UNA
VITA CONTROVENTO - 4
L’emozione
era di nuovo tanta, stavamo per affrontare un altro momento
importante, quello che sigillava le nostre vite insieme. Mi tremavano
le gambe, avevo i crampi allo stomaco e gli occhi pieni di lacrime
che non tardarono a scendere e, solo dopo quando mi calmai, feci un
bel respiro e dissi tra me e me:
“andrà tutto bene”.
Arrivò
mia cugina Manolita
che mi rese più bella col trucco e con l’acconciatura
dei capelli, aiutandomi ad indossare il mio bellissimo abito color
champagne a forma di sirena, con uno scollo a cuore e un lunghissimo
velo che partiva dal capo a fare da strascico.
Questo
prezioso capo d’abbigliamento (proprio come lo avevo immaginato
fin da bambina) era stato cucito su misura in un atelier e venne
completato da una ghirlanda di fiori, a cornice dei miei lunghi
capelli. Feci cucire un miniabito identico al mio per Kimberly, lei
ovviamente era la damigella insieme alla figlia di mia cugina
Manolita, che aveva la sua stessa età. Ricordo ancora il suo
entusiasmo, diceva a tutti: io
e mamma ci sposiamo. Fu
una cerimonia semplice, come testimoni avevamo scelto i datori di
lavoro di Francesco, (Vittorio e Serena), una mia carissima amica
(Angelina) e un altro caro amico (Fabrizio). L’unico intoppo fu
il mio arrivo in chiesa perché, a causa di una mancata
organizzazione del parroco, non partì la marcia nuziale.
Fu
imbarazzante entrare nel silenzio e mi arrabbiai molto ma, nello
stesso tempo. pensai che nulla e nessuno avrebbe potuto rovinarmi
quel giorno: già bastavano le facce da funerale dei parenti di
mio marito.
Mio
marito. Si, finalmente potevo chiamarlo così!
Eravamo
appena diventati marito e moglie, avevo accanto mia figlia e la mia
famiglia: non avrei potuto desiderare di più. Finita la festa,
tornammo nella nostra nuova casa, non stavamo nella pelle dalla
felicità, avevamo appena formato una famiglia, le speranze e
le aspettative di essere felici erano tante.
Col
passar del tempo però mi accorsi che però non era così
semplice, la felicità non è qualcosa che puoi
programmare o gestire.
Ho
imparato che sono solo momenti che si vivono e quando arrivano devi
saperli assaporare perché durano un istante, neanche il tempo
di realizzare ciò che ti sta accadendo che, un dispiacere, un
problema o una preoccupazione è dietro l’angolo ad
aspettare e, senza esitare, ti travolge in pieno, come un mare in
tempesta.
L’unica
cosa che ti resta da fare è cercare di rimanere a galla, non
farti travolgere dalle onde ma imparare a cavalcarle. Anche quando la
maggior parte delle volte sembra che l’acqua ti arrivi alla
gola e non ti faccia respirare, che la tua vita stia per sprofondare
negli abissi di quelle acque gelide.
Però,
in ognuno di noi si nasconde una forza enorme che tiriamo fuori
proprio nelle difficoltà maggiori e che, alla fine, ci
consente di sopravvivere. Dopo pochi mesi dal matrimonio, cominciai a
stare male; mi sentivo sempre più debole, l’appetito mi
era sparito, avevo nausee ed emicranie continue. Rimasi a letto per
una settimana, dalla debolezza non riuscivo neanche a muovere le
gambe.
Così,
mio marito, preoccupato, mi portò in ospedale dove mi
sottoposero ad opportuni accertamenti dai quali venne fuori che non
avevo nulla di grave ma ero semplicemente in attesa di un bambino.
Francesco
impazzì dalla gioia. Io, un po’ meno.
Non
mi sentivo pronta per un’altra gravidanza, avevo timore di
stare male come per la prima, di togliere del tempo a Kimberly che
già si stava abituando ad una nuova situazione; avevo paura di
non riuscire a gestire due bambini. In un attimo la mente si affollò
di pensieri e l’ansia prese il sopravvento.
Cominciai
a piangere ma Francesco mi tranquillizzò dicendomi che,
insieme, avremmo superato tutto. I miei presentimenti non erano
sbagliati, i primi mesi furono difficilissimi, le nausee erano sempre
più frequenti non riuscivo ad ingerire nulla, non bevevo acqua
e rigurgitavo bile. Invece di prendere peso, come accade normalmente,
lo perdevo a vista d’occhio: dimagrii almeno 5 chili.
Un
giorno nel tentativo di alzarmi dal letto persi i sensi
Condotta
d’urgenza in ospedale, decisero che era necessario il ricovero,
dovevano nutrirmi attraverso delle flebo e soprattutto idratarmi,
perché ero completamente disidratata. Rimasi ricoverata per 15
giorni e quando un medico mi disse che dovevo cercare di mangiare
altrimenti avrei dovuto interrompere la gravidanza perché
rischiavo la vita, mi spaventai veramente.
Da
lì presi coraggio e cercai di reagire, dovevo tutelare
quell’esserino che stava crescendo in me. In occasione del
matrimonio di mio fratello, uscii dall’ospedale. Le ore in
chiesa furono interminabili, ero testimone e appena mi reggevo in
piedi ma, appena terminata la cerimonia, al ristorante mangiai
l’impossibile. Da lì capii che se il cibo mi veniva
preparato, riuscivo a mangiare di più, soprattutto se non
sentivo gli odori nel momento della cottura. Allora decisi di andare
per un po’ da mia madre che, insieme a mia sorella Linda (che
ancora viveva con lei) si prese cura di me. In questo modo riuscii a
superare i mesi più duri e a portare a termine la gravidanza.
L’attesa
di questo bimbo fece riavvicinare anche la famiglia di Francesco.
Durante la gravidanza mi aiutarono sia la madre che le sorelle.
Decisi
di perdonare le mancanze subite, sapevo che mio marito aveva bisogno
anche di loro. Così mi avvicinai sempre più alla sua
famiglia e loro, frequentandomi, non ci misero molto a capire che ero
una brava persona: si affezionarono a me ed io a loro.
Mi
feci accompagnare da mia suocera ad una visita di controllo e durante
l’ecografia si vide il sesso. Il medico disse: è
un bel maschietto!
Francesco ebbe una reazione esagerata, cominciò ad
abbracciare il medico e a ringraziarlo non riuscendo a contenere la
propria gioia, perché era quello che aveva sempre desiderato:
Un
figlio maschio
Anche
la madre si commosse, era il primo nipotino maschio. Io li guardai e
dissi: allora
nascerà Pietro.
Ancor di più mia suocera si emozionò, Pietro era il
nome del padre di Francesco che morì quando ancora lui era un
bambino, sapevo che ci teneva moltissimo a dargli questo nome e così
in quel momento decisi che quello avrebbe dovuto essere il suo noe.
Finalmente
arrivò il giorno tanto atteso: il 28 luglio 2001 nacque
Pietro, un bimbo bellissimo: rispecchiava la perfezione. Il travaglio
fu lungo e doloroso, ancor più del primo parto; ma quella
volta fu diverso, avevo accanto Francesco che mi tenne la mano per
tutto il tempo e vide nascere nostro figlio.
Ricordo
che era emozionato ma soprattutto sconvolto. In quel momento,
comunque, prevalse la gioia di essere diventato padre, di poter
tenere suo figlio tra le braccia.
In
seguito, questo evento che doveva essere di sola gioia, si trasformò
in un vero trauma. Infatti, il ricordo di quell’immagine, dove
la natura fa il suo corso per dare la vita ad un bimbo, diventa una
trasformazione abbastanza inquietante per chi assiste, soprattutto se
è un uomo.
Tutto
ciò, ebbe delle conseguenze anche sul nostro rapporto fisico:
lui aveva un completo rifiuto verso di me. Cominciarono le vere
incomprensioni tra di noi, io vivevo malissimo il suo rifiuto,
passavo notti intere a piangere, mi sentivo inadeguata come donna,
pensavo di non piacergli più dopo il parto.
Questa
situazione durò per un lungo periodo; più il tempo
passava e più la mia autostima diminuiva, così decisi
di prendere la situazione in mano e mi feci dire cosa lo portava a
comportarsi così. Lui mi disse la verità e così
facendo, si rese conto del fatto che non era la mia persona a non
stimolarlo più, ma il ricordo di quello che aveva visto al
momento del parto.
Parlandone,
insieme, un po’ alla volta riuscì a metabolizzare il trauma
psicologico e ricominciammo ad avere un rapporto più stabile.
Francesco è un uomo splendido, un gran lavoratore, un uomo
dedito alla famiglia e di sani principi che dà il giusto
valore alle cose e alle persone.
Ma,
come ogni essere umano, ha i suoi pregi e i suoi difetti.
Dà
molte cose per scontato, non esterna mai i sentimenti che prova o ciò
che pensa al mio riguardo. Esempio: non mi diceva mai “ti amo”,
o “quanto sei bella”, o qualsiasi altro complimento che
ogni donna vorrebbe sentirsi dire dal proprio uomo.
Mi
capitava spesso di essere apprezzata, da amici, conoscenti, o da
persone completamente sconosciute che incontravo per strada, in
negozi e altri posti vari. Questo mi faceva riflettere e tra me e me
mi chiedevo: “ma
solo lui non si accorge di me? Perché tutti hanno sempre una
buona parola, un complimento o un apprezzamento nei miei riguardi e
lui non nota neanche se faccio un taglio ai capelli che rivoluziona
completamente il mio look?”
Risposte,
in tal senso, non ne ho mai avute.
Cosi,
ho cercato di andare avanti ma, negli anni ho maturato dentro di me
la convinzione di non essere poi così importante per lui. Mi
capitava spesso di richiedere attenzioni, di dirgli che io avevo
bisogno non solo di un uomo che andasse a lavorare, ma di una persona
che fosse più presente a casa, che mi abbracciasse più
spesso che, senza un apparente motivo mi baciasse, che al suo rientro
a casa mi chiedesse come avevo trascorso la giornata.
Ma
succedeva sempre il contrario, mi raccontava di come lui aveva
trascorso il suo tempo, fuori casa. E poi, tutte le attenzioni erano
per i figli, in particolare per Pietro. Questo non lo sopportavo, non
solo perché io venivo messa da parte, ma soprattutto pensavo
che lui facesse delle differenze, tra Kimberly e Pietro.
Prima
che nascesse Pietro, lui era molto attento nei riguardi di Kimberly,
ogni qualvolta rientrava dal lavoro aveva sempre un dono per lei, dal
giornalino da colorare, al fumetto, alle video cassette dei cartoni
animati, alle caramelle o cioccolatini vari. Mi vedevo costretta a
riprenderlo affinchè non la viziasse troppo, persino quando
faceva i capricci per mangiare interveniva sempre lui, che con santa
pazienza faceva il giochino del topino che rubava il suo cibo a far
sì che lei finisse velocemente la pappa.
Ma,
l’arrivo di Pietro, cambiò un po’ le cose…
CONTINUA...
Francesca
Posteraro
Adattamento
del testo: Fernanda
Annesi
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