A
spasso, verso un futuro migliore...
Quando
avevo 5 anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è
la chiave della vita. Quando andai a scuola, mi chiesero cosa volessi
essere da grande. Scrissi: "felice". Mi spiegarono che non
avevo capito il compito, ed io risposi loro che non avevano capito la
vita (John Lennon).
Cari
lettori, non
passa giorno che, i più sensibili, non sentano il bisogno di
domandarsi come sia mai possibile l’estrinsecarsi di tanta
cattiveria, da parte degli esseri umani.
Eppure,
Essere Umano,
per definizione “ontologica” (riguardante
la natura e la conoscenza dell’essere come oggetto in sé)
dovrebbe
essere il risultato premiante di un faticoso percorso che porta a
divenire
(e, quindi, ad “essere”)
un
individuo
(entità capace di riflettere e provare emozioni, distinguendo
se stesso dal resto del contesto che, pure resta condizionato da ciò
che si è... che, a sua volta, diviene il risultato
dell’adattamento all’Input ambientale) portatore
di valori di sensibilità solidale, improntati al bisogno di
una crescita condivisa.
E
allora?
Il
medico veterinario che segue il nostro barboncino “Sally”
(in attesa di 6 cucciolotti) ci ha spiegato che, in virtù
della sua memoria genetica, saprà come ben comportarsi,
durante il travaglio, il parto e il secondamento (la fase espulsiva
della placenta e di tutti gli annessi fetali).
Per
quel poco che ho imparato, in relazione al DNA, trovo, forse,
inappropriato e semplicistico pensare che nei geni proteici risieda
il serbatoio di ogni nostro comportamento, predefinito.
Ritengo,
piuttosto, che, nei gangli della nostra “coscienza nucleare”
(allocata nello spazio infinitesimale fra i quark di protoni e
neutroni e fra il centro dell’atomo e i suoi elettroni, delle
strutture che compongono il DNA) si generi quello che potremmo
definire il nostro “IO indifferente”, quello che
si pone al di là del Bene e del Male.
Mi
spiego
Quale
arcano meccanismo ha reso possibile la sopravvivenza in epoche
storiche (pensiamo, ad esempio, agli Esseri Primitivi) in cui nessuno
era in grado di spiegare, ad esempio cosa potesse essere commestibile
o quale manifestazione temperamentale potesse costituire un pericolo?
Rendiamo
la risposta, comprensibile con un esempio.
Putiamo
il caso che io sia un pittore e che mi diletti a riprodurre su tela,
ciò che vedo, delle meraviglie di un magnifico tramonto.
Avendo a disposizione la classica tavolozza con i colori
fondamentali, ad un certo punto mi accorgo che ciò che mi
consente di replicare le sfumature del crepuscolo (il rosso, per
intenderci), andrò in cantina (dove ho predisposto un apposita
riserva) e prenderò quello che somiglierà alla
gradazione che voglio riportare sul mio quadro. Non importa, a quel
punto che qualcuno mi abbia insegnato come si chiami il colore:
saprò, da solo, quale scegliere... perchè è
quello che mi manca!
Sostanzialmente,
ognuno, inconsapevolmente, va alla ricerca di quello che gli serve,
individuandolo fra quello che gli viene messo a disposizione
dall’ambiente,
Tutto
ciò è reso possibile dal fatto che il Mondo è
composto da particelle che si muovono generando onde che si propagano
con una certa frequenza. Ad esempio, quando una particella, “disegna”
un’onda con un’ampiezza che varia da 620 a 700 nanometri ( un
nanometro è pari ad un milionesimo di millimetro, per
intenderci) il nostro cervello decodifica il rosso. Tutto ciò,
vale per qualsiasi cosa cada sotto la nostra attenzione. Percepiamo
la presenza di un albero, infatti, perchè i suoi contorni sono
“disegnati” da particelle che “camminano”
determinando onde che decodifichiamo nella maniera opportuna.
Quindi,
se abbiamo carenza di calcio, di vitamine, di proteine, di liquidi
e/o di altro, dentro di noi avvertiamo il “vuoto” di
qualcosa che esiste, in quanto rappresentato da microparticelle che
generano una frequenza specifica. Ovunque, incontriamo qualcosa che
generi quella stessa frequenza (sprigionata da una spiga di grano,
una fetta di pane, una frutto, una fonte d’acqua, etc.), noi la
riteniamo potenzialmente commestibile e la assumiamo.
E
andiamo ai comportamenti
in
base al principio esposto prima, anche
il nostro cervello con le sue idee, funziona generando frequenze
elettromagnetiche. Quindi,
così
come il pittore parte dai colori fondamentali e (in base alla propria
creatività, frutto, anche, dell’apprendimento) li miscela per
produrre nuances non presenti, in partenza, sulla tavolozza, ogni
individuo (cosiddetto) pensante, si trova a disposizione un range
determinato dalla genetica di ciascuno che, potenzialmente, è
simile in ognuno.
Più
o meno, accade questo:
Ogni
manifestazione viene scomposta, all’interno dei campi di
elaborazione cerebrale, nei suoi costituenti fondamentali
elettromagnetici;
Ciascun
costituente (micropezzettino del puzzle che abbiamo percepito) viene
riconosciuto, come tale, in funzione di quanto di simile ci
ritroviamo in memoria;
Quello
che ripeschiamo dal serbatoio dei ricordi, si porta dietro, anche,
lo strascico emotivo che abbiamo provato nel momento in cui abbiamo
vissuto l’esperienza che, frammentata, abbiamo poi archiviato;
Tale
vestito emotivo (acquisito con l’esperienza e, quindi, non
geneticamente determinato), condiziona la scelta in funzione del
piacere o del fastidio che ci arreca;
tutto
ciò premesso, con tale meccanismo, riconosceremo il quadro
(venuto dall’esterno) assemblando pezzetti di ricordi che gli
somigliano e saremo indotti a decidere sul da farsi, in relazione
all’evento determinatosi e, a quel punto, percepito;
le
nostre reazioni saranno diverse in base alla personalità di
ciascuno e al momento dell’accaduto ma, comunque, non potranno
derogare dal range messo a disposizione da Madre Natura, come i
colori fondamentali della tavolozza di cui prima, pur con la nostra
capacità di miscelare e sfumare...
il
punto è che, ogni decisione, sarà presa dopo un
confronto con un parametro di riferimento oggettivo (che si rifà,
per intenderci, alle leggi di Natura) che potremo chiamare Logica
Universale e che, si ritiene, sia allocato nell’Ipotalamo (importante
struttura cerebrale).
In
base alle convinzioni, ai condizionamenti, all’ignoranza, al
pregiudizio, alla presunzione, alla maturità, alla chiarezza o
all’incapacità più o meno temporanea, opereremo scelte
che riterremo idonee, anche quando produrremo dubbi in proposito e
cambieremo idea. Riterremo giusto riconsiderare e cambiare, per una
nuova direzione.
Con
questo principio, sarà motivata (anche se non “giustificata”),
nella mente, qualsiasi azione, dalla più nobile alla più
efferata. Tutto troverà un perchè. Magari frutto di un
aggiustamento interiore di comodo accomodamento.
Nella
vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare. Non
le hai scelte e nemmeno le vorresti, ma arrivano e, dopo, non sei più
uguale. A quel punto le soluzioni sono due: o scappi cercando di
lasciartele alle spalle, o ti fermi e le affronti. Qualsiasi
soluzione tu scelga, ti cambia, e tu hai solo la possibilità
di scegliere se in bene o in male. (Giorgio Faletti – Io
uccido)
Quindi,
ad esempio, è possibile restare indifferenti (all’interno di
un’affollata stazione ferroviaria) alla richiesta di aiuto di un
giovane senzatetto in lacrime perchè il suo bene più
prezioso, il suo cane, è rimasto gravemente ferito per lo
scontro con un locomotore ed è comprensibile (ma non
accettabile) che la clinica veterinaria contattata richieda al
clochard, per salvare il ferito, una cifra vicina ai 1000 Euro!
E,
allora, non è affatto strano che si lascino morire affogati
bambini e genitori che tentano di salvarsi da guerre che abbiamo
creato (direttamente o indirettamente) noi. Non è roba
dell’altro mondo che, di fronte a simili tragedie (le cui immagini
scuotono le coscienze ma non determinano le azioni) ci si muova solo
per lucrarci su....
Allo
stesso modo e con il medesimo principio neurofisiologico ma non certo
morale e civile, assistiamo a slanci di solidarietà estrema.
Ognuno
ha una base bimodale comportamentale (che va dal quadro solidale a
quello menefreghistico) con varie sfumature molto personali:
ciascuno sceglie in base al carattere acquisito, alle capacità
del momento, agli egoistici bisogni da appagare, etc. “La
vera solidarietà si fa in silenzio... altrimenti è
palcoscenico!” (Cit.)
La
parola "Io".
In
psicologia rappresenta una struttura psichica (organizzata e
relativamente stabile) deputata al contatto ed ai rapporti con la
realtà, sia interna che esterna. Nella grammatica della
lingua italiana, "diventa" un pronome personale che indica
un soggetto (che in quanto tale non è disponibile a subire
l’essere un oggetto). La sua derivazione etimologica trae origine
dal greco "Ego" che, con l’aggiunta di "ismo"
(suffisso che tende a formare parole astratte che indicano dottrine
o atteggiamenti) diventa, guarda guarda, egoismo.
Ogni
qualunque operazione dell’animo nostro ha sempre la sua certa e
inevitabile origine nell’egoismo (Giacomo Leopardi).
I
saggi sostengono che noi nasciamo
per portare avanti un progetto. Per quanto si possa speculare su
ciò, non si può fare a meno di concludere che, al di
là di evolvere le nostre capacità (nel bene o nel
male) migliorando la gestione del nostro potenziale genetico e
restituendo il tutto (con gli interessi) a "fine corsa"
come si fa con i prestiti bancari, non si può andare.
La
Natura (o chi per lei), magnanima, ha creato un escamotage per
indurci a darci da fare: godere. D’altronde, se per avere dei
figli, non si provasse l’orgasmo, con ogni probabilità
ci si sarebbe estinti, da Adamo ed Eva in avanti. E allora, come ho
spiegato prima, tutto quello che facciamo è provare piacere
da ogni esperienza, anche quella negativa (fatte salve le situazioni
in cui l’imprevisto ci pone di fronte al dolore).
Anche
nella sofferenza, vale lo stesso discorso.
Quante
volte agiamo, comunque, schiavi dei nostri apprendimenti?
Quando
proviamo ad andare oltre lo steccato del recinto in cui le abitudini
ci confinano, soffriamo al punto da essere tentati di rifugiarci
dentro dei gompa (templi buddhisti anche molto piccoli, all’interno
dei quali potersi ritirare e pregare cercando la pace) mentali di
arcaici comportamenti. Il meccanismo dell’adattamento.
Chi
ce la fa, va avanti, chi esita, "scompare", o si crea la
sua personale realtà dell’indifferenza!
Dall’epoca
degli schiavismi ammantati di logica correttezza, a smodate tirannie
dei tempi moderni...
Mao
Tse Tung (che fa bombardare il suo
quartier generale per eliminare un apparato che stava
imborghesendosi);
Pol
Pot (che cerca di applicare il
modello marxista leninista, tentando di riproporre il modello
contadino ed eliminando fisicamente milioni di persone che
mostravano di avere anche solo un minimo di cultura);
Stalin
e compagni (che internano nei
gulag ogni possibile minaccia per la rivoluzione bolscevica);
i
tanti presidenti degli Stati Uniti d’America che, per
espandere e imporre il proprio modello di protettorato democratico
hanno destabilizzato intere aree geografiche internazionali.
Come
abbiamo visto prima, ognuno, a modo proprio, cerca di mostrarsi dal
lato della ragione. Quanti
governanti si muovono spinti da principi di interesse nazionale?
"Per
noi e per gli amici le leggi si interpretano; per gli altri, si
applicano" (Giovanni Giolitti).
Molto
tempo fa, un amico, che risponde al nome di Antonio Chiaia (per i
più intimi, familiarmente "Totino"),
mi ha fatto omaggio di una
interessante riflessione elaborata da un padre seminarista e che
riguarda la vicenda di Lazzaro, dal vangelo di Giovanni.
Gesù
dice alle sorelle: "Scioglietelo e lasciatelo andare"
(v.44). Noi possiamo leggere questa semplice frase come una frase
magica di Gesù. Ma possiamo leggerla più in profondità
come qualcosa che riguarda anche la nostra vita. E’ chiaro che
Lazzaro è paralizzato dalle sorelle, da queste donne che lo
soffocano, che gli impediscono di vivere, che gli tolgono l’aria,
tutto lo spazio: sono delle donne dilaganti. Donne che prese dai
loro problemi "mangiano" anche tutto lo spazio di Lazzaro.
Quando esce, dice il vangelo, è avvolto da bende: e cosa sono
le bende se non tutte quelle relazioni, quei rapporti che lo
ingabbiano, lo legano, lo soffocano, lo stringono fino ad ucciderlo?
I piedi sono la strada, l’andare, il camminare: Lazzaro non
aveva nessuna autonomia, era succube nel suo andare, legato, non
aveva nessuna possibilità di scelta. Le mani sono il nostro
fare, il nostro produrre, la nostra creatività. Lazzaro è
soffocato, legato, si trova immerso in una situazione dove non sa
fare o non può fare nulla, non c’è spazio di
movimento, di manovra e di libertà per lui; non può
emergere ciò che vorrebbe fare, diventare; non può
esprimersi, tutto è già deciso. Il volto è
l’identità di una persona. Lazzaro non ha volto, è
nessuno, non sa chi è, non si conosce. Che Lazzaro ci sia
oppure non ci sia è la stessa cosa, perché nessuno lo
vede, a nessuno interessa il suo volto. Lazzaro è av-volto.
E’ chiaro che Marta e Maria si sono "mangiate" il
loro fratello, e Lazzaro non trovando una sua fisionomia, soffocato,
muore. Poi depongono Lazzaro in un sepolcro e vi rotolano una pietra
sopra: si sbarazzano del morto.
Ma
allora, non cambia nulla, col trascorrere del tempo?
In
base ad un articolo pubblicato da Le
Scienze nell’Agosto del 2010,
secondo alcuni fisici, è possibile che i concetti dinamici di
tempo e di cambiamento emergano da un universo statico. Alcuni
scienziati sostengono che il tempo non esista. Altri pensano che il
tempo debba essere promosso, invece che retrocesso. Tra queste due
posizioni c’è l’idea secondo cui il tempo esiste
ma non è fondamentale.
In
qualche modo, da un mondo statico emerge il tempo che percepiamo.
I
filosofi discutono idee analoghe da prima dell’epoca di
Socrate ma, ora, i fisici le rendono concrete. Secondo uno
scienziato, il tempo deriva da una suddivisione dell’universo:
quello che percepiamo come tempo riflette le relazioni tra le varie
parti e come, fondamentalmente, “le viviamo”.
Forse,
allora, non abbiamo amici ma, probabilmente, solo complici.
Terminato
il momento di condivisione di obiettivi, nella migliore delle
ipotesi, ci si ignora. È
questa la verità.
"L’egoismo
è l’uomo o, per meglio dire, il moto dell’uomo.
Togliete l’egoismo all’uomo e ne farete una pietra: non
ha più ragione di operare il bene né il male.
L’egoismo è l’unico movente delle azioni umane"
(Cesare Bini).
È
così buio ciò che resta del nostro giorno?
Cari
lettori, il sottoscritto (grazie
soprattutto ad un Uomo chiamato Giovanni Russo) ha
imparato a non raccontarsi più bugie. Al massimo, quando
vuole guardarsi dal lato "bello" dello specchio, va a
leggersi una splendida poesia dell’amico Antonio Rizzuti
(professore, filosofo, meridionalista e counselor
psicologico):"Erano il tuo
stupore e il mio silenzio. Timidamente i nostri cuori vacui si
scoprirono. Pena di sguardi, sorrisi acerbi, teneri sospiri
trattenuti. Io cerco la tua mano, si uniscono le nostre solitudini,
il mondo è ai nostri piedi solo se mi cingi la spalla. Questo
sei tu, un’alba nuova. Per me".
Ecco,
cari lettori... Auguri.
Giorgio
Marchese- Medico Psicoterapeuta, Counselor, Direttore La
Strad@
|