Accade,
di tanto in tanto, di convincersi di aver raggiunto il proprio
livello di saturazione mentale. Succede, quindi, di reagire in
maniera incongrua e veemente, di fronte a spettacoli osceni e tristi
come quelli offerti dalla nostra classe politica.
Ma,
a ben riflettere, a volte anche un rubinetto che gocciola, nel cuore
della notte, può renderci particolarmente "incandescenti".
Toc,
toc, che rabbia!
In
simili circostanze, dovremmo porci domande "umanitariamente
interessanti". Ad esempio, abbiamo mai pensato che i tanti
poveri cristi (nel senso più laico del termine) che tentano la
traversata del tratto di mare che ci separa dalla Libia ( o dalla
Grecia, o dalla Turchia, o dalla Siria...), impiegano un anno quattro
mesi e ventuno giorni per racimolare il danaro necessario a pagare il
viaggio che tanti loro predecessori (gli schiavi portati nella Sierra
Leone, per lo più) "ottenevano" gratis?
Ho
letto, qualche tempo fa, diTitti e Hadengai.
Unici naufraghi (insieme ad altri tre sventurati) di 78 disperati
imbarcati e turlupinati da mercanti senza scrupoli, su un gommone che
avrebbe potuto contenere non più di venti persone.
Ho
provato, istantaneamente, un senso di freddo nel centro della mia
anima dove, forse, si incrociano sentimenti contrastanti, rispetto ai
fatti della vita.
"Adei",
madre, "Sto
andando". "Amlak",
Dio, "Mi hai
aiutato".
Questo, probabilmente, avranno continuato a ripetersi mentre scendeva
la notte, in mezzo al mare...
A
metà del secondo giorno, quando si saranno convinti, magari,
di essere quasi arrivati, la barca si ferma. Non c’è più
benzina. Non c’è alcun rumore. Tranne quello delle onde.
Di giorno il caldo e la salsedine. Di notte il freddo e la paura. E
poi l’acqua finisce. E poi anche l’ultima mollica di pane
se ne va. Non c’è una bussola.
Ma a cosa
servirebbe, con il gommone trasportato dalle onde, spinto dalla
corrente, e nessuno che può fare niente? Finiscono i
fiammiferi, non si vede più niente.
Tutti
a guardare il mare.
Cari lettori,
proviamo, per un attimo a spogliarci dei nostri comodi panni e, anche
se il mare on è dei più propizi, tuffiamoci e proviamo
a raggiungere, a nuoto, quel natante... così, giusto per
assaggiare cosa si prova, quando a cena hai solo sale e dolore.
Saranno alla quarta notte, oramai. Spuntano delle luci, a sinistra,
poi se ne vanno...
Era
una nave? Era un paese?
Nei film
americani, gli eroi, anche nelle circostanze più avverse, non
vanno mai in bagno. Ci avete fatto caso? Qui le cose vanno
diversamente. All’inizio ci si vergogna anche per i bisogni più
elementari, fingi di fare un bagno attaccato con una mano alla corda,
chiedi per favore di rallentare, e fai quel che devi, in mare.
Poi man mano
che cresce l’ansia e anche la disperazione, ti lasci andare
anche in quello. Se il settimo giorno Dio, dopo aver creato il Mondo,
ha sentito il bisogno di riposarsi, sul gommone della morte, un
moderno Amistad (la nave che nel 1839, trasportava
schiavi e buttava a mare il soprappeso umano... ancora "vivo"!)
chiude gli occhi Haddish, che ha vent’anni.
Ed
è solo il primo.
"E’
arrivato - dice, all’alba, Ghenè - noi
siamo in viaggio e lui è arrivato". Mi piace
immaginare che Yassief si sia portato in barca una
Bibbia. Allora, forse, è arrivato il momento di aprirla e di
leggere i Salmi: "Quando ti invoco rispondimi, Dio, mia
giustizia: dalle angosce mi hai liberato, pietà di me, ascolta
la mia preghiera".
Muore
qualcuno ogni giorno, ormai, e il numero varia.
Uno, poi tre,
quindi cinque, un giorno quattordici. E si va avanti così.
Dicono che i primi a morire sono quelli che hanno bevuto l’acqua
di mare. Titti non l’ha bevuta solo per il
gusto insopportabile: si bagna le labbra continuamente.
Poi, Hadengai ha l’idea di prendere un bidone
vuoto di benzina, tagliarlo a metà, lavare bene la base e
metterla sul fondo della barca, dove i morti hanno aperto uno spazio.
Spiega che dovranno raccogliere lì la loro orina, per poi
berla quando la sete diventa irresistibile: pochi sorsi, ma possono
permettere di sopravvivere.
Lo
fanno, anche le donne, però di notte.
Dopo quindici
giorni, appare una nave in lontananza. Sembra piccolissima, ma tutti
la vedono. Li guarda e se ne va. Qualcuno che non vuole problemi. Nel
frattempo, per i naufraghi, non c’è la sceneggiatura di
"Cast Away", manca Zemeckis che consente a Tom Hanks di
solcare l’oceano con una zattera di fortuna. Qui c’è
un regista più "grande": Dio, appunto. Ma molto meno
fantasioso.
Cari
lettori, cosa proveremmo, noi, arrivati a questo punto?
L’acqua è
un’ossessione e, intanto, pensi al pane, al riso, alla carne,
scambi i frammenti di legno per briciole, sai che è un inganno
ma te li metti in bocca. Senti le forze che vanno via, vedi buttare a
mare i cadaveri e non t’importa più.
"Ora,
quando arriva la morte butteranno giù anche me. Spero
che mi chiudano gli occhi". Ti è rimasto solo
questo, da pensare.
Non sai i nomi
dei tuoi compagni, conosci solo le facce. Al mattino ne cerchi una e
non la vedi più. Non sai più dove finisce l’incubo
e comincia la realtà. Però c’è un
vantaggio: ora allunghi le gambe sul fondo, i morti hanno lasciato
spazio ai vivi.
“Persa”
l’Italia, il gommone adesso ha di nuovo uno scopo: diventa un
viaggio per la morte, e va bene così! Se abbiamo resistito,
potremo accorgerci che, la diciassettesima notte, forse, Titti si
separa da tutto e raduna tutto, la madre e Dio, il cielo, il mare e
la morte,"Adei, Amlak, semai, bahari, meut". Rivede
suo padre accovacciato, che fuma contro il muro la sera. Si accorge
che la sua lingua, il tigrigno, non ha la parola "aiuto".
Ancora
un giorno, poi una notte. Forse. Poi. Tutto sarà finito.
E invece
arrivano degli uomini bianchi, di bianco vestiti. Motovedette
italiane con, a bordo, Uomini che non passano il tempo a blaterare:
pattugliano e aiutano.
Noi
Italiani, siamo anche questo!
E a bordo del
gommone? Cinque su settantotto. Questo è ciò che è
rimasto. Il biglietto di rimpatrio, visto che l’Unione Europea,
spesso adottato la politica del respingimento, questa volta costerà
poco. Forse niente: con molta probabilità otterranno l’asilo
politico. A questo punto potremmo parlare della necessità di
aiutare tanti disperati direttamente sul posto, sul luogo d’origine.
Potremmo discettare di quante risorse si sprecano, in nome di un
consumismo inutile e distruttivo... preferiamo ricordare un vecchio
adagio che recita, pressappoco così: "Ognuno per
sé ma Dio per tutti"
Si
va beh... Ma quando?
P.S.
questa notte, quando il rubinetto gocciolerà ancora, all’idea
che tanti assetati farebbero volentieri a cambio con noi, saremo
ancora di cattivo umore? E degli schiamazzi di questa sottospecie
parassitaria che si fa chiamare "Politica" e che pretende
un mantenimento sine die, cosa ne facciamo? Dopo esserci addentrati
nelle sofferenze del più angusto dei gironi infernali...
lasciamola perdere: è solo il tramestio di piccole marionette
buone solo come legna da ardere. O come cibo, per operose termiti.
G.
M. - Medico
Psicoterapeuta Direttore La Strad@
Cari
lettori, questo lavoro, è stato pubblicato qualche anno fa,
come editoriale. Con tutto quello che sta succedendo e che,
purtroppo, ancora, “ha da venire”, l’ho
ritenuto di una attualità
micidiale. E, quindi, mi sono ermesso di riproporlo, come articolo su
cui riflettere.
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