Tormento o estasi?
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

25 gennaio 2016



Nella vita, prevalgono le gioie o i dolori?


 

Counseling, per una vita migliore

 

L’essere umano non nasce per soffrire ma confonde, sovente, l’incapacità da carente sviluppo della propria personalità (risolvibilissima, attraverso l’impegno, lo studio e la motivazione) con la fatalistica convinzione che, tutta l’esperienza terrena, debba essere costellata da una sequela di iatture e dispiaceri. In una pubblicazione scientifica del 1969, il biologo Delgado, riporta i seguenti risultati: "Nella porzione posteriore dell’ipotalamo, sono presenti due gruppi diversi di strutture, le une remunerative e le altre punitive. Un’analisi sistematica delle aree cerebrali del ratto, rivela che il 60% del cervello è neutro, il 35% risulta "remunerativo" e solo il 5% può provocare effetti punitivi".

Considerando che il protocollo scientifico prevede una "sovrapposizione neurofunzionale" fra ratti ed esseri umani, possiamo concludere che il buon Dio, o chi per lui, abbia previsto la necessità di riflettere molto (60% di aree cerebrali neutre) per imparare ad apprezzare i piaceri della vita (35% di aree cerebrali gratificanti) e valutando la capacità di percepire il dolore (5% di aree cerebrali "punitive") solo come campanello d’allarme in presenza di pericoli.

Al contrario, l’essere umano ha imparato ad amplificare la funzionalità delle potenzialità sofferenti (che rappresentano invece, percentualmente, una quota trascurabile) mortificando il resto, per carenza di un sistema educativo adeguato.

Perché molti hanno paura di provare e mostrare la propria gioia?

Come ho già avuto modo di spiegare molte altre volte, questo è un problema che affonda le radici nell’antichità, all’epoca degli antichi greci, i quali avevano paura di mostrarsi felici, contenti, perchè temevano l’invidia degli Dei. In effetti, a quei tempi, si temeva che gli dei poi punissero gli esseri umani per la loro felicità, e quindi si mostravano sempre tristi, insomma cercavano di non far vedere i loro stati d’animo al positivo. Questa sciagurata tradizione si tramanda ancora oggi! Molte persone dichiarano di aver paura dei propri momenti felici per timore di doverla scontare attraverso molta sofferenza. Questo tipo di convinzione "ellenistica" risente della cultura del tempo: infatti gli Dei venivano umanizzati e "nevrotizzati", schiavi di complessi di inferiorità, permalosi e suscettibili. RIFLETTIAMO: se tu non sei felice per paura che poi soffrirai... nel frattempo soffri comunque! Soffri perché hai paura di essere felice altrimenti soffrirai. Allora, tanto vale godere tutte le volte che si può, altrimenti si soffre e basta!

Sulla falsariga di quanto appena affermato, alcune frange religiose (cattoliche, islamiche, giudaiche, etc.), sostengono il valore positivo del sacrificio e della sofferenza.

Questo è dovuto, molto spesso alla confusione con la religione pagana che vedeva il sacrificio come offerta (attraverso l’uccisione di animali o persone) per ingraziarsi gli Dei. Oggi, il sacrificio (tranne casi eclatanti di persone particolari) si è tramutato nella proibizione di provare piacere. Tutto ciò accade per lo più per ignoranza, perché nessuno al mondo vorrebbe vedere soffrire altre persone e giudicare, questo, corretto. La problematica trova la sua corretta chiave di lettura sia in termini religiosi che scientifico naturali. Dal punto di vista religioso, se valutiamo Dio come colui che ci ha generato, arriviamo a concludere che non possa godere della sofferenza dei propri figli, né essere così sadico da impedirci l’uso di strumenti (i sensi) che ci ha fornito, stimolando correttamente i quali, si prova piacere e gusto alla vita. Dal punto di vista scientifico, non è razionale credere che la Natura impedisca l’evoluzione della specie attraverso la negazione di esperienze che insegnino a migliorare la qualità della propria vita.

Ma allora, come si fa a vivere con saggezza e senso della misura?

Acquisendo le giuste conoscenze mediante cui concretizzare quegli obiettivi (autonomia economica, amore di sé per sapersi "donare", realizzazione in un lavoro, etc.) che ci consentiranno una solida autostima.

Ricordiamoci, infine, che ognuno riceve quotidianamente, 24 gettoni di libertà (uno per ogni ora della giornata) da spendere nelle normali occupazioni (famiglia, lavoro, riposo, etc.): il segreto della felicità consiste nel riuscire a risparmiarne, ogni giorno, qualcuno, per poter coltivare la migliore amicizia del mondo: quella con se stessi.

Giorgio Marchese - Medico Psicoterapeuta, Counselor (14 Novembre 2012)

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