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Speranze, illusioni, delusioni...
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

7 aprile 2011






E se Socrate andasse al fast food?


COLLOQUI RISERVATI - REMIX

Questo lavoro, che riporta la sintesi di un colloquio di analisi personale, è stato già pubblicato il sette giugno 2008. Viene riproposto all’attenzione dei lettori, con qualche aggiornamento, per evitare il rischio dell’oblio all’interno del ricchissimo archivio de "La Strad@". Ovviamente, il materiale esposto, con il consenso della persona interessata, rispetta tutti i dettami della legge sulla Privacy ed i principi del rispetto e della correttezza professionale.

 

BUONA LETTURA

SOCRATE - "Mio caro Fedone, è da questa mattina che discutiamo se la fame sia per l’uomoun bene o un male: io penso che essa stimoli la creatività e tu invece la temi come il peggior nemico per la vita dello spirito. Ora, tanto per restare in argomento, che ne diresti di placare il nostro appetito con un buon pasto alla trattoria di Sarambos?"

FEDONE - "Senza dover camminare fino a fuori le mura, forse potremmo, da buoni filosofi, consumare un pasto veloce proprio in questa zona".

SOCRATE - "Che io sappia, qui dove siamo, non c’è alcuna taverna che possa darci qualche galletta di maza o un mezzo chilo di sardine".

FEDONE - "Guarda davanti a te, o maestro, e ti accorgerai che in pratica siamo già arrivati: la vedi tu quella fila di ragazzi che aspetta lungo il marciapiede? Ebbene, sappi che essi stanno per entrare in un luogo dove si mangia senza mai indugiare al piacere".

SOCRATE - "Sono lieto che tra i giovani sia sorta una corrente di pensiero contro le lusinghe della tavola".

FEDONE - "Codesto nuovo modo di cibarsi è chiamato fast food, espressione barbara che che nei Paesi ad di là delle colonne di Ercole sta per "cibo veloce". Si dice che in tutto il Paese siano più cinquecentomila i ristoranti che hanno già deciso di trasformare i loro locali in fast food"-

SOCRATE - "E cosa offrirebbero da mangiare?"

FEDONE - "In genere carne tritata ai ferri e patate fritte".

SOCRATE - "Per quanto mi riguarda, non ho paura di provare, mio buon Fedone, uniamoci ordunque ai giovani e speriamo che gli Dei apprezzino il nostro sacrificio!"

FEDONE - "Ti avviso, o Socrate, che, non essendo tu allenato a codesto tipo di alimentazione, potresti in seguito avere problemi di carattere digestivo!"

SOCRATE - "Non dire sciocchezze, o Fedone! Durante l’assedio di Potidea mangiai cose ben più disgustose. Piuttosto dimmi: che cos’è questo strano odore che impregna l’aria?"

FEDONE - "In vertà lo ignoro: potrebbe essere l’olio fritto delle french fries o di sudoredei clienti, ma tu maestro non dartene pensiero giacché è proprio l’odore che avverti ad attirare i giovani nel fast food".

SOCRATE - "Ho capito: questi giovanotti devono essere tutti filosofi cinici. Ricordo che una sera invitai il loro capo Antistene a un banchetto in casa di Agatone: si trattava di un pranzo di nozze dove venivano servite anguille del lago Copaide e vino di Rodi. Ebbene, sai tu cosa mi rispose il vecchio pazzo? Che avrebbe preferito morire, piuttosto che provare del piacere!"

FEDONE - "Quello è sempre stato un esaltato".

SOCRATE - "Forse è come tu dici, o Fedone, però io adesso, negli occhi del giovane che mi sta accanto, scorgo lastessa voglia di soffrire che vedi sul volto di Antistene. Sono così sicuro di me che vorrei sincerarmene subito..." "Dimmi, mio giovane amico: perché mai vuoi mortificare il tuo gusto? Sei forse anche tu un seguace di Antistene?"

RAGAZZO - "De chi?"

SOCRATE - "Di Antistene di Atene, il cinico".

RAGAZZO - "Il batterista degli Squallor?"

SOCRATE - "Ora che ci penso, Antistene potrebbe anche essere stato uno Squallor da ragazzo, ma non è di questo che voglio parlare. Ciò che invece vorrei sapere è perché tu, che dall’aspetto sembri un benestante, preferisci soffrire insieme ai tuoi amici".

RAGAZZO- "E a te che te frega?!"

SOCRATE - "Dai tuoi modi aggressivi deduco che sei un cinico".

RAGAZZO - " ’A Coma Profondo, ma chi è ’sto Antistene?! E lassame perde’! "

SOCRATE - "Ho paura, caro Fedone, che ci siamo sbagliati di grosso: costoro non sono filosofi. Sono solo giovani schiavi, ridotti in questo stato pietoso da un feroce trattato di pace. Evidentemente gli americani, allorché vinsero la Seconda guerra mondiale, imposero delle condizioni che noi ignoriamo e che ancora oggi gravano sui popoli vinti!"

FEDONE - "Fino a questo punto!"

SOCRATE - "D’altra parte anche gli ateniesi hanno sempre infierito sugli sconfitti con pene e umiliazioni. Agli egineti fu amputato il pollice destro perché potessero manegiare il remo ma non la spada e alla gente di Samo venne impresso sulla fronte con il ferro rovente il disegno di un piede, per ricordare loro che sarebbero sempre vissuti sotto il tallone di Atene. Al confronto cosa vuoi che siano cinquemila fast food, un paio di Rambo, una bevanda gassata e gli applausi registrati delle soap opera?"

(Luciano de Crescenzo - Il caffè sospeso -Mondadori 2008 )

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La speranza è un sogno ad occhi aperti. (Aristotele)

Quante speranze "a vuoto" nella mia vita, finora, dottore! Forse avrei bisogno di diventare un po’ più realistica. C’è un legame fra la speranza, l’illusione e la delusione?

Certo... e anche molto "lineare".

E come posso fare, per saperne di più?

Lavorare, come facciamo di solito quando vogliamo risolvere un problema: capire i significati dei termini cui ci riferiamo, scoprire come mai utilizziamo apprendimenti scorretti e, in ultimo, imparare a cambiare.

Va bene, "decodifichiamo" dal vocabolario. Il termine "speranza" deriva dal francese e dal latino e significa. "aspettativa di un cambiamento futuro in bene".

Quindi, aspettativa positiva di un cambiamento futuro. Andiamo avanti.

"Illusione" deriva dal latino (illusus = ingannare) e significa "rappresentazione ingannevole proveniente da errore dei sensi o da artifizi altrui". Infine, il termine "delusione" deriva dal latino (delusionem = burla) e identifica "il mandare a vuoto, il venir meno alle aspettative".

Iniziamo dal concetto di speranza: quale stato d’animo rispecchia e come andrebbe vissuto?

La speranza è uno stato d’animo di attesa nei confronti di qualcosa di positivo che ci auguriamo che accada, ben consapevoli che non dipenderà da noi, ma da eventi esterni; finché qualcosa può dipendere dal nostro operato, piuttosto che sperare, è meglio agire. Quando, invece, ciò è al di fuori delle nostre decisioni e del nostro modo di agire, allora si può parlare "correttamente" di speranza. Ad esempio, un contadino può sperare che le piogge saranno sufficienti ad irrigare i propri campi; egli non potrà controllare le precipitazioni meteorologiche però, al tempo stesso, se si attivasse solo la speranza, nel caso in cui le aspettative andassero deluse, lui perderebbe tutti i suoi beni.

E cosa si dovrebbe fare, quindi?

Per esempio, creare un sistema di irrigazione artificiale, sostitutiva.

Qual è l’atteggiamento mentale più corretto, in questi casi? Io mi arrabbio in situazioni analoghe.

La posizione più adeguata, è quella più realistica, che tenga conto degli effettivi bisogni che è necessario appagare. Dopo essersi resi conto di aver fatto tutto il possibile, non è più il caso di arrabbiarsi, perché basta sapere in anticipo cosa potrebbe accadere nella peggiore delle ipotesi.

Nel caso precedente del contadino, se per lui quell’attività è l’unica fonte di guadagno e non ha soldi per procurarsi un impianto sostitutivo di irrigazione, come deve fare?

Deve sapere che, per quell’anno, rischierà e l’anno successivo, se le cose saranno andate bene, dovrà investire una parte dei guadagni per crearsi le condizioni di una minore dipendenza dagli eventi atmosferici. Al tempo stesso, dovrà essere ben consapevole che, nel caso in cui le cose non andranno come lui s’aspetta, dovrà risolvere diversamente, magari emigrando in altri lavori, ruoli o... paesi. Saperlo prima ti mette nella condizione di decidere se agire o meno in un determinato settore lavorativo e, anche, di stabilire che tipo di contromisure adottare nel caso di eventi negativi. Così non resterai deluso o, quantomeno, non ti coglieranno impreparato gli accadimenti frustranti.

Però, se una persona vede che non può far fronte a questi eventi, deve mollare e fare altro?

Scusi, ma lo sa prima... non lo scopre a giochi fatti!

Ma, se lo si sa prima, rendendosi conto di non avere i mezzi per farvi fronte, cosa bisogna fare?

Non ti ci metti proprio a fare qualcosa, oppure rischi e, se ti va male, ti arrangi, vai a chiedere l’elemosina, però lo sai in anticipo!

E questo non crea uno stato di tensione?

No, nel momento in cui accetta di correre il rischio, a ragion veduta. Se ritiene che non sia il caso, deciderà di fare altro. In definitiva, l’unica cosa che potrebbe tenere sotto forte tensione l’essere umano è sapere che, a seguito di una sua decisione, dipenderà la propria vita o la propria morte, come nei film, in cui fanno vedere l’eroe di turno che tenta di disattivare una bomba e poi arriva al momento cruciale in cui deve scegliere quale filo tagliare tra due, di cui uno è risolve e l’altro esplode. Ecco, quelli sono i casi che, nella realtà, possono crearle uno stress più che giustificato, perché, se sbaglia, paga con la vita!

Però pure il fatto di sapere che dall’esito di un’attività, di un progetto, di un evento, dipendono le proprie condizioni di vita, non è che faccia stare proprio tranquilli!

Sì, ma un conto è sapere che può rischiare di morire, un conto è sapere che, anziché potersi permettere un vita comoda, deve ricominciare daccapo, magari in un altro paese.

E non è grave lo stesso?

E’ grave, ma non è disastroso. La storia ci insegna che tanta gente si è riempita di debiti, magari è finita addirittura in galera per debiti, poi ha pagato il suo debito con la giustizia, ha ricominciato altrove, ed è riuscita a sfondare. Tutto può accadere. Nell’arco di una vita, eventi del genere possono essere compensati, possono essere assorbiti. Come si fa a focalizzare la qualità di una vita in base ad un evento soltanto, che, in quel momento ti può penalizzare anche molto, ma in qualche modo si può risolvere o, quanto meno, se ne possono attenuare gli effetti? Noi non possiamo vivere esperienze legate al mondo degli affetti o del lavoro in senso assoluto, come se solo da quelle dipendesse tutto il resto della nostra vita. Quelle ci condizioneranno indubbiamente, in positivo o in negativo, però, siccome l’identità (quindi il rapporto con noi stessi) incide per oltre l’80% nella qualità della nostra vita, l’importante è trovare (senza smarrirlo)il senso della pria vita, per restare vivi e in buona salute, il resto è un’aggiunta.

Però, se per restare vivi e in buona salute, in questa Societā,bisogna soddisfare bisogni e necessitā,anche non fondamentali. Come si può stare bene a quelle condizioni?

Vivi ed in buona salute lo si può restare anche solo appagando i bisogni indispensabili, perché le popolazioni che si occupano prevalentemente di procacciare cibo e di avere un tetto sulla testa, sono vive e in buona salute.

Ma che vita fanno?

Sono vivi e in buona salute. A queste condizioni, riescono, meglio di noi, a scoprire e sbrogliare il bandolo di molte matasse esistenziali.

Ma non basta soddisfare i bisogni indispensabili, visto che, per vivere bene, bisogna raggiungere degli standard qualificanti di comodità!

Queste ultime migliorano la qualità della vita, ma non le può valutare come elementi indispensabili per una buona salute. Lei confonde la buona salute col vivere bene: c’è tanta gente in buona salute che fa una vita poco gratificante e, avolte, degradante (magari, moralmente parlando).

Ma il fatto di non raggiungere una buona qualità di vita, non comporta disturbi proprio per il mancato appagamento?

Nel tempo, non immediatamente. La vita è fatta di priorità. Se lei, quando prende una decisione riguardante delle scelte da fare, carica il momento di eccessiva tensione, perché lega a quell’accadimento la sua qualità della vita e la sua salute, presente e futura, avrà sovradimensionato il tutto. Bisogna, invece, ridurre l’importanza di un accadimento: si sceglie e, nella peggiore delle ipotesi, si ricomincia daccapo.

Io pensavo che, per poter parlare di condizione di buona salute, si dovesse fare riferimento ad una situazione di benessere psicofisico, che richiede anche qualche comodità; perciò ritenevo che chi non appaga anche i bisogni primari non indispensabili, vive male.

A lungo andare può compromettere la sua salute se non appaga anche i bisogni primari: Ma, ripeto, a lungo andare. Non è un discorso immediato.

Ed io, non ho dei disturbi?

Ha dei disturbi non perché non sia riuscita a soddisfare completamente i bisogni primari necessari allo sviluppo di un’identità corretta e matura, ma perché è cresciuta in un ambiente dove ha imparato ad allarmarsi oltre misura, per una reazione eccessiva ad eventi, tutto sommato, non così rilevanti.

Ma, anche in quell’ambiente, non è che non mangiano e non dormono, eppure producono tanti disturbi..

...per un modo errato di affrontare la vita.

Quindi si può vivere, col minimo indispensabile, a dimensione corretta?

Se ha il minimo indispensabile, può evitare di ammalarsi e mantenersi in forma; se poi spreca la sua vita, i fastidi accumulati la condizionano anche dal punto di vista biologico. C’è gente che ha vissuto per tanti anni in carcere, come Nelson Mandela, ad esempio. Eppure ancora oggi,costui, pur essendo un uomo nato nel 1918, in qualche modo riesce a influenzare la politica del suo paese. Se lei riesce ad assorbire in maniera adeguata un evento negativo, non guasta la salute, perché cerca di raggiungere sempre l’equilibrio dei suoi sistemi psicobiofisici. Questo è l’errore della Società contemporanea occidentale: credere che, per star bene, si debbano appagare una serie di bisogni e di desideri, quando invece, il provare a farlo, ad alto costo, comporta esattamente il risultato opposto, cioè ci si usura per raggiungere quei riferimenti illusori.

Però, se una persona è abituata a vivere con certi standard di vita, nel momento in cui la condizione peggiora, non starà male per lo scombussolamento?

È una questione di immaturità e di cattive abitudini. Se vendessimo l’apparecchio con cui registriamo questi colloqui, col ricavato, un bambino, in Africa, potrebbe vaccinarsi contro una malattia virale; eppure noi non lo consideriamo neanche un grande prodotto, tanto che io pensavo di cambiarlo! Quanti maglioni slabbrati ci rifiutiamo di indossare, eppure sarebbero indispensabili per chi soffre il freddo e non ha nulla con cui coprirsi!

Proprio poco tempo fa, però, quando io le ho detto che mi pareva una perdita di tempo andare dietro alle mode ed adeguare il proprio abbigliamento ad esse, lei mi ha spiegato che, poi, la Società non accetta una persona con abbigliamento antiquato.

E’ una questione di equilibrio tra le richieste del mondo esterno ed il prezzo che si è disposti a pagare, c’è un punto di pareggio, al di sopra o al di sotto del quale non "conviene" andare.

Comunque si spendono soldi, e quindi, tempo e lavoro, per comprare cose che si potrebbe evitare di acquistare.

Ma siccome le nostre attività professionali ci offrono una remunerazione che va oltre l’indispensabile, si tratta di scegliere in quale direzione dirottare le risorse economiche.

Per tornare al ragionamento di partenza da cui è scaturito tutto il discorso, illudersi, comunque, è sbagliato?

L’illusione è il risultato di valutazioni scorrette riguardanti la previsione di un evento.

Ad esempio, io mi illudevo di poter trarre vantaggio in tempi rapidi da una nuova collaborazione lavorativa.

La previsione era sbagliata, in relazione alla sua scarsa o nulla esperienza in merito.

Ma per miei errori di valutazione?

Per suoi errori di valutazione legati all’assenza di esperienza nel settore specifico. Oggi sarebbe in grado di stabilire dei tempi più lunghi. La scorsa volta parlavamo comunque dell’utilità di questo tipo di operazioni, che potrebbe tornarle utile anche per altri versi, ma lo sta scoprendo giorno per giorno. Lo potrà insegnare ai suoi figli. Lei sta inventando tutto da sola, non ha avuto alle spalle un predecessore e, quindi, sta raggiungendo dei traguardi, pagandoli cari, perché ci impatta con la sua pelle. Cercare di raggiungere dei buoni traguardi professionali senza avere alle spalle esperienze e conoscenze, costa molto e richiede dei tempi lunghi.

Ma gli altri come fanno?

Per saperlo dovrebbe chiedere a loro. Lei sta scoprendo che molti commettono imbrogli che rasentano o superano l’aspetto penale. Anche quello è legato all’apprendimento, perché l’hanno dovuto imparare. Comunque, se lei 4 anni fa avesse avuto l’esperienza di oggi, attualmente avrebbe otteuto risultati più che lusinghieri.

Sì, però, io ho scoperto, in modo indiretto, certi sistemi lavorativi che non immaginavo e di cui nessuno mi ha mai parlato!

E sarebbe stato come riferirle: "Io, in genere, il sabato sera, vado in chiesa, apro la cassetta della offerte e prendo i soldi che vi trovo!".

Certo, però non immaginavo proprio che certi sistemi non proprio regolari fossero così generalizzati!

Ma perché lei è vissuta in una famiglia composta da persone rigide, precise, tendenzialmente oneste nel rapporto con gli altri, disoneste nel rapporto con se stesse e, quindi, non le sono arrivati sentori del vivere comune. Per concludere il "trittico", la delusione, invece, è la condizione legata a quello che si prova quando c’è un saldo negativo tra l’aspettativa ed il risultato.

Questo può dipendere sia da manchevolezze proprie che del mondo esterno?

In realtà, la manchevolezza principale è, comunque, dovuta al non essersi saputi dimensionare correttamente rispetto alle possibilità di esito negativo.

Per evitare di trovarsi in queste condizioni, allora, non bisogna fare valutazioni illusorie. Una persona che ha poca esperienza, come può sperare di riuscirci?

Intanto, è bene fare le esperienze e, di conseguenza, pagare prezzi alti. Per come si trovava lei, come apprendimenti familiari, avrebbe potuto fare solo l’impiegata... e con un certo tipo di frustrazioni, per cui non sarebbe rimasta contenta lo stesso. La libera professione è quella che dà i maggiori vantaggi, ma bisogna imparare a "professarla".

Colloquio intenso: come possiamo salutarci?

Con un aforisma che ci aiuta a capire le motivazioni in base alle quali percepiamo il tempo a nostra disposizione, in maniera molto relativa: "Il tempo che abbiamo quotidianamente a nostra disposizione è elastico: le passioni che sentiamo lo espandono, quelle che ispiriamo lo contraggono; e l’abitudine riempie quello che rimane"

Molto profondo, mi è piaciuto!

E allora gliene cito un altro, più in tema con l’argomento di oggi: "Promettiamo in base alle nostre speranze e manteniamo le promesse in base ai nostri timori" (François de La Rochefoucauld).

 

G. M. - Medico Psicoterapeuta

 

Si ringrazia Adelina Gentile per la collaborazione offerta nella stesura del dattiloscritto

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