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Perché,
a volte, in famiglia, capita di trasmettere messaggi scorretti
(magari in buona fede)? Di chi è la colpa quando, fra genitori
e figli, c’è un dialogo fra sordi?
Le
motivazioni sono molteplici ma riconducibili ad un elemento
fondamentale. L’incapacità di saper ricoprire un ruolo per
mancanza di competenze specifiche
Il
genitore quindi, è in crisi...
Può
esserlo nel ruolo specifico di genitore perché non sa come
muoversi, può esserlo nel ruolo meno specifico (ma
relativamente attinente) di partner, perché qualcosa non
funziona nella coppia e si riverbera nel rapporto con i figli. Può
esserlo nel rapporto con se stesso, nel rapporto con il lavoro, nel
rapporto con il mondo esterno.
La
verità è che, come dicevano i latini, forse dovremmo
imparare a diventare forti quel tanto che basta per riuscire a
rialzarci ogniqualvolta cadiamo, piuttosto che pensare di
salvaguardarci dalle frustrazioni, dai conflitti;
è
impossibile evitare di impattare con essi, è estremamente
probabile che, i problemi, ci inseguano fin dal mattino, ancor prima
di alzarci ed ancor prima di svegliarci perché, anche durante
il sonno, a volte capita di rimuginare su qualcosa che abbiamo
"incontrato" il giorno prima e del cui risultato non siamo
soddisfatti... o di qualcosa che "incontreremo"
(presumibilmente) il giorno che sta per venirci addosso.
D’altronde,
per quanto ci si possa sforzare, il mondo dei figli subisce e
determina (al tempo stesso) una evoluzione più rapida di
quello dei genitori.
Questi
ultimi, quindi, non riescono a comprendere esigenze inimmaginabili,
secondo il loro criterio di valutazione. La tentazione (e, a volte,
la speranza) di vivere il mondo esterno come la sceneggiatura di un
rappresentazione televisiva da poter modificare, a piacimento (e
secondo le proprie esigenze), è molto forte.
Ebbene,
un discorso del genere è relativamente impostabile quando si
vive da soli e non si creano rapporti di responsabilità. Nel
momento in cui si hanno dei figli, ci si sente (comunque) in dovere
di continuare per dimostrare che, in qualche modo, se ne può
venir fuori.
Questo,
serve al genitore per l’immediato, per il medio termine e per
il lungo termine (perché, comunque non si possono lasciare dei
figli in difficoltà) e serve per i figli perché gli si
dimostra come, circostanze particolari, possano essere comunque
affrontate e risolte nel modo migliore, anche se quest’ultimo
può non corrispondere all’eliminazione del problema ma,
sicuramente all’adattamento nei suoi confronti...
Che,
poi, significa costruire equilibri, diventando migliori, e
trasformando in opportunità i disagi nel cercare delle
soluzioni temporanee o definitive.
E
allora, di chi è la responsabilità quando c’è
una difficoltà di comunicazione?
Di
entrambi, verrebbe da dire, quindi dei genitori e dei figli. Però,
chi lo inizia questo dialogo? Lo iniziano i genitori e quindi, nel
momento in cui i genitori si mettono nella condizione di mostrarsi
per quello che sono (e cioè, degli esseri umani alla ricerca
di proporre quello che hanno, in maniera coerente, nella
disponibilità relativa di ciò che rimane della loro
energia dopo aver fatto fronte ad una serie di incombenze di cui non
si può fare a meno) un figlio dovrebbe poter apprezzare tutto
quello che viene trasmesso con correttezza, con lealtà, con
estrema franchezza. Certo scegliendo il linguaggio più
adeguato!
A
questo punto, due immagini contenenti un invito di Giovanni
Russo (medico
ricercatore, psicoterapeuta, filosofo, direttore e fondatore della
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia SFPID di Roma, maestro di
vita). Rivolto ai genitori e ai figli.
Apposta
noi ci procuriamo amici e figli! Perché quando noi, divenuti
più vecchi, cadiamo in errore, voi che siete più
giovani, al nostro fianco, raddrizziate la nostra vita nelle opere e
nelle parole. (Platone)
Giorgio
Marchese - Medico
Psicoterapeuta, Counselor
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