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Il senso di inadeguatezza.
di LIa Rizzo  ( amyrizzo@libero.it )

26 aprile 2013


La visione del Counseling...


Counseling, per una vita migliore

Affrontare la dimensione del senso di inadeguatezza è spesso scomodo, spinoso.

Mette a soqquadro, costringe alla continua rimessa in discussione e irriducibile ricerca di se stessi.

Nel corso dell’esistenza, ci si accorge che nessuno è esente da questo passaggio: un dazio da corrispondere, per cominciare a ri-trovarsi.

Si riflette sui termini più vicini a questa problematica:

Adattamento (riuscire a regolare continuamente e nel modo più appropriato il proprio stile di vita, creare, pertanto, un mondo migliore dentro di sé che consenta di rispondere in maniera funzionale alle istanze esterne);

Adeguamento (saldare i conti con la vita, tener testa ai mutamenti che, inevitabilmente, la realtà esterna reclama, costi quel che costi, a volte anche accettando di subire e sviluppando in tal modo sofferenze).

Non sono termini sovrapponibili, quanto invece aspetti diversi di un’unica dimensione.

Pertanto, il termine adeguarsi rimanda alla condizione - auspicabile - di riuscire a porre in essere un processo costante di adattamento, sottraendosi alla limitazione di dover subire passivamente gli eventi.

Si tratta di un cammino impegnativo, la cui riuscita dipende dal livello di consapevolezza di emozioni e stati d’animo, dalla capacità di ricorrere in maniera distaccata al pensiero logico e razionale, dal grado di disponibilità al cambiamento in termini di rimessa in discussione dei modelli di comportamento acquisiti, laddove questi risultino inadeguati, non più adattivi e dunque portatori di disagio.

La sensazione di essere "fuori posto" nella vita è frutto di convincimenti errati e messaggi scorretti sedimentati nel tempo, di distorsioni della percezione del nostro essere nel mondo e in relazione all’altro da noi, che facilmente conducono ad una riduzione di interessi, alla mancanza di motivazione nell’impegnarsi in attività costruttive in quanto ci si percepisce "incapaci", alla resistenza al cambiamento per paura dell’ignoto: il tutto traducibile in scarsa autostima.

Naturalmente, si tratta di meccanismi negativi e conflittuali quasi mai consapevoli, che necessitano, per essere superati, di una presa di coscienza, di essere mentalizzati. Questo avviene nel momento in cui le sofferenze prodotte dagli errati schemi mentali, non sono più contenibili nel sistema di equilibri, seppur precario, adottato in precedenza, quando cioè, le continue e nuove istanze esterne esigono mutamenti interiori non procrastinabili.

A questo punto, sarebbe conveniente accogliere il disagio derivato dalla presa di coscienza, non come una ulteriore frustrazione, ma come un’opportunità al cambiamento, in termini di evoluzione e non più di involuzione. Inoltre, è fondamentale riconoscere la propria fallibilità senza per questo produrre sensi di colpa e comportamenti vittimistici o aggressivi, ma adoperarsi per migliorare la capacità di percepirsi come esseri perfettibili. Riconoscere, altresì, di aver bisogno di aiuto e imparare a manifestare tale esigenza segna un altro passo cruciale: il processo di cambiamento non è mai un sentiero solitario. Evitare il mantenimento di una mente cristallizzata e assumere una posizione conciliativa verso se stessi e gli altri, sono atteggiamenti che conducono ad una maggiore apertura al mondo e ad azioni partecipate e condivise, segni di un sano adeguamento.

Dott.ssa Lia Rizzo - Pedagogista, Counselor in formazione c/o Neverland Scarl

 

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