UNA
VITA CONTROVENTO - 2
Una
mattina mia cugina decise di portarmi dal medico e lì scoprii
che ero in attesa, all’ottava settimana di gravidanza.
Mi
si gelò il sangue, il mio pensiero andò subito a mia
madre, alla delusione che le avrei provocato. Mia cugina ovviamente
la informò immediatamente e lei, dopo aver subito un malore
per l’inaspettata notizia, ritornò lucida organizzando
il mio rientro al più presto per poter interrompere la
gravidanza velocemente, dal momento che i tempi previsti dalla legge
stavano per finire. Una volta rientrata, sia mia madre che le mie
sorelle mostrarono il loro disappunto, mio fratello, invece, si
chiuse nel silenzio. Evitandomi.
Mi
sentivo umiliata, sporca per quello che era successo; ero incosciente
e inconsapevole di cosa, il mio sadico “ex”, avesse
tramato, ma non appena realizzai la trappola in cui ero caduta,
provai un grande odio. Arrivò il giorno in cui era programmato
l’intervento di interruzione di gravidanza ma non mi volli però
alzare dal letto: ero come pietrificata, il mio pensiero andava ad un
paio di giorni prima, quando mi ero sottoposta alla visita per
accertare la gravidanza.
Durante
quella ecografia sentii il cuoricino battere e li mi scattò
qualcosa dentro e non riuscii a pensare ad altro che a quel suono. La
reazione di mia mamma fu incontenibile: furiosa e amareggiata, mi
disse che se avessi tenuto il bambino per lei ero come morta, poi
cercò di prendermi con le buone dicendo che mi avrebbe mandato
in America dagli zii oppure in Spagna da amici di famiglia. Ma nulla
mi fece cambiare idea, rimasi irremovibile sulla mia decisione.
Con
il passare dei giorni in casa la situazione diventò
insostenibile, nessuno mi rivolgeva la parola, avevo tutti contro ad
eccezione della mia prima sorella Aurora che mi invitò ad
andare da lei per un periodo, fino a che non si sarebbero calmate le
acque.
Comunque,
dopo la rabbia iniziale sia mia madre che le altre sorelle mi
stettero vicino, si presero cura di me e della bimba che portavo in
grembo, comprando tutto il necessario per la sua nascita. Nel
frattempo lui, tornato in carcere per essere evaso dagli arresti
domiciliari e aver commesso altri reati, non tardò a scoprire
la mia gravidanza, dal momento che tra mia sorella Linda e suo
fratello Victor c’era un legame affettivo.
Sua
madre mi avvicinò con modi cortesi e disponibili e così
io, ancora una volta, mi lasciai plagiare e le rivelai che la bimba
che stavo aspettando era di suo figlio.
Lei
non rimase stupita, anzi!
Mi
disse che suo figlio sapeva già che aspettavo un bimbo. A quel
punto capii che era tutto premeditato e che era riuscito nel suo
intento. Per i primi tempi andai a fargli visita e, una volta nata la
bimba, gliela feci anche vedere per un paio di volte, ma poi istigata
da mia madre e spinta dai suoi atteggiamenti egoistici e dal fatto
che non si preoccupava minimamente di come io facessi a crescere e
mantenere nostra figlia, mi allontanai definitivamente da lui.
Tornando
al momento del parto, fu uno dei momenti più toccanti della
mia vita. Dopo ore di travaglio finalmente venne alla luce una
bellissima bimba dai grandi occhioni neri e tanti capelli anch’essi
neri e lucidi come la seta. La guardai e decisi che il suo nome
doveva essere “Kimberly”. Fu subito amore, capii che un
sentimento cosi forte non l’avevo mai provato, scordai subito i
forti dolori che avevano preceduto la sua nascita e prevalse la gioia
e l’emozione di tenerla tra le braccia. Decisi che avrei dovuto
proteggerla da tutto ciò che le avrebbe potuto provocare della
sofferenza, quindi anche da lui che stava trascorrendo la sua vita in
un carcere.
La
portai solo di tanto in tanto a visita dai nonni, ma la decisione più
saggia, consigliata da mia madre donna responsabile, fu darle il mio
cognome, ero così io l’unica tutrice legale e lui non
avrebbe potuto reclamare nessun diritto. Mia madre sin dall’inizio
è stata fondamentale per me, mi ha aiutata economicamente
provvedendo ad ogni esigenza di Kimberly, non facendole mai mancare
nulla. Per il primo anno e mezzo ho avuto occhi e braccia solo per la
mia bimba; sin da subito mi sono assunta le responsabilità di
madre ma nonostante ciò (condividendo la casa con le mie
sorelle, mio fratello e mia madre) mi presi cura anche di tutti
coloro che lavoravano, provvedendo a tutto il necessario.
Quando
Kimberly diventò un po’ più grande, cominciammo ad
uscire con una amica che, come me, era una ragazza madre. Facevamo
lunghe passeggiate e andavamo sempre in un piccolo minimarket dove
lavora un ragazzo di nome Francesco che attirò subito la mia
attenzione per i suoi modi gentili e per la sua allegria. Si fermava
sempre a giocare con i bambini e mostrava più interesse verso
di me che verso la mia amica.
Lo
capivo dagli sguardi e dal tempo che impiegava nel preparare la
colazione a mia figlia: era un modo per tenermi li, il più a
lungo possibile. Così, giorno dopo giorno, tra noi nacque
un’intesa e una complicità che non avevo mai avuto con
nessuno. Capii subito che era l’uomo giusto per me e mi lasciai
andare al suo corteggiamento, precisandogli però che non ero
una ragazza qualunque, avevo delle enormi responsabilità verso
mia figlia e non avrei potuto perdere tempo. Se lui mi avesse voluto
nella sua vita, doveva mettere in conto che non doveva volere bene
solo a me, ma anche e soprattutto a Kimberly. Non avrei potuto
inserire nella vita di lei questa figura maschile, a sostituire
quella del padre, per poi sparire, le avrei fatto troppo male. Lui mi
rassicurò dicendomi che si sarebbe preso cura di me e della
bimba. E cosi è stato.
Siamo
stati fidanzati per due anni, ma le esigenze di formare una famiglia
erano tante. Kimberly cominciò ad andare all’asilo
accorgendosi della differenza con gli altri bambini che vivevano
insieme ai genitori e non come lei a casa della nonna e con la sola
mamma. Francesco, la sera dopo il lavoro veniva a farci visita, ma
poi andava via.
Un
giorno la piccola mi chiese: “Mamma
perché io, tu e Francesco non viviamo insieme in una casa
tutta nostra?”
Rimasi
senza parole, non sapevo cosa risponderle, la guardai e la tenni
stretta a me promettendole che sarebbe accaduto presto. Ne parlai con
Francesco che si commosse e con voce tremante rispose: “Perché
non ci sposiamo e formiamo una vera famiglia?”
Mi
sentii impazzire dalla gioia e dissi subito si.
Non
sapevamo da dove iniziare, le possibilità economiche erano
pari a zero, ma questo non ci demoralizzò e cominciammo lo
stesso a fare i preparativi. La mia famiglia era felice per noi, nel
loro piccolo ci aiutarono nelle spese, soprattutto mia madre che si
fece carico di molte cose, dai mobili all’abito da sposa, al
corredo che serviva e tanto altro ancora.
Al
contrario, la sua famiglia non prese bene la notizia. Anzi!
Crearono
non pochi problemi, non gli andava giù che io avessi già
una figlia e mi giudicarono senza neanche conoscermi. Non ci
aiutarono in alcun modo: si limitarono a partecipare alle nozze. Non
nego che la cosa mi abbia ferito, ma non mi lasciai scoraggiare e
andai avanti per la mia strada.
Nell’attesa
della data del matrimonio, c’erano tante cose da sbrigare e
quando andammo in chiesa per preparare i documenti, portammo con noi
anche Kimberly e, parlando del più e del meno, venne fuori che
non l’avevamo battezzata. Quello che ci stupì fu che ci aiutò
a capire che la fede in Dio può aggiustare tante cose: al di
là di banchetti e festeggiamenti pagani.
Questo
modo di pensare ci colpì moltissimo e, grazie alla
disponibilità di mia sorella Viviana e di suo marito Fabio a
fare da madrina e padrino, ci trovammo di fronte al prete ad emendare
il nostro piccolo gioiello dal peccato originale.
Nel
frattempo si avvicinava il giorno del matrimonio...
CONTINUA...
Francesca
Posteraro
Adattamento
del testo: Fernanda Annesi,
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