Oltre il fondo del barile.
di Mariano Marchese  ( marianomarchese1@gmail.com )

14 novembre 2012

"Amici siamo alla frutta!" Con questa esclamazione, in genere, quando siamo a tavola, indichiamo la fine delle portate; nella vita, invece, questa esclamazione indica l'approssimarsi del baratro! Osservando, senza, poi, troppa attenzione, la realtà che colora il nostro quotidiano c'è veramente poco da stare allegri. Sia chiaro, questo non vuole essere un editoriale votato al pessimismo bensì, improntato alla riflessione e ad un'analisi concreta e reale, magari un pò cruda, di ciò che ci circonda. Ecco profilarsi all'orizzonte l'equazione uomo-realtà, che è arrivato il momento di risolvere per mera necessità, per puro stato di bisogno. E' ora di finirla di stare con la testa nella sabbia come fanno gli struzzi, è ora di finirla con le sterili lamentele, è giunto il momento di agire, di operare tutti in un'unica direzione, quella di un capovolgimento di fronte, teso a ribaltare una situazione che ci ha portati sull'orlo del baratro. Stiamo varcando la soglia del non ritorno. Ogni secolo è stato segnato da qualcosa di negativo come le epidemie, le guerre e quant'altro, che hanno cagionato la morte di migliaia di uomini; da circa un secolo, buona parte dell'umanità è afflitta da un male altrettanto letale, l'ignavia, che sta mietendo un numero incalcolabile di coscienze. In parole ... PER CONTINUARE LA LETTURA, CLICCARE SUL TITOLO.




...povere, quegli esseri umani che sono afflitti da questo male, che, al contrario degli altri, sarebbe curabilissimo, piuttosto che vivere, si lasciano vivere delegando ad altri il governo delle proprie vite e, cosa più vile, il governo delle proprie coscienze. Per usare qualche metafora, è come se uno skipper, durante una regata, piuttosto che governare la barca, stesse sulla prua ad osservare l’immediato divenire, con prevedibili conseguenze, per poi esternare le proprie lamentele ed accusare il fato o la sfortuna, che dir si voglia, nel caso, molto probabile, di naufragio. Ma ci siamo chiesti il perché di tutto questo? Una delle risposte plausibili, potrebbe essere che l’uomo ha perso la coscienza del sé, o che le nuove generazioni, addirittura, non sviluppino la propria coscienza che, in questo modo, rimane confinata nelle misere esigenze dell’immediato per perdersi nell’infinito del domani che rappresenta, con sempre maggiore convinzione, un’incognita, un qualcosa che angoscia piuttosto che un qualcosa di positivo su cui fondare le proprie certezze. Il problema, allora, esiste ed è concreto ma si va lontani dal vero quando lo collochiamo, vigliaccamente, al di fuori di noi perché, questo, è dentro di noi. L’imperativo categorico, a parer nostro, dovrebbe essere quello di uno sviluppo delle nostre personalità, uno sviluppo del nostro io interiore che ci permetterebbe di vivere al meglio delle nostre possibilità; non ci credete? Allora provate a dare una risposta concreta sulle motivazioni che vedono le nuove generazioni afflitte dal male della depressione...si dice spesso, con troppa leggerezza, che non si è contenti di ciò che si vede e si vive, tralasciando di elencare da cosa ci si lascia vivere. Torniamo, allora, al timone delle nostre esistenze, imparando a governare prima noi stessi, con saggezza e abilità, vedrete che il vivere bene non sarà lontano dall’essere conseguito. Ma che cosa significa, infatti, civiltà o, meglio, civiltà del progredire, se riusciamo ad andare sul pianeta Marte, per poi, dover assistere alla morte di altri esseri umani per fame, per povertà o a causa dei mille conflitti che affliggono ancora il nostro pianeta, un pianeta dove odio, invidia e cattiveria la fanno ancora da padroni. No, non sono queste le premesse su cui si fonda il progresso, anzi, a ben vedere, sono premesse tese all’autodistruzione: ma noi, in fondo, anche se inconsapevolmente, ce ne siamo già accorti, infatti, stiamo male però non sappiamo riconoscere le cause di questo malessere che ci affanniamo a ricercare al di fuori di noi stessi e non dentro di noi...e fino a quando non consapevolizzeremo che questo malessere ha le sue radici ben salde dentro di noi, nelle nostre anime così come nelle nostre coscienze, non potremo aspirare a qualcosa di diverso e migliore come ci meriteremmo....ma che senso ha ripetere con frequenza frasi del tipo " l’uomo è artefice del proprio destino" se poi non lo mettiamo in pratica? Ci siamo veramente interrogati sul senso di questa frase? Secondo noi no! Perché essere mandrie piuttosto che pastori?

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