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Primo giorno
di Massimo Morrone  ( zuminimu@libero.it. )

5 ottobre 2002

" E' una cosa strana. Più la osservo e più non mi convince. La velocità con cui questo individuo fa il giro del palazzo e poi si ferma davanti al portone, resta tre o quattro minuti in attesa, quindi si allontana di qualche passo e torna a fare il percorso nuovamente, è perlomeno bislacca?"


 

" E’ una cosa strana. Più la osservo e più non mi convince. La velocità con cui questo individuo fa il giro del palazzo e poi si ferma davanti al portone, resta tre o quattro minuti in attesa, quindi si allontana di qualche passo e torna a fare il percorso nuovamente, è perlomeno bislacca. Non so da quanto tempo va avanti questa storia e a dire la verità, se non fossi costretto a rimanere a casa per via di questa stupida febbre, probabilmente non l’avrei mai notato. Ci ho fatto caso, la seconda volta che ho messo il termometro sotto l’ascella. La prima volta l’avevo fatto cinque minuti fa e mi dava una temperatura troppo elevata. Allora ho fatto la prova del nove, anche perché pur non sentendomi tanto bene, non credo di stare per oltrepassare la fatidica soglia, come questo arnese pareva volesse indicare. E così l’ho visto. E’ un tipo sui trent’anni, ha la barba rossiccia, i capelli pure, in testa ha un cappello strano con un pennacchio multicolore. E’ vestito con un mantello rosso e ha blue-jeans stracciati, indossa

indossa un paio di sandali e non sembra quasi vero. Insomma, questo personaggio sui generis passa e ripassa senza tregua da più di un quarto d’ora e non sono ancora riuscito a comprendere qual è il suo disegno. Si, in sostanza, a cosa mira? Eccolo che rifà il giro. Conto fino a dieci ed è di nuovo qua, si ferma, attende tre o quattro minuti, si allontana guardando verso il mio piano, poi oplà ritorna a fare il suo tragitto. Intanto tolgo il termometro da sotto il braccio e lo riesamino alla luce del sole. Ancora una volta è sui quaranta e mezzo. Mi tocco la fronte per vedere se scotto e la sento gelida piuttosto. O sono morto e non me ne sono accorto, oppure questo aggeggio non va affatto bene. Però se lo scrollo, se lo agito, la temperatura torna sui trentasei, quindi dovrebbe essere vera la prima ipotesi e cioè che sono morto, ma se fosse vera la prima ipotesi non potrei fare questi movimenti, quindi deve esserci qualcosa che non quadra. Mi siedo sulla poltrona e rimetto il termometro nella custodia, guardo ancora per un po’ quel carosello ripetitivo, poi mi scoccio ed apro la finestra sporgendo la testa e gridando a quel tizio:

Ehi, lei, mi vuole spiegare cosa diavolo sta facendo da un quarto d’ora qua sotto?

La mia voce vorrebbe essere alta, ma mi esce un suono basso e gutturale per cui mi domando se il tizio abbia sentito o meno. E la risposta a questa domanda arriva un momento dopo allorchè quel tipo mi dice:

Ah, ma allora è in casa, mi avevano dato il suo indirizzo, ho anche suonato al citofono, ma non mi ha risposto nessuno, poi ho chiesto al portiere e mi ha detto che era in casa, ma suonavo e non rispondeva così ho cercato di vedere se c’era e dare una voce.

La sua spiegazione mi sembra abbastanza debole, ma ormai mi ha incuriosito per cui gli dico:

Va bene, d’accordo, salga così mi spiega cosa vuole.

Il tizio annuisce ed entra nel portone.

Dopo un po’ lo vedo che appare dalla scalinata, con un lieve sorriso sulla faccia.

Si sarà domandato perché facevo sempre il giro - mi dice - ora glielo spiego. Mi chiamo Roberto la cercavo per una lettera che ho ricevuto qualche mese fa.

Mi si avvicina e mi porge la mano. Deve avere notato che sono in pigiama.

Ho la febbre - rispondo ad una domanda non posta.

Mi dispiace, non le porterò via molto tempo.

La mia febbre pare alta, ma non mi sento così male come dovrei. Prego si accomodi signor Roberto.

Gli stringo la mano.

Lo faccio accomodare in salotto e gli offro una bibita ghiacciata che accetta con piacere.

Vengo subito al punto - dice senza preamboli e lo ringrazio per questo.

Sono proprio curioso di sapere questa storia della lettura per cui non vedo l’ora che inizi.

Qualche mese fa mi è arrivata una lettera.

A conferma di quanto stava dicendo si fruga sotto il mantello e ne estrae una busta. E’ piena di francobolli. Me la porge.

Guardo la busta e leggo sopra di essa il mio indirizzo.

Cosa significa? - domando.

All’inizio ho pensato ad un errore - chiarisce lui - sa questi postini sono distratti a volte, ma poi mi sono detto non è possibile che siano arrivati a tanto. Sono in un’altra città ed ho un cognome completamente diverso dal suo.

Beh di possibile è possibile , anche se piuttosto improbabile - convenni.

Esatto. Quindi se è arrivata a me piuttosto che a lei, iil motivo deve essere un altro.

E qual è il motivo secondo lei? - domando mentre sento che la temperatura sta salendo. Dio mio a quanto arriverà?

Credo che sia stata recapitata a me, perché lei qualche mese fa non avrebbe gradito una notizia come questa.

Perché che notizia è? - domando perplesso.

La legga di persona - mi invita.

Lo accontento, mi alzo, vado a prendere i miei occhiali sul tavolo, li inforco e scorgo il contenuto della lettera. A metà di essa mi fermo sollevando scetticamente un sopracciglio nella sua direzione. Ma Roberto non guarda verso di me. Il suo sguardo anzi è posato sul pavimento e per quanto le mie mattonelle non siano da disprezzare, dubito fortemente che sia davvero interessato ad esse. Piuttosto i suoi occhi sono completamente in balia dei suoi pensieri, sono fissi e chissà dove ha la mente. Il suo stato d’animo tuttavia non deve essere peggiore del mio.

Vorrei interrogarlo, ma vado fino in fondo della lettera e quando vi giungo, mi schiarisco la voce.

Quindi mi è stata offerta una proroga? - chiedo con un tono che vuole essere ironico e che invece per quanto mi sforzi risulta preoccupato.

Così si direbbe - dice Roberto. Sembra essere mortificato dalla sua presenza in casa mia.

Avrei voluto non venire - aggiunge poi - ma come ha potuto notare, le prescrizioni contenute nella lettera sono abbastanza precise.

Lei mi vuole far credere che quanto è scritto qui sopra non si tratta dell’opera di un mentecatto? - domando incredulo e un po’ irritato.

Sarei felice se fosse così - dice Roberto con voce bassa - ma putroppo credo che quanto è contenuto in quella lettera sia la pura verità. Oggi è il quindici di novembre. Tutto combacia.

Un accidenti! - cerco di urlare ma mi viene fuori soltanto un vociare rauco - questo è uno scherzo ad opera di qualche buontempone, una stupidaggine bella e buona! Le devo chiedere di andarsene.

Roberto annuisce, poi si alza dal divano.

Mi dispiace di averle rattristato la giornata. Le chiedo scusa, ho fatto soltanto quanto era scritto nella lettera, ho seguito i suoi dettami con precisione ed accuratezza. Sono solo un messaggero.

Lei è solo un pazzo rompiscatole - mi adiro - vada fuori.

Roberto si accomiata a capo chino. Lo vedo mormorare una specie di saluto, aprire l’uscio e scendere le scale mogio mogio.

Io chiudo la porta. Torno sui miei passi. Indubbiamente è il quindici di novembre, ho un febbrone da cavallo senza possibilità di errore, ma da qui ad arrivare a questo! E poi tutti quei francobolli, per comunicarmi, per comunicarmi una notizia come quella...Non può essere. E poi chi ha spedito quella lettera? E perché? Perché ho avuto una proroga? La spiegazioni fornitami da Roberto mi sembra una panzana troppo grossa. Qualche mese fa non avrei gradito tale notizia ed ora perché dovrei gradirla? Che razza di stupidaggine! Sento che la temperatura avanza. Il termometro giace tranquillo sul tavolo del salotto. Potrei ricontrollare ma mi sembra assolutamente fuori luogo. Non devo cedere alla superstizione. Mi siedo sul divano e vedo che Roberto sta uscendo dal portone, sta parlando con Anna che, come mi ha preannunciato qualche ora fa al telefono, è passata a farmi visita. Anna si mette una mano sulla bocca, poi scoppia a piangere.

Che cosa le sta raccontando quello stupido? All’inferno! Mi alzo dal divano e tento di avvicinarmi alla finestra. Ma è tutto inutile, non solo ricado a sedere ma le forze cominciano ad abbandonarmi. La testa comincia a girarmi e mi sento mancare. Mi sforzo di lanciare un urlo. L’urlo della disperazione, ma non esce nulla dalla mia bocca. Allora con le restanti forze prendo la busta e guardo la data dell’ufficio postale. Diciotto settembre. Vado indietro con la memoria, mi chiedo con avidità che cosa è successo quel giorno o in quel periodo affinchè una notizia come questa non fossi all’epoca capace di sopportarla. Poi mi chiedo da quanto tempo è in uso questa abitudine di avvisare le persone prima che avvenga il loro trapasso e non ho alcuna risposta e tutto mi sembra senza alcun senso. Intanto mentre i miei occhi cominciano a chiudersi vedo una bambina che attraversa sulle punte le pareti del salotto. Ha occhi verdi bellissimi. E’ magra ma ha un’espressione allegra disegnata sul viso. E’ vestita come se dovesse recarsi al primo giorno di scuola. Mi viene vicino, battendo le mani.

Vieni con me signore, oggi comincia un nuovo giorno.

Mi prende per mano. Vorrei replicare che non posso, che non ho più forze per muovermi, ma miracolosamente mi levo e ad ogni passo che percorro insieme a lei, il cuore mi pare più leggero.

 

 

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