La stella che non c’è.
di Maria Cipparrone  (  mariellacipparrone@libero.it )

15 ottobre 2006





Con questa sua ultima opera, G. Amelio si riconferma campione di incassi nel settore delle emozioni più profonde e dei sentimenti più delicati.


 

Sicuramente immeritata l’indifferenza che Venezia ha riservato a quest’ultimo lavoro di Gianni Amelio che a distanza di due anni dal successo di "Le chiavi di casa" è ritornato a calcare le scene con un altro film importante, forte e delicato, di buoni sentimenti, forse in disuso, come l’acciaieria in cui attorno ruotano le vicende dei protagonisti.

La trama di "la stella che non c’è" prende spunto da un romanzo di Domenico Rea, "La dismissione" che racconta la chiusura del grande impianto di Bagnoli e di una delegazione cinese giunta in Italia per rilevare l’altoforno dell’acciaieria ormai in disarmo. Vincenzo Buonavolontà (il nome non è a caso), manutentore specializzato nei controlli delle macchine, è convinto che l’altoforno non funzioni ed ostinatamente s’impegna per trovare il guasto in modo da evitare incidenti gravi agli operai che dovranno manovrarlo. Animato da un senso del dovere e da un ideale di professionalità che oggi sembra scomparso, Vincenzo scopre il difetto dell’impianto, ma è troppo tardi, i cinesi sono tornati in patria con il loro carico. Come dice il nome, l’operaio non si perde d’animo e decide di partire alla volta di Shangai per consegnare di persona la centralina modificata. I suoi sforzi, però, sembrano vani perché l’azienda cinese acquirente ha rivenduto ad altri l’impianto. A questo punto inizia il viaggio di Vincenzo che insegue letteralmente il macchinario attraverso metropoli, fiumi, laghi e deserti dell’immenso paese, a bordo di mezzi di fortuna, accompagnato da Liu Hua, una giovanissima traduttrice dal passato misterioso conosciuta in Italia e ritrovata in Cina. E’ evidente come anche in questa sua ultima opera, il regista calabrese riprenda il tema del viaggio, a lui molto caro e che ha segnato alcuni dei suoi migliori titoli. Anche in questo film, un lungo cammino accomuna il destino di due personaggi differenti per carattere e storie personali. Il primo incarna un uomo di coscienza, integro che non esita ad affrontare il gigante asiatico con un piccolo bagaglio ed i suoi antichi valori, alla fine più che salvare altri, salverà se stesso; la seconda, giovane, disoccupata senza un obiettivo preciso, pratica del luogo e della lingua, ripercorre un viaggio nel suo passato più doloroso che passa per il villaggio in cui è nata ed in cui vive il suo bambino, nato da una relazione fallita. Ed è attraverso il peregrinare dei due protagonisti che Amelio mostra gli aspetti di un paese dalle mille contraddizioni, sospeso tra il passato ed il futuro. Sono, infatti, gli sguardi di Vincenzo, l’espressione del suo viso, la sua mimica che esprimono lo stupore per una Cina sconosciuta, dove in un enorme palazzo possono vivere e lavorare ottomila persone, ma in cui c’è un fortissimo senso della collettività. Questi, i momenti più riusciti del film, quelli in cui lo sguardo di Amelio contempla la realtà umana e la sua bellezza in un’atmosfera sospesa, quasi impalpabile in cui si fondono i contrasti di un paese ricco e povero allo stesso tempo. Saranno proprio questi contrasti, l’ambiente, l’umanità delle persone, l’affetto mancato che faranno riflettere Vincenzo e gli faranno comprendere che la vita non è solo lavoro, ma è qualcosa di più che si trova nel quotidiano, nelle piccole cose. Portata a termine la sua impresa, Vincenzo non riesce a gioire fino in fondo: ha visto un paese distante dal suo eppure vicino, l’Italia e la Cina, uniti dall’esile traccia di un’epoca continua che sembra annullare il passato nel futuro e viceversa. Ora per lui inizia il tragitto più lungo, quello inverso.

Maria Cipparrone

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