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Kappa
di Massimo Morrone  ( zuminimu@libero.it. )

25 maggio 2002

In questo breve racconto l'autore traccia la breve odissea di un personaggio che sarà, suo malgrado, il buggerato spettatore di un furto in un appartamento.


 

 K sentì che le sue previsioni stavano per avverarsi. Aveva avuto occhio clinico nella circostanza. Trattenne il fiato e tese l’orecchio. Non perse di vista la porta. Il rumore dei passi si era interrotto proprio nelle immediate vicinanze e questo significava una sola cosa. Se avesse avuto il telefono, K, avrebbe chiamato la polizia, ma aveva cambiato casa da poco e benché avesse l’apparecchio, le linee non erano state allacciate. Era notte fonda, l’orologio sulla mensola batteva le tre. K che era appena tornato dalle vacanze, si era svegliato di soprassalto, sudato e senza fiato. Aveva fatto un brutto sogno senza dubbio; aveva deciso di andare in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Era da lì che aveva sentito qualcuno salire le scale e si era detto vuoi vedere che questo cercherà di rubare in casa mia? E quello si era fermato, proprio davanti alla sua porta. I rumori erano cessati. K stava all’erta, aveva preso un coltello da cucina e lo teneva stretto fra le dita. La pendola lo informò che erano trascorsi due minuti senza che nulla accadesse. K prese una sedia e la posizionò con fare silenzioso e delicato davanti all’uscio. Si accomodò e restò muto, pronto a captare qualsiasi suono. Il tempo trascorreva lentamente senza che nulla succedesse. A K venne l’idea di guardare dallo spioncino, ma, siccome la luce del pianerottolo era spenta, vide soltanto un’oscurità profonda e nient’altro. Ritornò a sedersi, determinato a opporsi a chiunque avesse osato entrargli in casa. L’attesa si protrasse per molto tempo, quando K ritornò in cucina in punta di piedi per versarsi il secondo bicchiere la pendola batteva le quattro. Niente si era mosso da allora, ma K non si era appisolato. Era rimasto vigile. Prese il bicchiere e lo portò alle labbra. Lo sorseggiò lentamente. Ritornò alla postazione con l’arma in mano. Appoggiò la testa al muro e pensò che il ladro aveva fiutato qualcosa e probabilmente aveva rinunciato. Il problema era che non si muoveva neanche lui. Forse aspettava che K tornasse a letto. Oh, se era questo che sperava era una pia illusione. K non era tanto stupido, anzi. K era in pensione, aveva settant’anni, ma questo non voleva dire che fosse rimbambito.

Tu prova ad aprire la porta - disse K- e poi vedi come ti combino.

In quel palazzo in cui si era da poco trasferito gli avevano detto che erano stati perpetrati diversi scassi. K durante le vacanze, che erano durate pochi giorni, si era preoccupato un po’ di questa cosa, infatti ogni sera passava da casa per assicurarsi che tutto era a posto. Durante il giorno c’era il portiere, per cui K era abbastanza tranquillo, avendo saputo che il portiere era un ex guardia municipale, ma la notte quando il portiere andava via, K non lasciava la casa incustodita e la riempiva con la sua protettiva presenza. Il ladro era venuto a fare il suo lavoro, ma poi qualcosa lo aveva bloccato e K si chiedeva la ragione. Indubbiamente doveva essere un ladro degno di rispetto, un professionista serio e "morigerato" perché accortosi che il padrone di casa si era svegliato non aveva provato ad entrare nel suo appartamento, ma quello che era maledettamente strano e che K non comprendeva, era il motivo della sua mancata fuga. Non aveva paura che K avvertisse le forze dell’ordine? Come poteva sapere che K non aveva ancora il telefono funzionante? O che (odiava quei maledetti aggeggi) non avesse neanche il cellulare? Forse lo aveva seguito, forse si era informato, o forse lo conosceva, in ogni caso sembrava essere maledettamente sicuro di sé. Talmente sicuro da non temere K e talmente temerario da restare lì sperando che K se ne andasse a letto. Magari pensando che i passi se li fosse immaginati.

Ah, ripeté K, allora non mi conosci affatto.

E rise sotto i lunghi baffi grigi. Al terzo bicchiere d’acqua la pendola segnava le cinque e K si sentiva leggermente stanco. Tornò a guardare dallo spioncino, ma il sole non era ancora sorto e la luce delle scale sempre spenta. Questa volta mosse la sedia volontariamente per vedere quali reazioni avesse provocato nel suo antagonista. Non accadde nulla. Il ladro non si preoccupò minimamente della manovra di K e continuò nella sua immobilità. Forse si era seduto a terra? Era stato colto da malore o forse dal sonno? Qualcosa deve essere successo si disse K. Non è possibile che questo disgraziato se ne stia zitto e muto per due ore di seguito. Poi pensò che anche lui lo aveva fatto e si rese conto che la cosa era più che possibile. Decise di andare in bagno a scaricare la vescica visto che non ne poteva più. Qualche minuto non avrebbe cambiato niente, pensò. Dalla finestra del bagno guardò in strada e vide un furgoncino rosso che stava per allontanarsi. La cosa lo turbò. Non apparteneva a nessuno del condominio. Forse il ladro se ne era andato. Si era seccato di aspettare che lui tornasse a dormire. Finalmente aveva capito che non c’era niente da fare. Un sorriso di trionfo allargò la faccia di K, mentre si accingeva a tornare alla porta, per verificare la sua ipotesi. Era sul punto di aprire la porta quando si bloccò. E mettiamo che fosse stata tutta una manovra? Che quello avesse un complice che avesse fatto finta di allontanarsi per poi fare soltanto il giro dell’isolato? K avrebbe aperto la porta contento della sua vittoria e il ladro sempre in agguato lo avrebbe tramortito. Sarebbe entrato in casa sua e nel giro di mezzora l’avrebbe svaligiata.

Capito idiota cosa stavi per fare? si disse K. Meno male che ti sei fermato in tempo. Ma complimenti signor ladro, lei ha una bella testolina, ma a K, non la si fa, eh no, figuriamoci. Ora vediamo chi è più furbo fra mezzora il sole sorgerà e tu sarai costretto a prendere una decisione, che sarà quella di andartene, volente o nolente.

K nondimeno tornò a guardare dalla finestra del bagno per vedere se il furgone rosso era tornato. Non lo vide e dubitò per un attimo della sua teoria. Poi pensò che il furgone avrebbe potuto benissimo fermarsi lontano dalla sua visuale in una via attigua, ma certo sicuramente era andata così, per indurlo a sbagliare quel diavolo di ladro si inventava le cose più sottili, le trappole più cervellotiche, ma rise K, non è ancora nata la persona che si può prendere gioco di me. E la pendola arrivò alle cinque e mezzo e il cielo cominciò ad illuminarsi, K con la tazza di caffè in mano guardò dallo spioncino. Non vide nessuno sul pianerottolo. Ma di fronte alla sua vide la porta dell’appartamento del vicino aperta. Vide un tappeto rosso srotolato sul pavimento e si diede del perfetto cretino. Cautamente aprì la porta serrando il coltello nelle mani. Il pianerottolo era sgombro. Si avvicinò alla porta del vicino e chiamò il suo nome, ma nessuno rispose. Suonò il campanello e non accadde lo stesso nulla. Allora col cuore in gola, si decise ad entrare e si accorse mentre un sentimento di rabbia e delusione lo avvolgeva che il ladro aveva già lasciato il segno. K si preoccupava del suo appartamento almanaccando teorie su teorie, mentre l’altro con la massima tranquillità, preoccupandosi soltanto di posare un tappeto a terra per attutire i rumori, arraffava tutto quello poteva nell’appartamento vicino. Che smacco aveva subito K! Non avevano rubato nel suo appartamento d’accordo, ma lo avevano comunque buggerato e l’umiliazione per K era davvero insopportabile. Si sentì talmente male K, che decise di allontanarsi dall’appartamento, immediatamente. Non voleva riferire alla polizia di come era stato turlupinato, non voleva che gli agenti lo giudicassero un inetto, buono a nulla. Gli avrebbero detto d’accordo non ha il telefono, ma poteva gridare, fare schiamazzo, i ladri sarebbero fuggiti. E non avrebbero avuto sicuramente ragione se lo avessero apostrofato in simil guisa? Certo che si. Ed egli sarebbe arrossito fino alle orecchie. No, non voleva esserci. Non voleva mentire dicendo che non aveva sentito nulla e non voleva dire la verità passando per un idiota. Tornò a casa, si lavò, si vestì ed uscì. Chiuse l’appartamento a doppia mandata e scese in strada che erano appena le sei. Camminò speditamente verso il parco bestemmiando ad ogni passo e rimproverandosi aspramente per il suo insano, scriteriato, comportamento.

Massimo Morrone

 

 

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