Ci
risiamo, come ieri, avanti Cristo, dopo Cristo, quella Croce offesa,
umiliata, annientata. Ognuno a rivendicare ragione, diritto,
giustizia, ciascuno a fare nel sangue la propria assoluzione da
vincitore.
Terre
inzuppate di sofferenza imbavagliata, atrocità nascoste,
massacri silenziati, dentro stati della mente ottusi e conclusi,
dimensioni del cuore che non posseggono più alcuna
compassione, pietà, l’ultima volontà di un
perdono.
Terre
di potenti che non concedono più metri, ne tolgono, terre di
ricchi e di poveri ridotte a camposanti, in preda all’ira della
vendetta, a urlare colpe, condanne, accuse incrociate, la sentenza
sta nei tanti e troppi volti reclinati.
Eserciti
bene intruppati e colonne di affaccendati con la polvere da sparo,
tecniche di guerra e pratiche del terrore, popoli fintamente
mascherati di giustizia, angolazioni di disumanità
abbandonata a se stessa, nell’esclusione sociale,
caratterizzata dai più alti livelli di controllo sulle
persone, subordinate ai colpi di pietra, di machete, di pistola, di
obice.
L’idea
che osservare e costringere qualcuno in condizioni sub-umane sia
sinonimo di osservare ciò che accade in termini più
generali, è davvero una bestemmia pronunciata ad alta voce,
una derisione all’onestà intellettuale, con lo scopo di
rendere la tortura e l’omicidio una condizione alternativa più
accettabile.
Si
muore scomposti dal rumore degli spari, degli scarponi chiodati, dai
cingoli dei carri armati, fanno breccia nel cuore indurito di chi non
ha più figli, sorelle, fratelli, una famiglia, la propria
casa.
Nel
morso antico dell’odio, della vendetta, della supplica e della
concessione tradita, si muore dentro la propria storia millenaria, si
muore per una bandiera, per un pezzo di terra con tanti padroni e
pochi giusti. Si muore per opulenza da difendere, per povertà
da rivendicare, si muore per un principio, per una fede contrapposta,
si muore per delirio di onnipotenza, anche là dove il potere
ha solo voce di commiserazione.
Si
muore senza onore delle armi, si muore tra gli scaracchi, mai con
sentimento di riconciliazione.
Al
dolore per una scomparsa, c’è preghiera di circostanza,
azione di propaganda, che sfocia nella ferocia del più forte,
persino il più debole non fa passi indietro.
Spara
il cannone, spara il lanciarazzi, sparano come forma di tutela della
propria incolumità, della propria legittimità a
esistere in un territorio che non ha più speranza, perché
oppressa dalla più ostile disperazione.
Ci
risiamo, proprio come ieri, donne, uomini, bambini, trucidati in una
sinagoga, in autobus, altri suicidati su una trave, altri ancora in
galera, dentro le proprie case polverizzate.
Tu
ne ammazzi uno, io ne ammazzo cento, tu lanci razzi, io bombardo,
donne, vecchi, bambini, carne da macello con la divisa della vittima
svenduta e fin’anche oltraggiata.
Un
passato che non passa, che non insegna un bel niente, che non allena
gambe solide per ritornare al mondo di un possibile futuro.
E’
un’umanità in asfissia, stretta tra eredità
indicibili e rivalse fraudolente, plotoni in fila per tre in attesa
del colpo alla nuca, persone prese in mezzo, non più
riconosciuti i ruoli, il valore della vita umana, da ogni barricata
il nemico a vista è da atterrare, non più storie di
uomini, ma numeri, cose, oggettistica d’accatto, rimasugli da
estinguere in fretta.
Non
c’è spazio per il rispetto, sono minacce che
s’avverano, a differenza di qualche parolaio da gran cassa
mediatica, in questo film che s’annuncia poderoso, non c’è
Davide contro Golia, bensì innocenti senza più
documenti di identità, ma forse Dio, il tuo, il mio, non starà
più appoggiato a fare di conto con arguzia da mercato, forse
Dio s’è davvero stancato.
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