Riflessioni
Tutti
gli esseri umani vogliono essere felici; peraltro, per poter
raggiungere una tale condizione, bisogna cominciare col capire che
cosa si intende per felicità. (Jean-Jacques
Rousseau).
Non
è, per me, affatto difficile, trovarmi a mio agio nel
rispondere ai quesiti che, quotidianamente, la gente mi pone. Questo,
per una sorta di presunzione che mi porta a divertirmi nel “mettere
alla frusta” la mia mente (e il mio cervello). Sempre più
spesso, però, mi fermo a ricordare il mio sorriso interiore,
identificandolo come un valore aggiunto capace di
contraddistinguermi, a bordo di quella vetturetta (una “Fiat
UNO SMART”) con cui, in 9 anni, ho macinato oltre 450.000 Km
(creando una linea autostradale senza soluzione di continuità,
fra la mia città natale e la Capitale, per gettare le basi di
un mio radicamento capitolino), sottoposto a forti vicissitudini al
volante della mia amatissima Alfa Romeo e molto più
difficilmente riscontrabile, quando mi guardo nello specchio
retrovisore della mia attuale ammiraglia di quasi 5 metri
lunghezza...
Sofferenza
ondivaga, forse?
Mi
domando, a questo punto, che senso abbia avuto impegnarmi, per anni,
nello studio della mente umana, con l’obiettivo di capire e
comprendere, per vivere meglio! MI raccontava un amico che, il famoso
Cesare Musatti, fondatore della Società
Italiana di Psicoanalisi,
alla domanda: “Qual
è il suo stato d’animo, guardando il Mondo?” pare
che, così, abbia risposto: “Mi
sento come una grande Mamma un po’ angosciata, all’idea
dei suoi figli sparsi in un ambiente così ostile!” .
Eppure,
tutto sommato, ho amato abbastanza della mia esistenza. Compreso i
(non pochi) momenti di dolore con le relative cadute e le conseguenti
risalite. Così come, anche, le passioni e le delusioni.
Contrariamente a quello che ho pensato per anni, non so più se
essere “riconoscente” al tempo che ho attraversato. Anche
se mi capita, non di rado, di averne nostalgia pur sviluppandosi, in
me, la curiosità di come andrà a finire.
“Solo,
vorrei ritrovare ad una ad una le persone che ho incontrato e amato,
per dirci le cose che non abbiamo fatto in tempo a raccontarci o che
non abbiamo avuto il coraggio di confessarci.” ("Ciao" -Walter Veltroni, Rizzoli Ed. 2016)
Operando
un’analisi introspettiva, potrei dividere, sul piano
temperamentale (come specchio dell’Anima, ovviamente) la mia
vita (finora condotta) in quattro fasi importanti:
da
zero a dodici anni (connotata
dall’allegria tipica dell’età, simile, a volte a
quella descritta dal Leopardi quando parla di chi sorride fidente,
trovandosi sull’orlo di un precipizio);
da
tredici a venticinque anni (in
cui, lo stato d’animo prevalente, è stato caratterizzato
da una condizione di angosciato esistenzialismo per il sentirmi
troppo piccolo di fronte ad un Universo troppo grande...);
da
ventisei a quarant’anni (periodo
di rinascita interiore, frutto dell’analisi personale condotta
con il “Maestro” Giovanni Russo che mi ha consentito di
dare colore e respiro a tutto ciò che mi ha circondato, non
senza crisi di maturazione tanto dolorose quanto necessarie in grado
di spingermi a progettare e costruire anche “contro vento”
con obiettivi a lungo termine);
da
quarantuno anni ad oggi, che ne ho cinquantadue (pur
non potendomi considerare un vecchio, so che, il traguardo ideale, è
certamente più vicino della linea di partenza; sono, quindi,
alla ricerca di una buona strada per adattarmi, pur trovandomi in uno
spaccato esistenziale che non perdona più gli errori...)
Qualcuno
sostiene che, col progredire anagrafico si scopre che la felicità
non si raggiunge inseguendo gli obiettivi che ritenevi importanti:
non cerchi più di prevalere, come un gladiatore nell’Agone
del quotidiano; cominci a capire che l’Amore di (o verso )
qualcuno non è, di per sè, un valore assoluto; non
cerchi più le emozioni intense; non credi più
all’importanza della scalata nel sociale...
Una
sorta di pace interiore, insomma... ma
con un sottofondo di leggera inquietudine. Forse
perchè, come sosteneva Ferdinando Pessoa, noi
non
ci realizziamo mai perchè siamo
due abissi: un pozzo che fissa il cielo.
Ma,
allora, cosa ci vuole per essere felici?
Siccome
esistono termini che vengono considerati sinonimi, proviamo ad
intenderci sul loro reale significato. Solo allora, sapremo cosa
cercare per determinare in noi, la sensazione di piacere. Comunque lo
vogliamo chiamare.
Quand’è
che possiamo definirci contenti?
Ognuno
di noi crede di esserlo, quando è carico di gioia e sprizza
gaiezza. Ebbene, questo termine deriva dal Latino “contenere”:quindi,
il diritto di sentirci “contenti” ogni volta che avremo
l’animo appagato e lo dimostremo con dolce, calma e beata
tranquillità!
Allo
stesso modo, ci troveremo pervasi di Gioia (dal
Latino Iocum
iocare) ,
a condizione di avere uno stato d’animo particolarmente
positivo in consegunza di qualcosa che piace come un gioco. E (sempre
secondo la derivazione etimologica) se la gioia deriva da una
condizione amorosa (verso un partner, un elemento divino, etc.),
allora diventa “Gaudio”!
Quindi,
saremo Allegri (dal
Latino Alacer)
quando ci sentiremo motivati e disposti a darci da fare, per goderci
la vita.
E
felici?
Mia
madre, molti anni fa, mi ha spiegato che “Felicità”
è un termine di derivazione latina (Felicitas),
che si riporta al verbo greco Feo(PHYO)
con il
significato di produttore
di Fecondità: in
sostanza ricchezza
interiore.
Ne
ho tratto la conseguenza che si può definire la felicità
come quello stato d’animo di “pienezza” emotiva che
consegue al raggiungimento di un obiettivo importante, per il quale
ci si è impegnati a fondo; è tipico dell’essere
umano realista (che sa valutare correttamente il positivo ed il
negativo della vita sapendo apprezzare ciò che ha e quello che
può ottenere) il quale ha acquisito, mediante l’esperienza,
la capacità di produrre benessere,
cioè quella
condizione temporanea, conseguente
allo stato di equilibrio metabolico psicofisico (OMEOSTASI) che
deriva dall’appagamento dei propri"bisogni".
Come
ho, qualche volta, raccontato, più di dieci anni fa ho avuto
un po’ di quei problemi di salute dai quali si esce, per lo più
“in posizione orizzontale”. Essendo, a dispetto delle
predizioni dei miei colleghi medici, riuscito ad andare ben oltre
l’ostacolo, da allora, per dare un senso alla mia vita e per
non cadere nella noia (con la preoccupazione di sciupare quel Tempo
che mi era stato “riconcesso”), ho percepito la necessità
di crearmi degli obiettivi di vita:
a
"breve" temine;
a
"medio" termine;
a
"lungo" termine.
Fra
i miei obiettivi a "breve" termine...
"Se
stai bene di pancia, di polmoni e di piedi, tutte le ricchezze del
mondo non potrebbero aggiungere nulla alla tua felicità"
(Virgilio). Imparare
ad utilizzare correttamente i 5 sensi che la Natura mi ha donato
dando importanza, ad esempio, a tutto quello che, nonostante tutto,
nel mio quotidiano, va bene (efficienza psicofisica - eventi positivi
cui non si dà importanza);
“E
crescendo impari che la felicità è fatta di cose
piccole ma preziose... e impari che il profumo del caffè, al
mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano
gli aromi di una cucina, che basta il muso del tuo gatto o del tuo
cane per sentire una felicità lieve, fatta di emozioni in
punta di piedi, di piccole esplosioni che, in sordina, allargano il
cuore” (Il
gabbiano Jonathan Livingstone).
Nei
miei obiettivi a "medio" termine...
Propormi
dei progetti mediante i quali ottenere una realizzazione (relativa a
quel progetto) e che riguardi uno dei seguenti capisaldi dell’
esistenza:
Come
obiettivi a "lungo" termine...
Imparare
a vivere secondo una dimensione umana corretta, riuscendo ad appagare
sempre meglio il senso di Autostima e quello di Autoaffermazione:
cercando
risposte adeguate;
applicando,
nella vita quotidiana, i risultati delle proprie riflessioni;
facendo
tesoro delle esperienze conseguenti;
mantenendo
il gusto verso il nuovo... così come fanno i bambini!
Dopo
dodici anni di questo mio nuovo, determinatissimo modo di essere,
cosa posso raccontare di me?
Cari
amici della mia vita andata, oggi, in questo silenzio, vorrei poteste
riapparire tutti, come per magia. Vorrei potervi vedere arrivare uno
ad uno ragazzi che eravamo. Vorrei che al tramonto, ci potessimo
sedere attorno al pallone di cuoio e parlare a lungo e dirci
quello che non andrà, nelle nostre vite. Vorrei che ci
mettessimo in guardia dagli errori che faremo e ci dicessimo la
verità su quello che, poi, il tempo ci ha riservato.
Soffriremmo di meno, saremmo più amici. E comunque, anche per
un attimo, ci ritroveremmo come eravamo e non come siamo diventati,
assecondando i nostri destini.("Ciao" - Walter
Veltroni, Rizzoli Ed. 2016)
Abbiamo
soltanto la felicità che siamo in grado di capire. (Maurice
Maeterlinck)
Da
piccolo guardavo il cielo alla ricerca della Stella che mi avrebbe
guidato nelle scelte importanti... ora immagino di potere accedere
all’interno di un armadio magico, in cui trovare i vestiti di tutti
coloro che mi hanno amato (e che porto, sempre, con me in quella
parte del cervello così intima da somigliare al Cuore...) per
poterli estrarre dal cellophane della memoria, distenderli sul più
prezioso dei miei tappeti e provare ad avvicinarne i lembi al mio
volto. Così, giusto per sentire l’odore e ricordare il
“calore” e riaverli, almeno per un po, con me.
Cari
Lettori, ritengo di poter
essere ascritto nell’elenco di coloro a cui piace studiare.
Probabilmente leggo meno libri di
quanto dovrei... Non riesco a trovare energia mentale a sufficienza.
Ad una certa ora, il mio cervello reclama la propria libertà
dalle costrizioni cui lo sottopongo. E allora, dopo aver assorbito
molte letture saggistiche (monografie tematiche di approfondimento),
mi resta una certa voglia di entrare nelle vite degli altri. Ma non
come psicoterapeuta.
Solo
per curiosare, in punta di piedi. E in religioso silenzio.
Ecco
che, nel tempo, ho imparato a dare importanza a quello che ascolto e
osservo, durante ogni istante della mia giornata. Percorro molti
chilometri in automobile, un po’ di meno in bicicletta. Ma,
quando ci riesco, amo, ancora, “perdermi”, a piedi, sui
monti della Sila, lungo sentieri che non ci trovi nessuno. Sono
questi, i momenti in cui uso l’auricolare del mio Smartphone
per ascoltare palinsesti radiofonici
culturali e scientifici, conditi da musica e parole. E cerco la
“verità” del Bosco, tentando di dare un senso a
tutti i suoi alberi.
E
allora immagino,
come nei versi di Lucio Dalla, di volteggiare
sopra i tetti delle città, mescolarmi con l’odore del
caffè, fermarmi sul naso della gente mentre leggono i
giornali; girare il cielo per fermarsi, ogni tanto a curiosare qua e
là volare con la polvere dei sogni inseguendo ogni battito del
cuore, per capire cosa succede dentro e da dove viene, ogni tanto,
questo strano dolore...
Seduto
sulla spiaggia deserta cerco di concentrare la mia mente su un
vecchio detto indiano che nel dormiveglia mi è entrato in
testa e non se ne va: "L’uomo dice che il tempo passa. Il
tempo dice che l’uomo passa" (Tiziano Terzani).
Come
si fa ad incolpare chi ti rende, col suo modo di essere,
particolarmente sensibile?
Eppure,
forse, mia madre avrebbe potuto contenersi, allorquando mi ha
riempito di tutto ciò che mi ha, un po’ alla volta,
facilitato il “sentire” empatico...
Si,
perchè, fin da piccolo mi sono ritrovato da solo, a vagare per
ambienti ostili dove ho conosciuto anche i lati più bui
dell’animo umano.
Quelli
capaci di tatuare la pelle e il cuore.
Ecco,
costantemente impatto con quella realtà che ti costringe ad
ammettere che, in fondo, nessuno ti cede quello che ritiene essere
importante.
Nemmeno
quando diventa superfluo.
E
nonostante mi sia convinto del fatto che la libertà sia, senza
dubbio, un valore primario, quando ti accorgi di essere una vaso di
coccio in mezzo a vasi e mazze di acciaio, a volte puoi solo decidere
il sistema e la tempistica, per togliere il disturbo. Magari prima
possibile, anche perchè io sono sempre più convinto,
del fatto che la vita
non abbia valore in sé e che non sia, nemmeno, così
sacra. Spetta a noi, infatti, darle il giusto Significato e
Apprezzamento..
Ogni
tanto mi fermo a pensare, soppesando le idee... in
fondo, come il mio amico “Bracco” avrei voluto
soltanto un pezzetto di giardino nella cui vegetazione nascondermi.
E, da lì, osservare il Mondo, per capire la differenza che
c’è, se c’è, fra l’Inferno e il
Paradiso.
Corriamo
spensieratamente verso l’abisso, non prima di aver messo
qualcosa tra noi e lui per impedirci di vederlo (Blaise Pascal)
Ecco,
se fossi stato un cane, credo
che (come fanno i “miei” Jake e Sally), mi sarebbe
piaciuto saltellare felice accanto a una mano affettuosa, anche a
dividere il nulla. Ma con grande sentimento. L’affetto sincero,
infatti, può far vivere di rendita. Famiglia, spesso, ha il
vero significato quando trovi qualcuno a guardarti le spalle e, al
tempo stesso, a sorriderti e tranquillizzarti anche quando ti trovi
sul bordo di un precipizio. La serenità consiste nel sapere
che, all’occorrenza, si andrà giù insieme.
Che
bello, togliersi per un po’, il peso delle tante
responsabilità....
I
giri mentali cui sottopongo la mia mente visto la vita e il mestiere
che svolgo, mi identificano con chi passeggiando, sotto la pioggia,
come un randagio nella notte, vede uomini lasciarsi andare, donne
pentirsi di scelte che non avrebbero rifatto e bambini con uno
sguardo a metà fra l’ingenuità e la malvagità
come via necessaria alla contestualizzazione che ti evita di sparire
fra i flutti dell’indifferenza.
Ecco,
io provo a star loro accanto, cercando di dire poco o nulla,
per provare a far capire che, la vita, spesso, è una
questione di punti di vista e di osservazione. Dipende da dove ti
siedi e cosa decidi di guardare. Qualcuno,
un tempo, mi ha detto che, anche questo, è Amore. Un modo di
condividere ciò che la solitudine insegna. Anche
perchè, “La religione è
per chi ha paura dell’Inferno. La spiritualità che
scaturisce dall’interiorità, è per chi ci è già
stato”.
Cosa
credo che mi riserverà il futuro?
Più
o meno quello che sarò stato in grado di realizzare, con la
mia opera e con il mio modo di essere. Certo, si tratterà di
conciliare due opposti estremismi: quello che vuole il Sociale e
quello che si aspetta la mia Identità.
Quindi,
credo, continuerò a vivere nel confronto con gli altri,
individuando percorsi di massima esposizione (perchè è
solo così che ti puoi garantire quella libertà relativa
che ti consente l’autonomia dal dipendere dal potente di turno)
pur con l’aspirazione di un contesto bucolico dove il denaro,
ad esempio, non conta e il lavoro si svolge solo perchè ti
piace farlo.
Riconosco,
in me, la presenza di più di un pensiero felice: l’immagine
delle mie figlie, ad esempio, l’incontro con i begli occhi che
mi apprezzano... Credo, però, che la luce in fondo al mio
tunnel sia il punto in cui la mia creatività raggiungerà
l’apogeo della Libertà. Quando, cioè, la mia
Identità si fonderà con l’essenza di cui tutti
siamo composti, in un quel luogo di Energia e materia Oscura, dove
smetti di esistere come Persona per diventare parte del “Tutto”.
Dove, per intenderci, quello che il bruco chiama “fine del
Mondo”, il resto del mondo, lo chiama “Farfalla”.
C’è
un’ape che si posa su un bottone di rosa: lo succhia e se ne
va. Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.
(Trilussa)

Giorgio
Marchese (Medico
Psicoterapeuta, Counselor) - Direttore "La Strad@"
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