Conoscete
quella frivola storiella di
un
certo asino di cui si discute a scuola? Nella stalla gli vennero
portate per il
suo
pasto due quantità di fieno uguali, della stessa qualità,
per molte volte; dai due mucchi l’asino si vide
tentato ugualmente, e, drizzando le orecchie, proprio in mezzo
ai due mucchi uguali, concretizzando le leggi
dell’equilibrio, morì di fame, per timore di fare una
scelta.
Paul
Voltaire
Ecco,
sto per volare. La mia anima sta finalmente per spiccare il volo. Il
gran salto. Sono arrivato correndo sull’orlo di questo
precipizio. Il ritmo del mio respiro accompagna il battito del mio
cuore pronto a saltare. Guardo il cielo con un sorriso che il mio
volto non ha mai visto. Chiudo gli occhi e sono certo che questa
volta non cadrò. Sono certo che questa volta mi librerò
leggero nell’aria. E nuoterò libero verso lo spazio
infinito, lontano, e niente e nessuno si ricorderà della mia
esistenza. Ho fatto in modo che non restasse neanche una traccia del
mio passaggio. L’immaginazione è una fotografia che solo
tu puoi fermarti a guardare e riguardare ed è ciò che
tu vuoi e non vuoi. Il mio primo censore sono stato io e mai mi sono
concesso di ridipingere ciò che la vita mi ha inferto.
Ricordi. Ricordi che ti fanno sentire tutto il peso, un macigno che
ti costringe ancorato a un tutto che tradisce i tuoi sogni, i tuoi
desideri, le tue aspettative. Non mi preoccupo del mondo. Rimarrà
invariato così come l’ho trovato. Quando sono nato ho
visto dall’alto il mio viso che già si lagnava. Ricordo
bene di aver chiesto a mia madre “Perché?!” Mi
hai voluto, desiderato così tanto senza pensare alla condanna
che mi stavi infliggendo! La maternità è un atto
egoistico. Abbiamo ucciso il mondo nel momento in cui ci abbiamo
messo piede.
Devo
saltare. Senza esitazione. Felice.
Salto
con tutte le mie forze e m’innalzo.
I
muscoli leggeri. La gravità non esiste. È solo
un’invenzione per tenerti ancorato a terra.
Posso
volare.
Non
troppo in alto.
Non
ancora.
Un
ultimo sguardo fugace.
Case,
strade, ponti e ancora case e grandi palazzi.
Non
c’è nulla da vedere... La natura non è che una
contorno sfocato a questo orribile quadro.
Ma
ecco che vedo una piccola casa di legno vicino ad un fiume prima di
giungere alle montagne.
M’incuriosisce
la sua solitudine.
I
piedi si posano leggeri, prima uno, poi l’altro.
Mi
avvicino senza timori alla veranda. È una semplice casetta e
fuori c’è un pozzo con un catino d’acqua che
sembra dimenticato. Tutt’intorno il verde accecante della
natura e il rumore di un fiumiciattolo che scorre pacato e
indisturbato.
Guardo
attraverso la finestra per scorgere qualcuno all’interno di
questo piccolo rifugio sperduto. Sarà sperduto anche chi ci
vivrà.
Nessuno.
Ma all’interno vedo pile di libri e quadri ai muri o in attesa
di essere terminati.
Non
riesco ad aprire la porta. – “C’è
qualcuno?” -
Nessuna
risposta.
Sicuramente
questo luogo è disabitato chissà da quanto tempo.
Sto
per andare via quando mi soffermo a contemplare la pace che mi
circonda e penso che, forse, forse qui potrei continuare, decidere di
non volare via. Ma la mia scelta è compiuta e ora non mi resta
che tornare lassù alla ricerca di una nuova pace, di una nuova
forma di vita.
-
Va già via?
I
miei arti s’irrigidiscono e le mie gambe si bloccano. Cerco di
capire se ho davvero sentito questo voce calda e profonda che ha
rotto il silenzio.
Davanti
a me, poco lontano, vedo un uomo intento a riporre la legna ai piedi
di un albero.
-
“Mi scusi non volevo violare la sua proprietà, stavo
giusto per andare via”.
-
“Non si preoccupi. Niente scuse. Non ha violato proprio niente
e nessuno. Dicevo, va già via?”
-“
Beh sì… Dovrei proprio”.
-
“Ma no. Si fermi un momento. Sono sempre solo e mi fa piacere
un po’ di compagnia. Certo, se deve proprio andare, non la
trattengo”.
-
“No… Penso che potrei rimandare di qualche minuto”.
-“
Bene. Allora venga. Non abbia timore. Entri pure in casa. Metto a
fare un po’ di thè. A quest’ora prendo sempre una
buona tazza di thè”.
-
“Grazie. Volentieri”.
Stupito
mi scopro a seguire questo signore sconosciuto nella sua casupola. È
vestito in modo strano. Indossa una casacca più larga di due
misure e un pantalone sgualcito, un gilet di lana tutto sfilacciato.
I capelli bianchi, senza nessuna forma logica apparente e la barba
incolta. Prende un po’ di legna e mi fa un cenno accompagnato
da un sorriso benevolo che m’invita ad entrare in casa.
-
Permesso, - dico quasi sussurrando.
-
Venga, venga. Qui non si chiede il permesso a nessuno. Si sieda pure
dove trova posto. Mi scusi, ma come vede, sono un po’
disordinato.
Appoggia
la legna vicino al camino e si appresta ad accendere il fuoco.
-
Che bei quadri.
-
Le piacciono? Quale la colpisce di più?
-
Beh ora su due piedi…
-
Allora non decida su due piedi. Scelga con calma. Spicchi il volo
e ci entri dentro -. Disse sorridendo, mentre con un soffio
rinvigoriva una piccola fiammella. A quelle parole “spicchi il
volo” lo guardai cambiando espressione. Se ne accorse subito.
C’erano
molti quadri. Tele accatastate una sull’altra e su tutte le
pareti. Ce n’erano di tutti i tipi, di diversi stili. Alcuni
riproducevano volti forse mai esistiti, altri paesaggi mai visti.
Altri ancora erano fatti di linee, curve e forme che creavano
immagini incomprensibili. Finalmente uno catturò la mia
attenzione. Una donna coperta soltanto da un velo, con lunghi capelli
neri mossi dal vento. Di spalle sull’orlo di un precipizio se
ne stava in bilico con un piede poggiato sulla terra e l’altro
sospeso in aria. Le braccia e il volto abbandonati, pronti alla
caduta. La sua figura si stagliava su un cielo azzurro macchiato da
qualche nuvola in lontananza. Un cielo profondo che sembrava arrivare
chissà dove.
-
Le piace quello?
La
sua voce mi ridestò. Ero completamente concentrato su quel
quadro appeso, per mancanza di spazio, proprio su una finestra. La
luce, infatti, entrava a stento e fasci biancastri ne disperdevano i
contorni.
-
Sì… Mi piace molto questo qui.
-
Secondo lei che fa? Si butta oppure no? E poi, sta per andare su o
giù?
Mi
voltai di scatto fissandolo con un espressione enigmatica. Lui
continuava a sorridere mentre riponeva una vecchia teiera su una
griglia riposta nel camino. Lo fissai nei suoi movimenti lenti e mi
domandavo chi fosse mai quest’uomo così strano…
-
Beh… Presumo che stia per buttarsi giù… Vede
com’è abbandonata. Com’è felice e serena la
sua espressione? Sembra che non lasci niente, che non abbia nulla in
sospeso. Il suo corpo già non c’è più. La
sua mente è già altrove.
-
Lei dice? A me sa non sembra proprio. Questo è ciò che
vede lei. O le pare del tutto logica la sua interpretazione?
Inoppugnabile?
-
A me sembra proprio che sia così. Poi, certo, il quadro l’ha
dipinto lei. Ne saprà sicuramente più di me Detto
questo mi siedo su una sedia posta proprio di fronte alla finestra.
-
No, per carità. Il fatto che l’abbia dipinto io non
significa che io ne brandisca il significato assoluto. Vede, io ho
dipinto quella bella donna con i capelli neri. Poi ha deciso lei, di
sua spontanea volontà, di scegliere quella posizione. Sono
mesi che se ne sta lì senza decidere cosa fare.
Scoppiai
in una risata. – Ma cosa dice? Non scherzi! Lei davvero
vuole farmi credere che quelle linee ad un certo punto si sono
animate all’interno del quadro e hanno cambiato posizione?
-
Certo. Perché non mi crede? Non stavo assolutamente
scherzando. Mi dispiace che questo la faccia sorridere -. Mi
parlò con un espressione triste che mi tolse subito la voglia
di ridere.
-
Mi scusi, non volevo offenderla… È solo che è un
po’ difficile da credere...
-
Difficile?
-
Sì, difficile.
-
Oh… Ad ogni modo, se vuol sapere come la vedo io, credo che la
donna del quadro sia comunque molto indecisa sul da farsi. Quel piede
ancora a terra non comunica di certo una scelta precisa.
-
Ma tutto il resto del corpo, invece, suggerisce che una decisione,
invece, l’ha presa. Vedremo -. Detto questo versò
l’acqua fumante in due tazze e me ne porse una.
Dopo
un breve silenzio che facevo fatica a sostenere bevvi in fretta il
mio thè e gli dissi che dovevo proprio andar via.
-
Come mai ha così fretta?
-
Perché, a differenza della donna del quadro, io finalmente
avevo scelto la mia direzione…
-
Dove va? Su o giù?
-
Su…
Sorrise.
Posò la tazza sul tavolino e si diresse verso le tele
accatastate in un angolo della stanza.
Trovò
subito quello che stava cercando.
-
Penso che ora cambierà idea…
Detto
questo svelò ai miei occhi il contenuto del quadro e, con mio
grande stupore, vidi la mia immagine! Me e quest’uomo che avevo
davanti agli occhi essere ritratti nel medesimo istante appena
trascorso!
Mi
alzai di scatto facendo cadere la sedia a terra, come fosse una
proiezione dei miei nervi.
-
Questo non è possibile! - urlai. – Che
diavoleria è questa!?
-
Non aver paura, calmati. Non indietreggiare… Permettimi di
spiegarti. Io non sono né uno stregone, né un pazzo…
Sono solo un uomo che è precipitato volando.
Posò
la tela e con un gesto premuroso mi fece cenno di sedermi.
Frastornato mi abbandonai sulla sedia che aveva alzato da terra.
-
Voglio solo darti un consiglio. Torna da dove sei venuto. Non
riprendere quel volo che ti è sembrato tanto leggiadro. E poi,
sono certo che non eri così sicuro della scelta che avevi
preso, altrimenti non avresti deciso di scendere e di fermarti qui.
Io sono condannato a vivere in questo limbo. Condannato dalla mia
inettitudine alla vita decisi di spiccare il volo. Ma dopo anni
trascorsi a volteggiare, la forza di gravità creata dal peso
della solitudine mi ha spinto a scendere di nuovo a terra. Da allora
osservo il tempo passare e dipingo l’indecisione di vivere di
tutte le persone che, come me, in fondo, non sanno se andare su o
giù. Non saprei dirti come e perché riesco a vedere
tutto questo. Negli anni mi sono fatto un’opinione e credo che,
forse, esista una linea sottile che connette le persone come te e me.
Un’entità, un Dio, o forse, un demone, mi ha affidato
l’arduo compito di avvertire coloro che, ancora intimoriti
dallo spettro della solitudine, si fermano indecisi.
Ricordi
la donna del quadro? Anche lei molto presto spiccherà il suo
volo e deciderà se scendere, “solo un’ultima
volta”, si dirà. Come quella donna ho visto anche te
giungere affannato sul bordo di quel precipizio che, se ricordi bene,
ti è apparso dal nulla.
Lo
guardavo stralunato, tremante e, in effetti, a quelle sue parole
cercai di ricordare. Era vero! Un attimo prima ero steso sul mio
letto e, un attimo dopo, ero lì pronto a spiccare il volo.
Cominciai a piangere senza distogliere lo sguardo dal viso di
quell’uomo.
-
La possibilità di scelta non è un caso fortuito, ma una
condizione che noi stessi creiamo. Altrettanto possiamo decidere di
non farlo.
Mi
sorrise e si alzò barcollando. – Puoi riposare se
vuoi.
Decisi
di andare via, tornare indietro, anche se non sapevo assolutamente
come. Guardai attentamente il viso della donna per cogliere la sua
espressione. Capire cosa avrebbe deciso. Improvvisamente si mosse e
di scatto feci un passo indietro. Il braccio egregiamente dipinto si
sollevò da che era abbandonato. E così rimase.
Mi
addormentai senza neanche accorgermene. Rimasi a lungo immerso in un
dormiveglia confuso. Abbandonato sulla sedia percepivo, senza poter
interagire, che tutto intorno a me mutava di forma.
La
sveglia del mattino mi colse di sorpresa. Mi alzai intorpidito,
sentivo un formicolio lungo il braccio su cui avevo appoggiato
pesantemente il corpo. Ero nel mio appartamento. Sorrisi di me e
degli strambi intrecci che era capace di creare il mio inconscio. Se
di giorno ero passivo nei pensieri, di notte ero capace di dar vita a
storie fantastiche in cui, però, apparivo comunque
inconcludente.
Al
posto della colazione fumai una sigaretta. Feci una doccia per
aiutare il mio risveglio. Pronto per il giorno, decisi di andare a
passeggiare. I rumori della città mi stordivano, la luce del
sole infastidiva i miei occhi che di certo non avevano riposato per
niente la notte prima.
Pensavo
al volto della ragazza che mi aveva catturato in sogno con i suoi
lunghi capelli neri. Non riuscivo a scacciare la sua immagine. Mi
domandavo se fosse reale. Se ci fosse davvero da qualche parte nel
mondo una donna pronta ad andare chissà dove o, forse, alla
ricerca di un compagno di viaggio per restare ancora qui.
Entrai
in un negozio d’antiquariato. L’inganno della notte mi
aveva fatto balenare in testa la stupida idea che forse potevo
trovare un quadro che ricordasse il mio strano sogno. Una traccia
rimasta sulla soglia. Mentre mi aggiravo per il negozio pieno di
oggetti che occupavano ogni spazio possibile mi rendevo conto a quale
follia stavo dando credito. Nulla lì dentro destava la mia
curiosità. “Meglio mettere qualcosa nello stomaco e
non dar più retta a queste sciocchezze”. pensai.
Uscii
dal negozio ringraziando il commesso, avvezzo ormai a rispondere
senza neanche alzare lo sguardo. Non interessano più a nessuno
i vecchi oggetti, a meno che alla parola “vecchio” non si
sostituisca “vintage”.
Seduto
a un bar presi cappuccino e cornetto e, intanto, raccontavo alla mia
mente le solite bugie. Oggi, certamente, sarebbe stato il giorno in
cui avrei dato una svolta alla mia vita. Sul mio taccuino segnavo per
punti il da farsi:
-
Trovare un buon lavoro.
Erano
i soldi, che mi servivano, non i sogni riposti in un cassetto che
stava per esplodere.
-
Essere più gentile con gli altri e, quindi, maggiormente
predisposto alle convenzioni sociali.
Maledizione,
chi mi credevo di essere? Pensandoci bene, forse, nessuno. Questo era
il problema.
Terzo
punto: - Agire.
Il
cameriere, intanto, aveva riposto tutto sul tavolino. Mangiai
voracemente pronto ad iniziare bene la giornata.
Ecco.
Ero per strada insieme a tutti gli altri! Camminavo velocemente per
far credere che avevo tanto da fare, tanto per confondermi con loro.
Per sentirmi più simile a loro. Ad ogni passo, come se avessi
imbracciato uno scudo, scansavo le mie paure e procedevo dritto con
passo deciso!
In
realtà, anche se i passi erano più decisi, stavo
percorrendo il solito cammino verso il parco. Avevo nella giacca una
vecchia copia sgualcita del mio libro preferito. Decisi di andare a
rilassarmi un po’ prima di abbandonare tutte le mie frivolezze.
Era
una giornata abbastanza luminosa e il tepore della nuova stagione
permetteva di godere dei nuovi colori del parco. Mi sentivo al
sicuro, seduto sulla mia solita panchina a contemplare le vite degli
altri.
-
Cos’ha lì nella giacca? Un libro?
Pace
terminata.
-
Sì, un libro. Perché?
-
Sono un appassionato. M’interesso di tutti i libri.
-
Davvero? Beato lei che lo dice sorridendo.
-
Perché, scusi? Non potrei dirlo altrimenti.
-
È una storia lunga. Proprio oggi credo di aver capito non aver
mai colto bene il senso di ciò che leggevo.
-
Capita.
-
Lei dice?
-
Assolutamente! Capita e di frequente direi, un po’ a tutti. O,
almeno, a quelli che sono rimasti. Ad ogni modo c’è chi
li usa per imprigionarsi - e ne è consapevole, si badi bene -
e chi, invece, li utilizza per andare ancora più lontano. Poi
ci sono quelli che li usano per moda, o per dimenticarsi di ciò
che non si ricordano, ma questo è un altro discorso.
-
Beh, credo di appartenere al primo gruppo.
-
Io quelli come lei li chiamo gli “indecisi”.
-
Come li chiama? Scusi, può ripetere?
-
Gli indecisi. Conosce la storia dell’Asino di Buridano?
Feci
un cenno d’assenso col capo.
-
Ne ero certo. Lei è un ragazzo mezzo sveglio, si vede. Dunque.
Quando ero piccolo mio nonno mi fece imparare i versi di Voltaire che
parlavano – testuali parole- della “frivola storiella”
dell’asino che s’insegna a scuola. Purtroppo credo che
non si faccia più e, questo, al povero Voltaire meglio che
nessuno glielo dica. Mi dia il libro che porta con sé.
L’asino
ero io…
-
Uh… Avere o Essere. Fantastico. Ottimo. Guardi fa proprio al
caso nostro.
Lo
guardavo e, intanto, avevo l’immagine di me nella mia vecchia
aula di scuola elementare in un angolo col capello di carta tutto
mortificato. La maestra che continuava a spiegare la lezione e io,
adulto fatto, imbronciato ad aspettare la campanella.
-
Ecco qui. Le ho scritto la poesia. La impari anche lei a memoria, mi
raccomando.
-
Grazie. Credo proprio che lo farò. Suo nonno era un uomo
saggio. Doveva esserle molto affezionato.
-Sì.
Moltissimo. Un uomo di mondo davvero. Andò via, però,
poco dopo avermi insegnato questa storiella. Io ero ancora un
bambino.
-
Davvero? Mi dispiace. Una grave perdita.
-
No, no. Non morì. Andò via un giorno e non se ne seppe
più nulla. I suoi quadri e questa storiella sono tutto ciò
che mi rimane.
-
I suoi quadri… - balbettai.
-
Sì. Ah è vero non gliel’ho detto. Mio nonno era
un pittore e anche molto bravo direi. Ora devo salutarla. Mi
raccomando non si lasci morire di fame. Nel dubbio, tenti.
Mi
diede una pacca sulla spalla e andò via.
Sabrina
Granese
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