Papa
Francesco ha indetto il Giubileo speciale, l’anno Santo, nella
Misericordia, nella compassione, nel coraggio del cambiamento: “Via
il lievito vecchio per essere pasta nuova”.
L’Uomo
si rivolge a tutte le genti, affinché alle persone sia dato
tempo e possibilità di vivere e confrontarsi, senza per questo
dover scavare a forza la propria fossa.
Nelle
sue note c’è il non senso di azioni fondate sul rancore,
sull’odio, sulla vendetta, su quei sentimenti che non
consentono giustizie sociali né pace per alcuno, perché
è vero: “la violenza regna dove l’ingiustizia
ingrassa”.
Il
Papa ha parlato per coloro che hanno voltato le spalle alla propria
umanità, per chi ha dipinto la propria assenza-sconfitta nelle
ferite inferte.
Ha
parlato anche per chi pensa che al male si risponde con altro male,
nell’illusoria convinzione di risolvere i drammi individuali e
le tragedie collettive.
E’
davvero così difficile affrontare una lettura evangelica del
sentimento del perdono?
Nessuno
si salva, se non sa perdonarsi, se non trova nell’altro gesti e
parole d’amore. Pagare il proprio debito alla società
non può significare la creazione di una nuova dimensione di
violenza, in una pena distruttiva e immutabile.
Un
contesto disumanizzato e disumanizzante, come quello del carcere,
toglie all’uomo la speranza, non solo privandolo della libertà,
ma estraniandolo dalla propria dignità. Privare la persona
della possibilità di rendersi conto dei propri errori,
significa non consentirle di fare i conti con il peso delle proprie
colpe, con le lacerazioni che hanno prodotto la rottura del vivere
civile.
Quanto
è difficile chiedere perdono in queste condizioni? E quanto,
essere perdonati?
Ciascuno
vive il suo presente in funzione delle scelte fatte, le azioni del
cuore se non condivise non consentono di essere scelte.
Rimangono
le responsabilità e gli abissi dell’anima, nulla è
cancellato, niente è dimenticato, ma sentire dentro il bisogno
di perdonarsi, di avere pietà di se stessi, riconoscendo
l’esigenza di giustizia di chi è vittima, degli
innocenti sempre più spesso privati di quella giustizia,
indica la via maestra per l’altro bisogno: essere perdonati per
ciò che si è nel presente, nella consapevolezza degli
errori disegnati a ogni passo in avanti, condividendo quel bene
comune che è intorno a noi, per tentare di tramutare l’ansia
e il dolore delle vittime in una riparazione-riconciliazione che sia
cambiamento fruibile per la collettività tutta.
L’umanità,
quando è ferita, richiede maggiore severità nelle pene
da espiare, mentre la persona detenuta sconta la propria pena
convincendosi di aver pareggiato il conto, di aver pagato assai più
di quanto dovuto, fino a intendere la libertà proprio come un
adolescente: fare tutto quello che voglio.
Dove
sta il carico della responsabilità, la capacità di fare
delle scelte, l’azione morale condivisa che stabiliscono il
valore della libertà? L’uomo infantilizzato non ha
vicinanza né prossimità con alcun interesse collettivo.
Invece,
riconoscere il bisogno di perdonarsi e perdonare, sottolinea
l’urgenza di un percorso umano ( non solo cristiano ) nella
condivisione e reciprocità, nell’accettazione di una
possibile trasformazione e di un fattivo cambiamento di mentalità.
Ecco
cosa ha detto a me Papa Francesco con questo Giubileo.
Vincenzo
Androus - Counselor,
Tutor Comunità "Casa del Giovane" Pavia
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