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Management & Politica
di Paolo La Cagnina  ( lacagninadrpaolo@libero.it )

27 giugno 2004

Sono veramente incompatibili?


 

E’ preconcetto diffuso che il management sia una serie di discipline applicabile nelle grandi aziende private e con molta diffidenza in quelle pubbliche.

"Nella mia Amministrazione è impossibile applicare il management, è pura teoria inapplicabile", così dicono alcuni Dirigenti della Pubblica Amministrazione, "Lei non conosce la mia struttura organizzativa, i valori del management sono condivisibili al cento per cento, ma inapplicabili". Questa è la tipica difesa di chi comincia ad avvertire la minaccia a pochi centimetri di distanza, dell’azione dei riflettori sulla propria mediocrità e sulle proprie incapacità di dirigere.

Il management, (prima di tutto, gestione della risorsa umana, poi della risorsa finanziaria e fisica di una qualsiasi organizzazione) può essere adottato ed esercitato in ogni forma di organizzazione, può essere applicato in un’organizzazione familiare, in un’organizzazione lavorativa pubblica o privata, in una piccola o grande azienda, in un punto vendita qualsiasi, come in una grande distribuzione organizzata, in un’associazione di volontariato, in un partito o nelle organizzazioni politiche, come, esclusivamente, su una singola persona.

Dovendo affrontare l’argomento, in modo specifico, riguardo al management in politica, vi è da fare una prima riflessione. La politica è un terreno, per sua natura infertile, su cui seminare e far germogliare il management o, il terreno, ancora oggi, non è preparato per la sua inseminazione, o è meglio lasciarlo incolto, onde evitare un probabile attecchimento dei semi, il cui conseguente germoglio che porterebbe ricchezza, potrebbe, però, mutare il fascino di un terreno misterioso, incolto e rupestre, sul quale poterne esercitare un uso libero, a seconda delle circostanze.

Il management, con espressioni molto sintetiche, produce, in modo diffuso, per sua natura, sviluppo del capitale umano, sviluppo del pensiero critico, sviluppo di condotte razionali, inibizione e sterilità del pensiero speculativo, inibizione della sudditanza, sviluppo di assertività, sviluppo delle capacità di prendere decisioni, sviluppo di condotte evolutive, propensione ai cambiamenti, riluttanza allo stallo e a comportamenti stereotipati, demolizione delle menzogne e delle mistificazioni speculative, demolizione degli atteggiamenti di dipendenza.

Immaginate il verificarsi di tale fenomenologia in una piccola o grande organizzazione qualsiasi, vi porta immediatamente al pensiero di un ambiente autenticamente ed altamente democratico, vi porta a pensare che le persone possano sviluppare ed utilizzare pienamente il loro potenziale, vi porta, inoltre, a pensare ad assenza di tirannia, contrabbandata per altrui abnegazione.

Il management si identifica, per sua stessa natura, con due altri elementi cardini: reazione al cambiamento e stile di comunicazione. Risposte rapide e funzionali alle nuove necessità di un micro o di un macro sistema organizzativo , con produzione di qualità globale sempre più elevata e con relativi costi sempre più bassi, ciò corrisponde all’ottimizzazione dei comportamenti umani, dei relativi processi di pensiero e della loro applicazione, per eccellente attenzione alle espressioni evolutive.

Lo stile adeguato, funzionale ed assertivo della comunicazione denota l’adozione del management in organizzazione e sulla persona. In sintesi, forme di attento rispetto per il valore della persona e non per i suoi titoli o per la sua professione, pregnano di significato lo stile del management.

Gli amanti dello stallo, gli affezionati della mediocrità, i gelosi dei propri errori disdegnano la cultura del management identificandola, con disprezzo, come americanismo, ma se lo scettico della creatività e dell’evoluzione chiede aiuto alla storia e si riconosce nei valori del Nazareno, del Re dei Giudei, ricorderà la sua creatività, il suo coraggio per le innovazioni, il suo encomiabile rispetto per la persona, non per lo status sociale, ma soprattutto la sua genialità per aver concepito e diffuso, con estremo sacrificio, la cultura del management, già duemila anni fa.

E’ assai evidente che il management non è una scoperta americana, tanto meno è una scoperta del secolo passato o di questo secolo, altrimenti riconosciamo la paternità di chi ha effettuato alcuni ritocchi ad un dipinto ma non riconosciamo la paternità all’autore. Il Nazareno, con dose notevole di coraggio combatteva la corruzione, parente stretto dell’abuso di potere, della prevaricazione, dell’arroganza, della tirannia, delle speculazioni e delle mistificazioni, disvalori combattuti dal management. Rifiutare una dottrina evolutiva, denigrandola con l’alibi "dell’americanismo", tout court, soprattutto se minaccia il disvelamento della mediocrità, risulta accettabile socialmente, diverso è, invece, prendere consapevolezza che tale dottrina, concepita per la civilizzazione, per l’evoluzione e l’ammodernamento delle condotte umane, sociali ed organizzative è di proprietà del Nazareno, dottrina con la quale non si identificano solo i pesci parlanti.

La comunicazione, le sue strategie e tattiche mirate, portano da un conflitto ad una negoziazione, portano dalla guerra alla pace, portano le persone dalla mortificazione alla felicità, portano dalla malattia alla salute; la comunicazione verbale e soprattutto quella non verbale può compiere immani danni e può compiere "miracoli". Gli affezionati alla storia ricorderanno l’espressione: "non sono io che compio i miracoli, il miracolo è nella mia parola".

Questa lungo preambolo è necessario per evitare che il seguito scivoli sulla pelle, mediante facile dribbling.

Ogni appuntamento politico, ogni appuntamento, testaggio del numero dei seguaci, ogni azione di marketing politico per la ricerca di altre "nicchie di mercato", è contrassegnato da messaggi ridondanti e tesi alle innovazioni, alla crescente sensibilità verso i bisogni dei cittadini, più con azioni denigratorie verso la concorrenza, che non con azioni propositive, o ancora meglio con idee creative-innovative. Un tempo la politica era prevalentemente costituita da "topi di partito" con la cultura del non fare, da un po’ di tempo a questa parte, è frequentata da una discreta popolazione di "topi d’azienda" o comunque da topi che hanno la cultura del fare. L’ultima generazione di topi conosce, in maniera superficiale o in maniera approfondita che cosa sia la cultura del mangement e quanto oggi sia indispensabile per la sopravvivenza sul mercato della serrata concorrenza, ma sanno anche quanto il management sia indispensabile in ogni forma organizzativa, ai fini di espressioni altamente qualitative, ai fini dell’abbattimento delle diseconomie e di ogni processo evolutivo umano ed organizzativo.

Se facciamo la somma delle forme evolutive proclamate dai partiti e, singolarmente, dai politici di ogni corrente, soprattutto nei momenti della narcolessia di massa, o delle litanie, tipiche degli incantatori di serpenti; se sommiamo le dosi straordinarie di abnegazione verso la risoluzione dei problemi di nicchie sociali sventurate; se facciamo la somma del management promesso, in termini di pianificazione, programmazione, direzione e verifica, mediante lo strumento del time management, ci troveremmo di fronte ad un pasticcio Darwiniano, ci troveremmo a dover far ricerca interplanetaria di candidati all’attività politica.

All’insegna dei riformismi partitici, del restyling dei loghi e dei marchi, dei restauri e maquillages organizzativi, della diffusione della cultura manageriale in politica, non ancora, evidentemente, assimilata e decodificata in modi di pensare e di agire, ancora oggi, assistiamo a condotte cristallizzate e ripetitive, a copioni e controcopioni che godono di tradizione secolare.Le azioni di marketing politico seguono schemi, sotto l’egida dei tanti rinnovamenti di natura ipnotica, la comunicazione politica presenta pratiche di stagionatura, più rigorose di quelle impiegate per i vini di prestigio destinati ai v.i.p.

Un rappresentante politico è, per antonomasia, un modello di comportamento, il più civile, il più evoluto, il più credibile e affidabile(piena aderenza tra dire e fare), considerato che siamo creduti per quello che facciamo, non per quello che diciamo, preposto a stimolare i processi di identificazione per la realizzazione di un modello umano e sociale, secondo vision e mission, proclamate, anche con forza aggressiva, il più delle volte, da ogni forza ed organizzazione politica, soprattutto, oggi, con le visioni di una cultura manageriale, connaturatasi nelle persone dedite alla politica, almeno per quanto concerne il dire, molte volte viene meno anche questo ed altro, senza, ovviamente, generalizzare.

Politica & management devono necessariamente essere acerrimi nemici, per loro natura non possono compenetrarsi, per loro natura non possono coesistere? Si perderebbe il fascino e l’ebrezza del piacere per la politica, qualora si dovesse praticare la politica in stretto connubio con il management? Forse è insito il "brutto male" della presunzione nell’attività politica, tanto che il politico mediocre, sotto la parte modale della campana Gaussiana, pensa di applicare, nel suo fare politico, il management, senza averne chiari i significati basilari, nella sua accezione più profonda? Può essere che la politica sia, necessariamente, in posizione antitetica con il management? A parte i salutari interrogativi, è certo che più una persona o un organizzazione si allontana dal polo della tirannia,(abuso di potere, mistificazione speculativa, iperprotezionismo, capziosità, azioni di sfruttamento, animalità umana non sanata, pulsioni libidiche ed aggressive traslate) più si avvicina al polo della managerialità.

Se si traducono alla lettera le comunicazioni dei politici, soprattutto nei momenti dell’amplesso e della fase preorgasmica, e se si ascoltano, bypassando il filtro critico della mente, appare evidente che il politico si avvicina alle caratteristiche del Messia, con inclinazione ed abnegazione alla salvezza, indistinta, delle persone del suo territorio, a seconda dell’incarico comunale, provinciale, regionale o nazionale, spogliandosi totalmente di ogni forma di interesse personale, ma unicamente per la passione della disciplina, più forte di qualsiasi altra.

Per quanto riformismo ed evoluzionismo abbia gioito e sofferto, l’attività organizzativa politica, con infiltrazioni endossee di management, oggi si assiste ad uno scenario con l’acre odore dello stallo.

La comunicazione efficace è il punto cardine su cui ruota la funzionalità di ogni organizzazione, essa è un distinguo del management e richiede, per essere tale, l’ascolto empatico come attività prevalente su quella del parlare, nell’attività politica è sovvertita tale regola. I dibattiti politici, anche sotto l’osservazione di un copioso numero di spettatori, per mezzo del tubo catodico, avvengono sovvertendo le regole della buona educazione, le regole del management, le regole del dialogo. La comunicazione avviene, non per lo scambio dei contenuti, ma per la disputa della relazione, una comunicazione sana avviene per arricchire gli interlocutori, una comunicazione finalizzata alla disputa del potere si sviluppa accavallando le parole, interrompendo l’interlocutore e non ascoltandolo, con molta più inclinazione ad esprimere la propria opinione che ad ascoltare quella altrui. E’ evento raro apprezzare l’opinione altrui, è evento certo il dissenso, anche, del respiro dell’interlocutore, l’unico vero obiettivo e speranza, è tentare in ogni modo di ammutolire la persona con opinione diversa.

Il management è sensibilità all’ascolto è attenzione e rispetto per quello che l’altro esprime. Il management è agli antipodi della prevaricazione.

Alcune espressioni politiche, contrariando il credo del management autoreferenziato, e accendendosi di passionalità non comune, trovano espressioni coraggiose e creative, per giungere all’esercizio di discipline sportive a corpo libero.

Il management politico, nel "periodo caldo" si esprime mediante opere di mistificazione con gigantografie della speranza, esaltati da miracoli fotografici che rendono mimica e gestuale-postura, foriere di non comuni capacità altruistiche e manageriali, mediante la costruzione di uno stereotipo collettivo. Ciò, poi, è supportato dalla spontanea e connaturata serie di azioni prevaricatorie: coprire, mediante l’esercito degli attacchini assoldati, visi sorridenti altrui con il proprio, che meglio evidenzia il valore della ceramica dentale e, talvolta il pregiato rovere della propria scrivania, strumento operativo dal quale decolla la salvezza dell’umanità. Si associano, inoltre, azioni manageriali che si connotano di estro e creatività per il raggiungimento degli obiettivi(cruccio di ogni manager), all’unico scopo di oscurare, denigrare, azzittire i concorrenti in lizza.

Rapportarsi in maniera intelligente e onorevole su qualsiasi mercato concorrenziale, nella cultura del management, è fare la customer sotisfaction, aspetto principe della cultura manageriale, non la denigrazione e/o la distruzione del concorrente.

Il banchmarking(sistema a forbice), in politica, ancora oggi, non è arte appresa, quest’arte è sostituita dalla creatività accusatoria e denigratoria nei riguardi altrui, tipica arte dell’età infantile ed adolescenziale. Marketing ed etica, in politica, non riescono ad entrare in connubio, pur essendo, l’etica, una delle mire politiche, nei riguardi della civilizzazione del sociale.

I frequenti scismi dei partiti politici, rappresentano più la centratura sui giochi di potere perverso che sui rinnovamenti ideologici, quest’ultimi si servono di stretta cooperazione tra i membri di un team, operando più verso la direzione degli obiettivi organizzativi, altro obiettivo principe del management, che per obiettivi individuali. Lo scisma, poi, a volte, viene lavato con un detersivo chiamato "riformismo", per mascherare socialmente una lotta tra cani molossoidi.

Non vi è traccia, a tutt’oggi, di management in politica, almeno, in linea di massima, la politica dispone di alcuni leader, ma distanti dalla managerialità e dalla dottrina del management, essere leader non implica essere manager, d’altro canto, si può essere leader, anche, nella società deviante.

Se un politico conosce le arti della comunicazione, della negoziazione, della risoluzione conflittuale, risulta un valore insito nella persona, questi ne acquisisce uno stile, con un corollario di valori e di credenze, tali che non gli consentono di poter prescindere dalla loro manifestazione, in ogni qualsiasi ambito operativo. Un musicista con eccellente performance si esibisce nel teatro internazionale, come nel teatro parrocchiale.

Può essere che management e politica siano veramente incompatibili? L’organizzazione politica, come azienda produttiva di pensieri e idee, è diversa da ogni altra forma di organizzazione? Può essere che, volutamente, si rende infertile il terreno per il germoglio del management, per la cura esclusiva della customer sotisfaction orientata al cliente interno e non a quello esterno?

Una cosa è certa, il management ha origine dai valori per il rispetto dell’altro, le arti manageriali lo puntualizzano e lo sviluppano, la crescita e l’evoluzionismo della risorsa umana lo sostengono e lo promuovono.

 

Dr. Paolo La Cagnina - Psicologo

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