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Tutto su mio padre.
di Fabrizio Poggi Longostrevi  ( info@lastradaweb.it )

28 novembre 2012






Un mondo di contraddizioni!


Una vita "al buio" - 3° Puntata

 

A volte, uno sguardo, un sorriso, una sola parola... può cambiare una vita. Come a volte, anche un solo gesto, un solo cenno di una persona, ti può ripagare di una vita intera. Fabrizio Poggi Longostrevi, figlio di un magnate della Sanità di una "Milano da bere", ha pagato l’incolpevole appartenenza ad un sistema, che ha finito col distruggere anche se stesso. Faticosamente, ne è venuto fuori. Anche se porta cicatrici indelebili. Questa è la sua storia che riportiamo, come da sua esplicita richiesta, per far capire che, spesso, sotto i lustrini, c’è tanto (e troppo) buio.

 

Mio padre amava molto i libri storici che divorava con una voracità impressionante, andavo pazzo per la Storia d’Italia scritta da Indro Montanelli insieme con Roberto Gervaso e Mario Cervi e per le biografie di personaggi storici, o del mondo della scienza, della politica, degli affari, della finanza. Lo colpivano soprattutto le figure di uomini che erano stati in vita incompresi, osteggiati ed esecrati per poi magari essere rivalutati dopo la morte. Aveva anche in animo di scrivere un libro che raccontasse le difficoltà e i patimenti che avevano dovuto sopportare molti grandi della Storia per potersi affermare con le loro idee innovative e rivoluzionarie; si voleva occupare per esempio della storia di grandi uomini come Cristoforo Colombo, Galileo, Paracelso ed Enrico Fermi. Quando partivamo per qualche viaggio (facevamo in media 3-4 viaggi intercontinentali all’anno) si portava sempre dietro una vagonata di libri che faticava sempre di brutto per riuscire a stipare nelle varie valigie che finivano regolarmente per eccedere i limiti di peso massimo consentito dalle compagnie aeree e per le quali doveva sempre pagare, al momento del Check In, onerosissimi sovrapprezzi.

Non giudicava la qualità di una vacanza in base alla bellezza dei luoghi che visitava o alle persone che incontrava ma in base al piacere che aveva tratto dalla lettura dei libri che si era portato dietro: la fantastica isola di St. Barth nelle piccole Antille per esempio, nella sua memoria era rimasta non tanto per la sconvolgente e incontaminata natura e per i paesaggi che definire suggestivi è assai riduttivo, quanto per la monografia su Rommel, la volpe del deserto scritta, mi pare, da Antonio Spinosa.

Mio padre amava le sensazioni forti, gli eccessi, ed era convinto che l’importante è esagerare sia nel bene che nel male. Forse per questo era così attratto da quel periodo storico. Una volta mi disse: se fossi nato 10 o 20 anni prima anch’io sarei certamente diventato fascista. Riconosceva a Mussolini e Hitler (purtroppo non solo lui...) un potere persuasivo e detonante sconvolgente, una carica ipnotica, un carisma contagioso. Un bel libro gli dava assai più gusto e piacere del cibo, del sesso e di qualsiasi altra cosa sulla terra.

 

Si laureò a 24 anni in medicina e chirurgia con 110 e lode discutendo una tesi frutto di un periodo di permanenza a Parigi nei pressi di Montparnasse basata sugli esperimenti compiuti in laboratorio su cavie con l’ausilio di microscopi elettronici al altissima precisione: insomma una roba da vero studioso, innamorato della sua materia.

Se mio padre avesse potuto evitare di porsi qualsiasi preoccupazione di ordine economico e passare le sue giornate ritirato in un eremo a studiare dalla mattina alla sera, sarebbe stato l’uomo più felice del mondo.

 

Avrebbe potuto scegliere la vita religiosa ma non è mai riuscito a ricondurre le sue convinzioni sul trascendente all’interno di alcuna confessione, diciamo che si riconosceva di più nelle religioni immanentistiche (Buddismo, Induismo ecc.) che in quelle trascendenti (Cristianesimo, Islam ecc.); recitava magari nel silenzio dei suoi pensieri prima di addormentarsi le preghiere Cristiane non tanto perché ci credesse ma solo perché così gli ero stato insegnato da bambino.

Gesù Cristo era per lui nulla più che un grande personaggio storico e la Chiesa Cattolica la più grande organizzazione criminale esistente sul pianeta: l’inquisizione, La simonia, Il concubinato, il nepotismo, la vendita delle indulgenza, fino ad arrivare allo IOR, ai Marcinkus e ai Don Verzè...

Era insomma kantianamente consapevole che la legge morale risiede in noi.

Il suo problema più grosso erano le relazioni interpersonali: amava l’umanità, le persone le valutava sempre e solo come esseri umani, per quello che erano e mai per ciò che possedevano o avevano fatto: era perfettamente consapevole che ogni uomo ha una sua forma data dalle sue azioni e una sua sostanza data dalla sua ricchezza e civiltà interiore.

Amava ripetere che ognuno di noi ha qualcosa da insegnare, e sceglieva sempre gli amici in base al loro potenziale umano: se una persona gli andava a genio se ne fischiava altamente di quello che poteva aver fatto in passato e di quello che se ne diceva. Poteva indifferente accompagnarsi a un santo come ad un capomafia che per lui non faceva alcuna differenza: per lui contava solo l’empatia che riusciva a stabilirsi.

Amava anche moltissimo (forse, anzi certamente troppo) ridere, se trovava qualcuno che lo faceva ridere perdeva quasi totalmente la ragione. Amava la compagnia e la risata grassa, fragorosa, smodata, oltraggiosa, a volta quasi insultante per la persona stessa che l’aveva provocata, ed è per questo che malgrado non fosse affatto uno sprovveduto cadeva facilmente vittima e preda di una quantità pazzesca di falsi amici, truffatori, e "zanza" di ogni genere e sorta.

Poi quando ripensava, col senno di poi, al denaro che si era fatto fregare da qualche personaggio di questi era capace di commentare il tutto con frasi del tipo: i soldi che mi ha truffato valgono molto meno delle risate che mi ha fatto fare.

In questo era veramente un grande.

Per questo motivo amava molto il meridione (Napoli e la Sicilia in particolare) e i meridionali molto più aperti, umani, vivi e calorosi dei settentrionali.

Mio padre era consapevole di essere cittadino di un paese dove la democrazia e la legalità non esistono se non come fantasmi invocati ad arte quando fa comodo, il paese di Ustica, delle massonerie, dei servizi segreti, delle mafie e delle stragi: altro che Stato di Diritto...

Mio padre aveva (così come me) un’ammirazione sconfinata verso Marco Pannella. Una sua frase, fra le tantissime pronunciate, gli restò particolarmente impressa: "Spartire insieme il pane della conoscenza e insieme vivere la verità vitale del dialogo, del dramma - personale e civile- della legge, della libertà, della tolleranza, dell’amore".

Quei mesi passati a brancolare nel buio della "prigionia", come un fantasma, di un fantasma avevano tuttavia lasciato in lui un segno profondissimo, indelebile destinato a produrre nella sua vita un sconvolgimento profondissimo e irreversibile che avrebbe, purtroppo drammaticamente influenzato tutte le sue scelte successive, per tutto il resto dei suoi giorni.

Una volta mi disse: "l’inferno non esiste perché se esiste l’ho già provato in questa vita".

Quando alle prime luci del mattino apriva gli occhi per lui calava la notte più nera: la vita era per lui sopportabile solo quando dormiva perché appena riprendeva coscienza iniziava a soffrire come un cane e ad invocare la morte.

Non era una condizione che può essere descritta dalla parola "depressione", era molto di più e di peggio. Solo chi l’ha provata può capire davvero cosa intendo.

Quando la malattia ti aggredisce e avviluppa per davvero te ne accorgi immediatamente di essere fatto: è come se di colpo si spegnesse la luce, è come se fosse finita la benzina, sai bene che dentro la tua testa si è rotto un meccanismo vitale, un ingranaggio che tu non hai i mezzi e la facoltà per riparare, avverti un male assoluto, invincibile di fronte al quale sai di non potere davvero nulla e ti senti spacciato, perso, annullato, finito, vinto per sempre.

L’affetto e la compagnia dei parenti più stretti o degli amici, le sedute psicoanalitiche o psicoterapiche, un bel viaggio, la stessa religione sono tutte cose che vanno bene, forse, per le persone sane: a chi sta male davvero sono tutte cose che, nel migliore dei casi, non fanno né caldo né freddo mentre spesso sono persino un detonatore di sensazioni di disagio e dolore che acuisce incredibilmente la sofferenza, il travaglio e la pena del malato.

Quando poi si hanno intorno persone che ti dicono "scuotiti", "tirati su" "devi tirar fuori le palle", "devi trovare la forza dentro di te" è davvero la fine...

E’ come chiedere ad uno sulla sedie a rotelle di partecipare a una gara di salto con l’asta.

Quando il male ti colpisce, oltretutto non puoi impedirti di percepire come un coltello che si rigira furiosamente nella piaga, il tuo deficit, il mostruoso gap che separa te dalle persone che ti circondano, le persone cosiddette "sane" o "normali" e aggiungere, quindi, sofferenza alla sofferenza, dolore al dolore, pena alla pena, morte alla morte.

Non ci sono parole per descrivere quello che si prova in quei momenti.

Mio padre rimase talmente ustionato da quel viaggio all’inferno, che il solo ricordo di quei giorni gli provocava una paura che presto divenne vera e propria fobia e un ansia lacerante: è come se avesse visto il diavolo e la cosa gli avesse provocato un panico allucinante, un terrore tale, che per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto (nemmeno per tutto l’oro del mondo) rischiare (nemmeno lontanamente) di ripiombare in uno stato simile.

Questo spiega tutta la sua vita successiva.

Come ho detto, rivide per la prima volta la luce, essendo state tentate (senza successo) tutte le terapia farmacologiche possibili, dai vari specialisti ai quali si era rivolto, solo grazie alla terapia elettroconvulsivante (elettroshock).

Il problema è un altro: grazie a quella serie di scariche di corrente che gli attraversarono la mente mio padre non solo ritrovò il benessere ma ne ritrovò talmente tanto, almeno nella fase immediatamente successiva, che finì con il convincersi che quell’euforia strepitosa e quell’incredibile vigore dovevano essere la norma e non l’eccezione.

Mi spiego meglio.

La paura del baratro "che nel pensier rinnova la paura" e il desiderio di potersi per sempre sentire come si sentì appena uscito dalla "stanza dei miracoli", lo indussero a perdere completamente di vista la differenza tra ciò che è fisiologico e ciò che è patologico (per esempio, l’essere troppo "UP") nel senso che voleva sempre stare al massimo.

Pretendeva che la sua mente dovesse funzionare sempre a 9000 giri al minuto e quando girava a 8500 già iniziava a preoccuparsi.

Quando fu dimesso dalla clinica veronese era un fulmine di guerra, un gallo da combattimento: la sua mente viaggiava a velocità doppia o tripla rispetto agli altri e denotava un livello di rendimento ed efficienza che gli consentiva di fare, strafare in un minuto quello che qualsiasi altra persona avrebbe fatto in un’ora.

Riusciva, tanto per fare un esempio a leggere con attenzione letteratura scientifica, dettare una lettera importante alla segretaria e parlare al telefono con chicchessia.

Si rendeva conto della sua schiacciante superiorità intellettiva e intellettuale nei confronti delle persone con le quali si relazionava e confrontava. In poche parole riteneva fisiologico e normale ciò che in realtà era patologico, deviante e forse anche un po’ mostruoso anche se lui in questa mostruosità ci stava come un Dio e non aveva alcuna intenzione di porsi il minimo problema e di sviluppare un minimo di senso critico e di oggettività.

Assumeva psicofarmaci, sui quali si era documentato personalmente studiando a fondo tutta la letteratura esistente. Li aveva imparati a conoscere ad uno ad uno e non vedeva più alcuna ragione di sottoporsi alle prescrizioni degli psichiatri. Era medico e poteva procurarsi da solo, esibendo in farmacia la tesserina dell’Ordine, tutto ciò che voleva.

Voleva rendere al massimo ed essere sempre con la mente tesa come una corda di violino: beveva dieci caffè al giorno e quando gli sembrava (del tutto soggettivamente) di perdere qualche colpo (in realtà era ancora tre spanne al di sopra della media e della norma), ingoiava psicostimolanti, anche anfetaminici ritrovati oggi banditi ma che, all’epoca, erano in tutte le farmacie.

Per un uomo in siffatte condizioni, è normale ritenere che non esistano più limiti, barriere, convenzioni e anche leggi...

 

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