Riflessioni allo Specchio.
di Giuseppe Chiaia  ( peppinochiaia@libero.it )

17 aprile 2019






"Mentre guardo i segni del tempo sul mio viso..."


Fra i miei ricordi scolastici mi si affaccia, spesso, alla mente una favola semplice, che tradussi dal latino durante la frequenza della seconda media, quando questa lingua era considerata materia fondamentale nel triennio del 1° grado; era tratta dal grande favolista FEDRO il quale, a sua volta, l’aveva ripresa da un altro grande saggio: il greco ESOPO. La favola s’intitola "le due bisacce" ed inizia così: "Iuppiter nobis imposuit duas bisas...", Giove ha gravato ogni mortale di due bisacce che pendono, rispettivamente, una sul nostro petto e l’altra alle nostre spalle. In quella anteriore sono sistemati i difetti e i peccati del nostro prossimo; mentre, nell’altra, le nostre miserie morali e mentali: sicché, ci è molto facile irridere dei difetti altrui, mentre non siamo capaci di verificare le nostre deficienze.

Questa introduzione vuol essere non un richiamo all’eventuale lettore, per una operosa meditazione in merito, ma, semplicemente, una verifica, la più obiettiva possibile, di chi scrive, quasi si ponesse di fronte allo specchio dei ricordi, e cercare di evitare opinioni giustificative, evitando ipocriti paragoni con chi è peggiore.

Premesso che questa non è una confessione che tenta di lucrare un’assoluzione, comincio col dire che molti sono gli errori, da me commessi, durante i miei più di settanta anni di vita, dai quali bisogna, però, sottrarre il periodo dell’infanzia; ma, a considerare come errori alcuni comportamenti, ce ne corre, perché, la gran parte, è stata determinata da ignoranza, intesa, questa, come inesperienza; infatti, dice il mio buon amico GIORGIO, medico-psicoterapeuta acuto e di grande dottrina, che l’esperienza non è altro che la sommatoria dei nostri errori commessi con la presunzione di ipotesi che, sistematicamente, si appalesano errate, ma che, con altrettanta presunzione, continuiamo, pardon, continuo a formulare, dimostrando, alla fine, a me stesso, che la cocciutaggine e la presunzione sono i degni figli dell’orgoglio; ed allora, l’aspettativa di una positiva progettualità che, spesso, mi si è conclusa con un amaro smacco, deve solo servirmi ad evitare la ripetizione di identici comportamenti, in situazioni similari.

Ma se così fosse per molti altri, verrebbe meno quello spirito di intraprendenza che è caratteristica di quanti hanno saputo e sanno guardare oltre la staticità dell’oggi; però, questo è dono singolare della genialità di pochi, verso i quali io, ma anche moltissimi, dobbiamo esprimere il nostro riverente omaggio se godiamo delle loro intuizioni, delle loro scoperte, e del benessere che ci hanno elargito.

Ed allora, riflettendomi nello specchio, mentre guardo i segni del tempo sul mio viso, cerco di tradurre l’indecifrabile messaggio che la mia coscienza, come una mitica Sibilla, non si è mai stancata di inviarmi e del quale, solo adesso, riesco ad ascoltarne i reconditi significati.

C’è un ultima aspettativa: potrò rimediare a tanta fallacia col poco che mi resta? Con una punta di presunzione, lo spero! Ma, soprattutto, sono certo del sorriso e dell’affetto dei miei figli .

...e adesso non ditemi che sto sbirciando solo nella bisaccia appesa sul mio petto.

 

Giuseppe Chiaia ( Preside )

13 marzo 2010

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