuto il
luogo dove tutto è calcolato, non funziona niente e, per
mettersi d’accordo, si ruba tutti onestamente...
E’
un estrapolato di una canzone di Giorgio Gaber!
Si,
tanto per cambiare...
E
cos’ha voluto significare?
Lei
si trova bene a vivere in una nazione in cui l’idea dominante è
intrisa di qualunquismo deresponsabilizzante, in cui ci si accontenta
del "tanto peggio... tanto meglio"?
No!
Appunto...
Qual
è il modo corretto di vivere il rapporto con gli altri?
Potrei
stare ore a parlare con lei ma ho scoperto da tempo il piacere e
l’utilità dell’arte della sintesi. Preferisco,
ancora una volta testi di autori di "spessore",
sottoponendo alla sua attenzione i brani più significativi di
un’altra vecchia canzone di Giorgio Gaber, intitolata Canzone
dell’appartenenza. Non
c’è bisogno di commenti aggiuntivi.
L’appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme, non è il
conforto di un normale voler bene, non è un insieme casuale di
persone, non è il consenso a un’apparente aggregazione:
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé,
evitando di andare sempre più verso se stessi... e non trovare
più nessuno. L’appartenenza è assai di più
della salvezza personale è la speranza di ogni uomo che sta
male e non gli basta esser civile; è un’esigenza che si
avverte a poco a poco, si fa più forte alla presenza di un
nemico, di un obiettivo o di uno scopo: è quella forza che
prepara al grande salto decisivo che ferma i fiumi e sposta i monti
con lo slancio di quei magici momenti in cui ti senti ancora vivo.
Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire...
"noi".
G.
M. -
Medico Psicoterapeuta
(15
maggio 2006)
|