Io sottoscritto Sgmbelluri Saverio nato a Canolo V. (RC), il 07.03. 1965.
Mi trovo in carcere in quanto mi sono costituito spontaneamente il 19.06.1999
dopo un periodo di latitanza, trascorso nella speranza che, al fine, la Giustizia
avrebbe trionfato e la verità mi avrebbe ridato la dignità e una ragione per
ricominciare a vivere. Invece, il 26.07.1986 la mia vita è stata definitivamente
distrutta ed annientata la mia famiglia.
Avevo 21 anni, adesso ne ho 34 e non ho potuto farmi una famiglia perché un errore giudiziario mi ha chiuso ogni speranza.
LA MIA STORIA
Era il giorno 18 luglio 1986; io abitavo in un paesino della Calabria Jonica,
distante 18 Km dal mare: Canolo Vecchio, che conta, appena, 800 abitanti, ci
conosciamo tutti.
Dopo aver cenato , io e il mio amico d’infanzia, T.S., avevamo un appuntamento
con due ragazze a nome G.R. e G.L.
Ci siamo recati in piazza, siamo andati a prendere un caffè al bar, e poi abbiamo
incontrato altri nostri amici che abbiamo salutato per avviarci all’appuntamento con
le due ragazze.
Queste, erano uscite con il loro fratellino, G.O., che hanno lasciato presso il
bar per recarsi, da sole verso i monti, sulla strada che porta a Canolo Nuovo;
io e il mio amico le abbiamo raggiunte in macchina. Abbiamo scherzato
insieme fino alle 22 circa per poi rientrare al fine di evitare dicerie dei paesani.
Decidemmo, dopo aver lasciato le ragazze, di scendere, in macchina, verso il mare.
Alcuni nostri amici che abbiamo incontrato in paese, intenti a passeggiare, F.G., M.N., G.N., L.V., da noi invitati ad andare verso Siderno, non aderivano all’invito;
erano le 22-22.15 circa.
Prendemmo, assieme a T., la strada che porta al mare ed arrivati ad Agnana Calabra RC, in un posto di blocco, siamo stati fermati, siamo stati perquisiti e poi ci hanno fatto proseguire senza, però, consegnarci alcun verbale di perquisizione.
A Siderno Superiore abbiamo visto una colonna di Carabinieri e un militare, con l’Alfa, ci ha fatto segno di fermarci per consentire alla colonna di passare; ci siamo accostati e, quando ci ha fatto segno di andare via, siamo arrivati a Siderno Superiore
davanti al bar C.S. che noi abbiamo salutato; lo stesso domandava cosa fosse successo e noi abbiamo risposto che eravamo stati fermati dai Carabinieri; davanti al bar c’erano altre persone.
Subito dopo, io e il mio amico ci siamo diretti verso Locri quivi abbiamo parcheggiato la macchina e siamo entrati in discoteca, dove ho incontrato un ragazzo di Gerace, di cognome B., assieme ad un suo amico, col quale abbiamo scambiato il saluto.
Quando abbiamo finito di ascoltare la musica ci siamo recati verso casa; arrivati a Canolo V., in piazza, abbiamo visto un’ ’’ Alfetta ’’ dei carabinieri vicino alla fontana una folla di persone, in via Furfara, dove c’erano dei carabinieri; noi abbiamo chiesto che cosa era successo e un carabiniere ha risposto che avevano ucciso il vigile R.G., siamo rimasti terrorizzati.
Un carabiniere ci ha chiesto una sigaretta e ci ha domandato: ’’è vostra la Giulietta? Io vi ho visto a Siderno Superiore’’.
Dopo un po’ ci siamo fatti coraggio e siamo passati da una stradina per arrivare sul posto dove c’erano tra le altre persone, il Maresciallo I., tale S. R. e il padre e la moglie M.C., tutto il vicinato e il R. era in una pozza di sangue.
Decidevo di andare a casa e, poiché abitavo in via Castello zona distante e disabitata, ho chiesto al T. e al S.R. se mi accompagnava e loro hanno risposto che avevano paura, così dopo un po’ mi sono messo a correre.
Quando sono arrivato a casa ho svegliato mia mamma e mio padre; ero troppo terrorizzato, tremavo e ho riferito quello che avevo visto; mia mamma si è alzata mi ha fatto un caffè e così mi sono ripreso. Non avevo mai visto una cosa così orribile noi non siamo delinquenti.
La mattina del 26.07.1986, presto, sono venuti i carabinieri a casa mia io non c’ero perché mi ero recato a Gerace, da mia nonna, in quando il giorno prima doveva congedarsi mio cugino.
I carabinieri sono stati accompagnati da mio fratello a Gerace; hanno bussato e, dopo
aperto, mi hanno detto di vestirmi che mi dovevo recare in caserma con loro.
Mi hanno portato in un sotterraneo; mi hanno chiesto di togliermi le scarpe e la collana e mi hanno chiuso in una cella con una tavola per sedermi, io ho chiesto come
mai mi mettevano li dentro, io non avevo fatto niente loro mi dicevano di non preoccuparmi che andavo via.
Mi hanno chiuso ed io pensavo al mio fratellino, che stava sopra dentro la Jeep; io piangevo e nessuno rispondeva, stavo male, chiamavo e nessuno rispondeva.
Più tardi ho sentito la mia mamma che stava male; io non sapevo cosa stava succedendo non mi rendevo conto per quale motivo mi trovavo lì dentro e trattato come un criminale.
Dopo un po’ mi hanno aperto, perché dovevo andare in bagno; mezz’ora dopo sono venuti e mi hanno aperto, io stavo male, sono andato in bagno. Il carabiniere DM. mi
diceva tu sai chi ha ammazzato il vigile? Io ho risposto che non sapevo nulla facendo presente che ero stato fermato a Siderno Superiore.
Alle mie richieste sul motivo per cui mi tenevano lì, il carabiniere ha risposto che me ne andavo presto.
Invece mi hanno portato dentro l’ufficio e mi hanno fatto vedere le mie tute mimetiche ed il fucile di mio padre, mi hanno chiesto se le mimetiche erano le mie ed io le ho controllate. Poiché erano le mie, che usavo come lavoro, ho firmato un foglio che non ho letto; ero troppo terrorizzato, non vedevo l’ora di andare a casa ma pensavo ai miei genitori che erano terrorizzati. La nostra famiglia non ha avuto mai problemi con la giustizia.
Nel pomeriggio mi sono venuti a prendere nella cella dove mi trovavo dalle cinque del mattino, senza bere né mangiare, ero debole; mi hanno messo le manette e mi sono messo a piangere gridando la mia innocenza, io non avevo fatto niente, mi sentivo morire e il carabiniere DM. continuava a dire: ’’non ti preoccupare un paio di giorni e poi è tutto a posto’’.
Mi hanno portato nella caserma di Locri, mi hanno fotografato e mi hanno portato dentro il carcere.
Io camminavo ma dentro di me ero morto, non ci potevo credere.
Quando sono arrivato mi hanno preso le impronte e mi hanno fotografato un’altra volta e mi hanno chiesto per cosa mi hanno arrestato, ed io ho risposto che mi hanno trovato due mimetiche, non sapendo di che cosa ero accusato.
Dopo mi hanno fatto spogliare nudo mi sono rivestito e mi hanno portato dentro una cella.
Sentivo persone gridare, ero terrorizzato.
Mi hanno chiuso, non riuscivo a darmi pace, pensavo di capire come mi trovavo lì dentro e piangevo fino al settimo giorno.
Mi hanno chiamato in una sala dove c’erano quattro persone; mi hanno fatto sedere su una sedia, di fianco a me c’erano due persone un uomo e una donna, non sapevo chi erano, e di fronte a me c’era un uomo con la barba e al suo fianco un altro uomo con la macchina da scrivere. Hanno iniziato a farmi delle domande e ho capito che il signore con la barba, che mi stava interrogando, era il Giudice.
Mentre raccontavo la verità mi sono girato per spiegare che io quella sera non ero a Canolo e le persone a fianco a me hanno detto: ’’devi parlare con il giudice, noi siamo gli avvocati B.e F.
Così dopo che ho raccontato tutta la verità, il Giudice P.M. A. mi ha detto che c’era un teste, io ho risposto che non c’ero quella sera in paese.
Dopo un po’ il Giudice mi ha detto di andare; io mi ero scaricato perché avevo parlato con qualcuno, la mia coscienza era a posto.
La guardia mi ha portato in cella e mi ha detto di prendere il materasso; a me si è aperto il cuore, ho pensato: sono libero! Invece mi veniva riferito che dovevo andare dove c’erano i cancelli.
Ho sentito tante voci , la testa piena di ronzii, erano sette giorni che non mi facevo la doccia, avevo la barba lunga, mi hanno dato l’occorrente per fare la doccia.
Tutti mi hanno aiutato moralmente, avevo 21 anni, la mia famiglia non ha mai avuto a che fare con la giustizia. Non auguro a nessuno di passare queste sofferenze di perdere la libertà e l’affetto di tante persone care.
In carcere ho lavorato e tutti mi dicevano che ero un bravo ragazzo, non potevo essere un assassino, ci vuole un motivo e avere una cultura di fare delle azioni così terribili.
Il giorno del processo, il 24.05.1988, sono stato assolto per non aver commesso il fatto, c’era una persona, S. I. di sessantanove anni, che ha dichiarato che stava dormendo, e si è svegliato quando era arrivato il figlio, R., nulla aveva visto relativamente all’omicidio.
Il figlio ha visto il morto, appena ucciso, in una viuzza che sta vicino a casa sua, però ha detto che non ha visto nessuno, in quanto ci sono case da una parte e dall’altra.
Disse di avere svegliato il padre e anche la madre, mentre rientrava.
Il sig. I., dopo una settimana, ha cambiato versione, dicendo di aver visto me e T. uscire, il figlio R. non è stato sentito, in primo grado.
La corte si è recata sul posto e dal posto dove il sig. I. sosteneva di aver visto, di fatto non si poteva vedere niente e poi era una zona buia. Ciò è stato constatato da tutta la Corte.
Anche noi imputati siamo stati portati sul posto, però il presidente ha dato l’ordine di non farci scendere, per evitare spettacolo.
C’è stato qualche nostro testimone che non ha detto la verità per paura di essere incolpato come noi che non sapevamo niente, e ci siamo trovati in galera nella nostra giovane età.
Purtroppo la sentenza di primo grado è stata appellata dal P.M. e a Reggio Calabria siamo stati condannati a 24 anni.
Volevo precisare che a noi non hanno mai fatto il guanto di paraffina detto stub.
Io, quando c’è stato l’appello a Reggio Calabria, ho presenziato fino alla requisitoria, avevo perso tanti giorni di lavoro e così mi sono recato a Genova per lavorare alla ditta Cosmo, avevo fatto un telegramma alla Corte.
Quando, il pomeriggio, ho saputo che ero stato condannato a 24 anni mi è caduto il mondo addosso, ero terrorizzato, ho trascorso un anno chiuso in casa perché avevo il terrore di tornare in carcere.
Avevo fiducia negli Avvocati N. e B. per il ricorso in Cassazione. Così non è stato, l’Avvocato B. non conosceva il mio processo, hanno fatto solo il loro interesse.
Queste persone per me non hanno coscienza; quando si sa che due persone sono innocenti si devono battere per avere giustizia; noi siamo numeri, non persone umane come lo siamo. Stiamo pagando con la nostra vita, e i nostri familiari, e i familiari del morto non hanno avuto giustizia.
Sono stato otto anni latitante perché la mia coscienza verso Dio era a posto, io ho lavorato come tanti cittadini. Soffrivo perché stavo sempre in casa, di notte non potevo avere la libertà, non avevo una donna a cui potevo voler bene e dare tutto il mio affetto, avere una famiglia e dei bambini, che desideravo avere, mi è mancata tanto la mia famiglia, i miei nipoti, i miei fratelli, mio papà e la mia mamma, i miei nonni che sono morti nella mia assenza.
Ho trascorso tutti questi anni, avevo speranza che si poteva rifare il processo, avere una revisione, non dovevo andare in carcere, e invece così non è stato; gli Avv.ti hanno preso in giro la mia famiglia e sfruttata. Sulle disgrazie altrui non bisogna speculare.
Non mi hanno mai cercato, dove stavo da un mio parente; sapevano e sanno che noi siamo innocenti, il caso si doveva chiudere non ha importanza chi lo paga.
Avevo chiesto una revisione tramite l’Avv. N.G.e l’Avv. M.G. di Torino, perché c’era stata una testimonianza di S.I., e il figlio aveva scritto a mio padre una lettera che spiega come mai il padre, ha fatto i nostri nomi, ma non è valso a niente, la Cassazione non ha accettato la revisione. Gli Avv.ti avevano promesso che stavo fuori e così non è stato, si sono presi, per fare un ricorso, £ 10.000.000 e così la mia famiglia ancora più distrutta.
Io avevo perso tutte le speranze ma non mi arrendo; ho conosciuto tante persone lavorando come manovale nei cantieri, e mi hanno indirizzato dall’Avv. A.V., perché lui è una persona che si batte per la mia innocenza, non lo fa per speculare, ma come uomo che vuole giustizia non si possono tenere due persone 24 anni in galera innocenti.
Io mi sono presentato perché voglio giustizia e vivere la vita che mi appartiene e Dio mi ha dato e che la Giustizia mi ha privato. Ma io so che con l’aiuto dell’avv. A.V. riuscirò a fare giustizia, per avere una revisione.
Non si ammazza senza un motivo, non hanno mai specificato da dove è stato ucciso il vigile R. , nonostante un sopralluogo, non hanno mai voluto sentire tre miei testimoni in appello; nemmeno R.S., figlio di I., è stato mai sentito come teste.
Io chiedo solo giustizia e non mi stancherò mai di gridare la mia innocenza.
Una persona non può capire cosa si prova a stare chiusi in galera, innocenti: la vita è consumata non si può ritornare indietro a farsi una famiglia, ritornare giovane, stare insieme con la famiglia e averne l’affetto, l’amore dei genitori dei figli, perdi tutto di questo dono che Dio ti ha dato.
Io ho tanta voglia di vivere e per questo voglio trovare un modo, con l’aiuto di tutti, per avere la libertà, che è una cosa che non si può pagare per averla, è una cosa che Dio ci ha dato e l’uomo ce la toglie senza pensare due volte; in questo mondo non ha prezzo la vita delle persone.
Solo Dio sa se il prezzo della nostra vita. Io scriverò a tante persone cui far conoscere la mia storia e spero che le persone sensibili mi possono aiutare.
Scrivo a lei Capo dello Stato, io non chiedo niente, solo di poter avere giustizia e ritornare nella mia famiglia che amo .
In questo carcere la mia vita è solo distrutta, ma la mia coscienza è pulita, non devo pagare un omicidio del quale sono innocente.
Ho scontato tanto con la mia vita e prego, tutti i giorni e di notte, che Dio illumina le persone come lei che contano nel nostro paese.
Potrò riavere la mia vita? Non sono un assassino, sono un ragazzo sfortunato.
Vi ringrazio di cuore alla Signoria Vostra e spero che avrò una risposta, che Dio vi aiuta come mi sta aiutando a me per andare avanti da questo inferno.
Siderno il 20/11/95 Sig. Sgambelluri Pietro
Via S. Lucia, 11 - 89040 Gerace (RC)